L’allevamento degli animali, l’uso delle carni

di Vittorio Angius – a cura di Guido Rombi

Alessio Pittaluga, campagnuolo di Tempio, ca 1826
Merito all’ottimo sito www.antiquarius.it – grafica e cartografia antica, la proposta di questo acquerello di Alessio Pittaluga, che non fa parte del famoso Album Royaume de Sardaigne, edito da Marino e Campani a Parigi nel 1826; stampa pertanto acquistabile come pregiato pezzo raro da collezione su questo sito.

Tra le specie che di solito si allevano abbiamo vacche, cavalle, capre, pecore, porci, giumenti. È abbastanza risaputo che eccettuate le capre, le altre sono poco sviluppate fisicamente. E nel confronto esse stanno al di sotto non solo delle altre famiglie sarde della parte meridionale, ma anche di quelle che pascolano nei vicini salti del Montacuto.

Il latte che giornalmente dà una vacca gallurese è quasi un terzo della quantità che danno le oschiresi; le cavalle sono poco pregiate, sebbene sia vero che curate diano bei puledri, vivaci, robusti, e leggeri nella corsa anche sui monti.

Le pecore non sono né per il corpo, né per la lana, né per la quantità del latte da compararsi a quelle che crescono nei campi meridionali, sebbene molte di queste non abbiano altro nutrimento che la tassia (la lua).

I giumenti (li mulenti) sono assai piccoli, ma anche molto robusti.

La fecondità di queste specie si può dedurre dall’aumento a fine d’anno, che di solito è la metà del numero dei capi prolifici.

Della quantità del bestiame che pascola nella Gallura parlò già il Fara, scrivendo che mille greggi ed altrettanti armenti erravano in quei monti. Il suo modo di dire, se forse fu esagerato in quei tempi ‒ quando il terreno delle isolette dello stretto era spopolato di uomini e bestiame, nelle terre litorali nessuno voleva stabilirsi per timore degli incontrollati e irrefrenabili barbereschi, ed erano più gravi le cause della mortalità, più frequenti le rapine, maggiore l’uccisione per il vitto ‒, si può dire che oggi sarebbe non vero per difetto.

Oggi si sa di molte denunce contro i ladri di bestiame i quali ne mangiano una parte, e se vi sia l’opportunità un’altra la vendono ai corsi. Ciò fu la principale causa di risse, lunghe inimicizie, crudeli uccisioni tra pastori.

Non sono rari gli anni, in cui i branchi siano diminuiti il quarto, il terzo, ed anche la metà per qualche epidemia. Il danno è massimo quando su tali animali, già dimagriti e snervati per la scarsezza del pascolo, si scarichi la forza di nevi e venti freddi.

Oltre ai casi considerati, le bestie patiscono a causa delle brine nelle valli attraversate dai fiumi, dai miasmi dei luoghi insalubri, e dalle acque avvelenate. In estate in molte regioni anche per mancanza di acque e d’inverno per l’inedia quando i pascoli sono coperti dal nevischio.

Nel prato Olbiano, nel Liscia, in Vignola e in Coghinas si perde molto bestiame per le impreviste inondazioni.

Quanto è il numero dei capi che si allevano? Inutile chiedere ai pastori. Essi tacciono e rifiutano di parlare per superstizione: – “Voi ben sapete, rispose un pastore, che quando al re David venne la tentazione di numerare il suo popolo, questo fu diminuito dalla pestilenza”. Se però li interrogherete su quello che hanno i vicini vi diranno il giusto numero: sicché basta domandare a due o tre sul bestiame che pascola in una cussorgia, per sapere la verità. Ma se non si vada sul posto, e non si allontani ogni sospetto che le informazioni richieste siano a loro danno, non sarà mai possibile trarre da essi alcuna parola.

Ecco quello che annotavo su questo argomento negli anni 1837-38, quando perlustrai quelle regioni fingendo di non fare altro che vedere i luoghi dove sorgevano le antiche popolazioni:

  • Vacche madri capi 15000;
  • Vitelli e vitelle 6000;
  • Tori 3000; Buoi 2000;
  • Cavalle 1500; Puledri 1000;
  • Cavalli domiti 2500;
  • Capre 65000;
  • Pecore 25000;
  • Porci 20000;
  • Maiali 2500;
  • Giumenti 2000

Pascoli. In Gallura ci sono tutti i tipi di pascoli preferiti dalle diverse specie. Ma i porci, le pecore e le vacche ne vengono privati a volte dai rigori dell’inverno, a volte dal caldo estivo che brucia le erbe e secca gli alvei dei fiumi. Della siccità patiscono in molte zone anche le capre.

Trasmigrazioni. Non pochi pastori devono in certi periodi dell’anno passare da un territorio ad un altro, e sono perciò obbligati a costruirsi due stazzi. E […] quindi d’inverno i pastori di pecore che vivono nelle regioni alte discendono nelle marine, e d’estate i caprari e vaccari da molti luoghi della marina ascendono nelle regioni abbondanti d’acqua e di pascolo.

Il Limbara, che d’inverno è deserto, si popola di moltissimi branchi quando comincia a sentirsi il calore estivo. Molti pastori di Oviddè vi conducono il loro bestiame, e vi convengono anche altri. Lo stesso pure accade nelle altre grandi montagne.

Vacche. I non galluresi si stupiscono a sentire che alcuni pastori hanno fino 300 vacche lattifere. Ma quanta è però la quantità di latte che dà giornalmente ciascuna da aprile a tutto giugno? Non più di 7/12 di libbra sarda. Né si creda che le mammelle siano svuotate dai vitelli, poiché molti di questi muoiono per mancanza di nutrizione. Il totale di latte vaccino, se si quagliasse solo, darebbe circa cantara 5600, se il pastore non ne togliesse per il vitto giornaliero della sua famiglia. Questa quotidiana sottrazione fa una somma considerevole.

Buoi. Sempre a causa del poco nutrimento non hanno molta forza, e quando d’inverno manca del tutto, muoiono. Molti contadini galluresi non provvedono in alcun modo alla loro sussistenza. Dopo averne goduto il servizio, li mandano al pascolo, dove spesso errano sotto i cieli più rigidi senza trovare alimento. Queste bestie abituate a trasportare pesi, servono al trasporto della legna o di altri carichi.

Capre. Non tutti i pastori ne allevano. Dal loro latte, se si manipolasse separatamente, si potrebbero avere circa 19500 cantara di formaggio, se i pastori non ne consumassero pressoché i due quinti. La capra viene munta dagli ultimi di febbraio per otto mesi. Da cinquanta lattifere si può avere al giorno libbre 7.

Pecore. Di questa specie non ne hanno tutti i pastori, perché non in tutte le regioni vi è pascolo sufficiente.

Esse si trovano in gran parte nelle marine. Da una cinquantina di esse si può giornalmente avere una secchia di libbre 10. La somma del formaggio, se questo latte si quagliasse separatamente, non sarebbe meno di circa 3300 cantari, tolti i due quinti per il vitto dei pastori e dei poveri, che concorrono, e di molti banditi.

Per bontà il formaggio pecorino della Gallura non regge il paragone di quello che si fa nelle Barbagie, principalmente a Fonni, Tonara, Desulo, Aritzo, in Ogliastra, e specialmente ad Arzana; poi nei paesi montani del Campidano di Cagliari Burcei e Sinnia, nella Trecenta sulle terre di San Basilio; e per il vaccino con quello che si fa nella Planargia, nelle terre di Bonorva e in quelle di Ulassai e di Ursulè, le cui taeddas (forme di scodella) sono gustosissime.

La quantità della lana, che suol dare una pecora, si stima comunemente di una libbra e mezza per corpo.

Pelli e cuoi. Fuori il caso della epizoozia, si possono avere annualmente cuoi vaccini ed equini 3000, pelli caprine grandi 6000, piccole 10000; pecorine grandi 5000, piccole 6000.

Concie. Di queste pelli e cuoia parte si vende “nel regno” e agli stranieri, parte si concia in Tempio con arte molto imperfetta. Alcuni pastori hanno un loro metodo particolare per questa operazione.

Porci. Ogni anno si fa la salata dei porci, e i più sono lavorati a Tempio e a Calangianus. Tra quelli del paese e dei dipartimenti vicini se ne salano circa 30000, di cui una parte viene venduta in Sardegna, l’altra in continente, e un’altra (questa era la maggiore) esportata in Corsica clandestinamente. […]. Nel 1840 si vendettero ai francesi per provvista dell’armata d’Africa capi 6000.

Salami galluresi. Sono ritenuti di maggior pregio rispetto agli altri lavorati alla maniera sarda, e ad alcuni piacciono più di quelli che si fabbricano con le tecniche degli italiani o dei francesi, forse perché le carni sono più saporite, e così è anche per la vaccina, sentendosi in esse un poco di selvatico.

Salsiccia. Così si definisce l’insaccamento delle carni e del lardo sminuzzato nei minugi minori.

Salsiccioni. Sono le budella grosse infarcite di materia ben sminuzzata e mescolata con sale, aceto e pepe, poi poste sotto il torchio e affumicate.

Suppressada. È il ventricolo del porco riempito di materia finissimamente sminuzzata, condita come fu detto, e poi ben premuto per farlo piatto, e appeso per essere affumicato (“sentire il fumo”).

Li costi salìdi. Si salano le costole e per molti sono un boccone delizioso.

Lardo. Secondo la quantità delle ghiande è spesso quattro e più dita. I pastori lo mangiano con molto gusto non solo arrostito raccogliendone il sugo nella focaccia calda, ma anche crudo.

Esportazione del bestiame. I galluresi vendono annualmente circa 3000 capi vaccini, 12000 caprini, 5000 pecorini, 6000 porcini, cavallini 100; di questi una piccola parte si commercia con i dipartimenti sardi e nella Maddalena, l’altra in Corsica «con immunità».

Allevamento bovini Gallura oggi
Allevamento bovini Gallura oggi
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Presso monte Cuccaru
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