Piante e agricoltura

di Vittorio Angius – a cura di Guido Rombi

Pittaluga-Levilly, coltivatore tempiese, 1826

In altri tempi era poco praticata, e confrontata con la pastorizia la seconda era considerata occupazione di uomini generosi, la prima mestiere di codardi. A poco a poco l’opinione è migliorata constatando la maggior agiatezza dei coloni. Fu intorno al 1790 che cominciarono i pastori ad applicarsi ai lavori agrari, e ora molti per il guadagno percepito vi si applicano con un po’ più di diligenza. Quindi come per altri rispetti anche sotto questo punto di vista si capisce quanto i galluresi siano progrediti nell’incivilimento.

Lo stato però di questa attività è ancora generalmente arretrato sia per la ignoranza delle più necessarie relative conoscenze e dei metodi, sia per la non messa in pratica dei lavori che sono soliti farsi in altre regioni. Il frutto è scarso sia per questi motivi, sia e forse più, perché le coltivazioni non sono difese dal bestiame. La lontananza della maggior parte dei terreni arabili, la difficoltà per molti del trasporto dei prodotti, e la frequente perdita dei tori, che il clandestino ladro al soldo delle macellerie della Corsica caccia con il laccio scorsoio (lu infòcu), fanno che la seminagione non sia tanto estesa quanto potrebbe essere.

Un terzo almeno (237 miglia quadrate) della superficie della Gallura superiore (718 miglia quadrate) potrebbe essere coltivato; eppure non si opera che sopra un ottavo (91 miglia quadrate). E in questa estensione essendovi per le vidazzoni lo spazio di 38 miglia quadrate, che generalmente è divisa in tre distretti di lavoro e di riposo triennale, ne consegue che la vera estensione annualmente coltivata sia di 66 miglia quadrate, vale a dire poco meno della terza parte del suddetto terzo coltivabile. Secondo quanto detto, la quantità delle terre che si coltivano nella Gallura, comprendendo con le vidazzoni anche gli arvi dei pastori, si determina di 57,000 starelli, 45000 per le vidazzoni e gli arvi, 7000 per le vigne, 1000 per i giardini e orti, 4000 per le tanche.

Fertilità. Il terreno della Gallura essendo in gran parte silicioso non è molto produttivo per i cereali. Pertanto sono poche le zone dove i semi proliferano bene. Su tutte spiccano quelle del Liscia, il terreno a destra del Termo, le falde del Pino e del Plebi, e i campi di Arzachena. Abbondanti sono pure i raccolti che si ottengono dalle terre concimate con la cenere dei vegetali come col letame degli animali.

Vidazzoni. La gran parte sono molto lontane dai paesi; ne consegue che – fatti i necessari lavori – i terreni seminati sono lasciati al caso e alla discrezione dei pastori. I quali, se per questa attività hanno dovuto lasciar la casa che avevano nel luogo, si vendicano lasciandovi andar le greggi.

Lavori. Nelle vidazzoni ingombre di macchia mediterranea non si usa fare la preparazione primaverile.

Nel primo anno tagliate e bruciate le macchie si semina; nel secondo e nel terzo sradicati i polloni [formazioni vegetative che nascono tra fusto e radici, poco al di sotto del livello del terreno] si semina. In luoghi migliori però la terra viene lavorata come si usa comunemente dagli altri sardi.

Seminagione. Si seminano annualmente 8000 starelli di grano, 4000 d’orzo, 2000 di legumi, 1000 di lino. Si suole avere dal grano il 17 per cento, dall’orzo il 9 per cento. In altri tempi i pastori seminavano molto grano corso che non di rado rendeva sino al cento. Però, poiché questa specie non acquisisce la durezza del grano sardo e deve essere preparata alla macinazione col calore del sole o del forno, oramai è poco coltivata.

A diminuire e non di poco la raccolta dei cereali provvedono le locuste o cavallette, che – a volte un po’ meno, altre volte numerose e nocive – non mancano mai in Gallura. Se l’inverno è stato rigido si spera siano poche, ma se è stato temperato cominciano a comparir dall’aprile in sciami immensi e vivono sino ad agosto. Piange il povero contadino vedendo recise le spighe e annientate le sue speranze, o ridotto a pochissima quantità il frutto dei suoi sudori. Il morso di questi animali pare abbia talvolta intossicato i gambi, perché figliarono male le bestie che se ne erano alimentate.

Cominotti, Agricoltura, 1825-1826
Alessio Pittaluga, campagnuolo di Tempio, ca 1826

Merito all’ottimo sito www.antiquarius.it – grafica e cartografia antica  la proposta di questo acquerello di Alessio Pittaluga, che non fa parte del famoso Album Royaume de Sardaigne, edito da Marino e Campani a Parigi nel 1826; stampa pertanto acquistabile come pregiato pezzo raro da collezione su questo sito.

Trebbiatura e agricoltura in Gallura
Trebbiatura e agricoltura
Trebbiatura e agricoltura in Gallura
Trebbiatura e agricoltura in Gallura
Agricoltura in Gallura
Agricoltura in Gallura
Trebbiatura e agricoltura in Gallura
Trebbiatura e agricoltura in Gallura

Le foto qui proposte sono state scattate dall’Autore di questo sito nel cortile dell’ex Collegio degli Scolopi di Tempio, oggi sede della Biblioteca comunale, durante la rassegna Primavera in Gallura – Stazzi e Cussogghj, ed. 2019, a cura della Associazione Stazzi e Cussogghj, svoltasi il il 28-29-30 giugno 2019.

SI VEDA QUI https://www.primaveraingallura.it/

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