BORTIGIADAS (1834) di Vittorio Angius

a cura di Guido Rombi

NOTA. Altre informazioni su Bortigiadas e i suoi abitanti sono alla voce Gallura, cui si fa necessariamente rimando.

Per la versione originale:

Posizione e cenni storici. Bortigiadas risulta nascosto fra i monti e non è visibile che dalla strada reale da cui dista meno di mezzo miglio.

È situato nella china d’un monte rivolto soprattutto a mezzogiorno. Consta di 250 case, divise in strade irregolari.

Il comune è di origini feudali. Per le prestazioni si veda l’articolo Gallura. Per l’amministrazione della giustizia si ricorre alla curia di Tempio distante circa due ore.

Apparteneva all’antica curatoria Gèmini, del giudicato di Gallura. Alcuni pensano che il suo nome derivi da Oltiju (sughero), e fosse veramente Oltijada, per il fatto che tutte le case erano ricoperte di sughero invece che di altri legni.

Popolazione. I lavori artigianali non sono molto sviluppati.

Le donne sono sempre applicate alla tessitura sopra 200 telai per panni di lana e lino.

La scuola normale è spesso del tutto vuota, poco curandosi i padri della istruzione ed educazione dei figli e non essendo da alcuno ammoniti del loro dovere.

È questo popolo sotto la giurisdizione del vescovo di Cìvita. La chiesa principale è dedicata a San Nicolò di Bari. Il parroco si intitola rettore, e tiene coadiutori tre altri preti.

L’ordinario numero della popolazione sedentaria è di 600 anime in 190 famiglie: altrettanti sono i pastori. Si sogliono contrarre all’anno circa 14 matrimoni, nascono 35, muoiono 20. L’ordinario corso della vita è ai 60. Le frequenti malattie sono infiammazioni di petto, e febbri periodiche.

La foggia del vestire è simile alla usata dagli altri galluresi. Si distinguono però le donne bortigiadesi dalle loro gonnelle più corte: ma come le aggesi ritengono il velo bianco, e la benda (sa caviedda).

Come nelle due feste rurali sunnotate, così nelle altre usasi la beneficenza di elargire ai concorrenti pane e carne. Quando i bortigiadesi vanno a festeggiare il capitano della cavalleria porta la bandiera del santo e trae dietro tutta la comitiva. Si usano fare le carole (il ballo tondo).

Questi popolani sono spesso accusati di furto e di vendetta. Peccano pure d’infingardaggine. Molti tra quelli che si applicano allo studio amano lo stato ecclesiastico e le famiglie più importanti usano ogni sorta di ragionamento e tutta l’autorità per indurveli. Ciononostante i bortigiadesi sono abbastanza insofferenti sia del freno civile sia di quello religioso: si contano undici parroci uccisi, il dodicesimo sentì da vicino il fischio delle palle, il tredicesimo fu ricercato a morte. Questa fine incontra spesso chi fa il proprio dovere senza riguardi della prudenza.

Chiese. Le chiese del comune sono Santa Croce, e la Vergine del Carmelo nel paese; e fuori altre sette, che sono Sant’Antonio abate, distante poco più di mezzo miglio a sud; Santa Lucia, a quasi uguale distanza ad oriente; San Lussorio e San Michele arcangelo a settentrione, vicine l’una all’altra; la SS. Trinità, e San Brancazio ad occidente, in pari distanza; San Rocco, sulla sponda del Coghinas, nella regione detta la Scasta vecchia, bella chiesetta dentro un boschetto di lecci, sughere e lentischi, in cui si fa una festa popolare con gratuito pubblico pranzo ai partecipanti (si veda Barbagia – Feste de corriòlu). Altra festa molto partecipata è quella che si celebra in onore di San Brancazio nella sua chiesa, posta sulla cima del monte presso una copiosa fonte. Da qui lo sguardo spazia su un vastissimo orizzonte.

Agricoltura. L’estensione territoriale potrebbe eguagliare le 30 miglia quadrate. Il terreno coltivabile è adatto alle vigne e ad altre piante fruttifere. Queste non sono più di sei specie, e la somma delle unità non sorpassa il migliaio.

Poche sono le qualità delle uve e scarsa la raccolta, e si deve supplire comprando non poco da Tempio e da Luras.

Siccome in massima parte il terreno è sassoso e boschivo, si può appena seminare 250 starelli di grano, 100 d’orzo, 50 di fave, la raccolta può arrivare al settuplo. Di lino se ne raccoglie tanto quanto esigono i propri bisogni.

Le tanche o grandi chiudende occupano una brevissima estensione del territorio. Vi si semina, ma più spesso vi si tiene il bestiame manso a pastura.

I boschi sono insieme di querce, lecci, sughere, roveri, lentischi, corbezzoli, ontani. Occuperanno pressoché 18 miglia quadrate, in figura triangolare.

I monti più rilevanti del bortigiadese sono Monte Ruju, e Monte de Biancu.

Pastorizia e pastori. Questo il bestiame che si alleva: pecore 2000, capre 1500, vacche 300, porci 200. Il numero maggiore pascola nel Sassu, dove i bortigiadesi sono più numerosi degli aggesi.

Il numero delle persone che vivono nei casali o stazzi in questo sito insieme a quelle che abitano nelle varie cussorge (distretti pastorali) del comune, è all’incirca pari a quello del paese.

I formaggi fini essiccati al fumo sono di mediocre bontà e ‒ con gli altri prodotti della pastorizia ‒ si sogliono vendere a Castelsardo.

Le famiglie di cervi, daini, cinghiali e volpi sono numerosissime. La caccia di rado ne diminuisce il numero. Anche quelle dei volatili sono molte e numerose.

Fonti e fiumi. Non saprei tra le innumerevoli fonti che da ogni parte versano acque pure e salubri quali siano le più considerevoli per l’abbondanza. Parecchi ruscelli solcano il fondo delle valli, il Puddìna, il Rio di San Brancazio, il Ladas, Vena de Rodas, Rio di San Rocco.

Nascono tutti in questo territorio, sono perenni, tranne il solo di San Rocco, e sfociano nel Coghinas. Questo fiume delimita i confini del comune per una linea di alcune miglia. Si pesca in novembre e dicembre, e spesso anche in gennaio, una non piccola quantità di anguille, muggini, lupi.

In questo territorio vi sono due soli nuraghi, ambedue in gran parte distrutti.

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