1841: LA GALLURA

di LUCIANO BALDASSARRE

Estratto da

CENNI SULLA SARDEGNA

 OVVERO

USI E COSTUMI, AMMINISTRAZIONE, INDUSTRIA E PRODOTTI DELL’ISOLA

ORNATE DI 20 TAVOLE MINIATE  E COMPILATI

DAL DOTTOR

BALDASSARRE LUCIANO ⇒

Seconda Edizione

Torino, presso Carlo Schiepatti Librajo Editore

1841, 1843

LA PROVINCIA DELLA GALLURA

La vasta, salubre, popolata regione, che dalla Gallica colonia ond’ebbe origine, il nome serba di Gallura, occupa la più settentrionale estremità dell’isola e tuffa nel Mediterraneo i frastagliati suoi margini. L’innocuo clima, leggerissimo l’aere infondono la freschezza, il vigore, la salute negli abitanti, che i più poetici a ragione sono dichiarati.

La generosità, l’onore stan saldi nel petto a questi montanari, che spinti dal nazionale ardore continuano tuttora a cantare estemporanei carmi.

Dal medesimo istinto son dominate le donne, le quali al giungere d’uno straniero, lo presentano d’un fiore e lo felicitano in melodiose rime. Elleno sono celebri nei lugubri pianti, quando compiendo l’uffizio di piagnoni alzano presso i cadaveri canti di duolo. Le pastorelle poi, le leggiadre fanciulle in abiti eleganti, nudi i piedi, piena di brio la fisionomia e teneramente espressiva vanno attingere l’acqua alle fontane portando lievemente con tutta la sicurezza le brocche sul capo.

In tutti i paesi della Gallura è in vigore l’usanza della Graminatorgiu[1]. [1]Termine derivato dal verbo sardo graminare, éplucher carder, mondare spelazzare.

L’epoca del tosare trascorsa, e quella pervenuta di spelazzare la lana greggia, s’ intraprende in pubbliche adunanze questo lavoro, invitandovi i parenti, gli amici, i vicini, i quali volentieri intervengono, e le donne e zitelle particolarmente vestendo in questa circostanza i migliori addobbi. Esse siedono in cerchio attorno al mucchio di lana, e gli uomini s’adagiano a capriccio, altri lavorando, altri favellando gioiosi detti alle vicine, altri tentando con sospiri ad intenerire le loro crudeli.

In tutto il tempo del lavoro non cosi tosto condotto a fine, intuonansi canzoni, succedonsi strofe a strofe cantate al suono d’una chitarra a corde metalliche: queste si improvvisano quasi sempre tra due individui di sesso differente, e s’imprendono dialoghi rimati sopra qualunque soggetto grato alla compagnia. Tal passatempo, cui prende parte tutta la comitiva, diverge la monotonia del lavoro, ne addolcisce la noia e finisce quasi per divenire l’oggetto primario della riunione. Appena spelazzata tutta la lana, allorchè non ve ne rimane altra a mondare, allora si scioglie il circolo e per molte ore s’intraprendono le danze.

L’agricoltura è rivolta alle biade, alle vigne ed alle piante fruttifere: flagello delle messi sono in questa provincia come in quella d’Iglesias le cavallette. Immensi vivono gli alberi ghiandiferi, e quivi furono instituiti i primi saggi dell’utilizzare in commercio i sugheri.

La pastorizia forma la felicità del paese e restringesi alle cinque specie, di cavalle, vacche, pecore, capre e porci: pascono questi animali nei proprii territorii dei pastori, i quali posseggono nei distretti capanne o case chiamate cussorgie.

Luciano Baldassarre -  costume di Tempio, 1841
Luciano Baldassarre - venditrice di sapone di Tempio, 1841

Tempio

Il giorno che vide dettata da filantropicamente l’abolizione del feodalismo nell’isola, conobbe Tempio creata città.

È questa come gli altri villaggi della Gallura fabbricata d’un lucente e duro granito, e molte delle sue case potrebbero a ragione paragonarsi ai sontuosi palagi italiani.

Una fontana eretta nel 1830 del medesimo granito porge un’acqua eccellente agli abitanti.

Dalla cappella di San Lorenzo spaziasi l’occhio estesamente sulle circostanti colline, sulle sospese roccie, sottoggette vallate e finisce col disperdersi nell’immensità del mare.

Anche improvvisatori i Tempiesi non mancano di porgere lena alle instantanee inspirazioni ad ogni evento piacevole e festoso, stabiliendo tra loro dialoghi e canti: eccone un frammento d’uno di due pastori dei dintorni di Tempio.

Dimmi tu Petru d’Achena
Chi ti oddu priguntà;
Si no aggiu chi magnà
E incontru chi piddà,
Pidduraggiu cosa augena?

Si cun mecu si confiddi,
De’ ti oddu confiddà,
Si no hai chi magnà
E incontru chi piddà,
Maccu sei si non lu piddi.

Li to’ considdi so’ boni,
Però m’incontru imbruggliadu:
Di lu chi araggia piddadu
Saraggiu poi obbligadu
A la ristituzioni?

– Ann’ui a fa di duini
Si chistu contu ti fai,
Maccu sei si tu non sai
Chi in la nizissidai
Tutti li be’ so’ comuni (1).

(1) Dimmi tu Pietro d’Achena
Un’inchiesta ti vo’ far;
Se non ho di che campar,
E rinvenga che pigliar,
Prender posso senza pena?

Se t’affidi al mio parlare,
Un parer ti vo’ donar,
Qual tu sei senza mangiar,
Se ne trovi, il dei pigliar,
O per pazzo vuoi passare.

Bello è in ver questo tuo dire,
Ma rimango un po’ imbrogliato:
A colui che avrò rubato,
Tutto il ben da me pigliato
Dovrò quindi restituire?

Tal pensier se ti tormenta
Star digiun molto dovrai;
Pazzo sei, se ancor non sai,
Che in bisogno, in fame e in guai
Ogni ben comun diventa.

Terranova

Sopra un magnifico golfo reso impraticabile da un banco d’arena gettato dai Genovesi nelle guerre Pisane, sorge questo marittimo villaggio spopolato, insalubre e fondato sugli avanzi dell’antica Olbia.

Esiste nella campagna l’abbandonata chiesa di san Simplicio fatta dimora di notturni augelli: s’agitano questi strepitosamente e cercano urlando un passaggio per le anguste finestre ogni qual volta vi penetra un qualche visitatore. Osservansi in questa chiesa due colonne di quel granito istesso, onde formaronsi quelle di santa Maria Maggiore in Roma, e quelle probabilmente dei battisteri Fiorentini e Pisani, e sembra potersi indurre essere stato tal marmo colà trasportato dai curiosi ammassi granitici, che giacciono a Santa – Reparata presso Longo-Sardo.

Una pittoresca veduta godesi dal luogo detto Cucotto: gradatamente presentansi e il golfo, e la mentovata cappella, e la vasta piana seminata di colli, ed in ultimo apparisce l’isola di Tavolara. Così bella e florida la pianura di questo villaggio tanto vantaggiosamente disposta sulle sponde del mare, difesa da montagne e rischiarata da un cielo ameno, era sede una volta di dodici città e settanta distretti.

Chiunque dalla Corsica veleggiando tocchi la Sardegna approdando a Terra Nuova, non va esente d’immensa meraviglia osservando per la prima volta questi isolani, scorgendosi in mezzo a questa popolazione incolta ma generosa, ed esaminando tali uomini dalle folte barbe, dai bruni vestiti, dai visi abbronzati, dai crini liberi e sparsi, e coperti di armi così nuove e così teatrali.

Aggius

Giungesi in un’ora da Tempio a questo villaggio posto sul pendio d’un alto colle composto di circa duecento case, e noto per l’energia e generosità degli abitanti tutti pastori od agricoltori: quivi è celebre similmente l’espressiva azione che si parte alle danze accompagnate dal canto o da musicali istrumenti.

Un’ agiatezza non comune posseggono i pastori, i quali enumerano nelle proprie tanche sino a cento capi di bestiame per qualità: e moltissimi tra quelli tengono innumerevoli alveari, i quali con ogni attenzione diligentati somministrano largamente il così salubre miele della Gallura.

Sgorgano nelle vicine montagne fresche sorgenti, dalle quali non solo è procurata l’acqua al villaggio, ma deriva la bontà e l’abbondanza dei pascoli.

Luogosanto

Nel centro delle folte foreste trovasi il luogo Santo, così nominato dalla solitaria dimora ch’ivi cercarono ed ebbero i due santi Trano e Nicola, venerati e visitati dai divoti pellegrini accorrenti.

[…] Avviene altre volte, che riunendosi i contadini dei vicini villaggi, e particolarmente nei dintorni di Tempio e di Orgossolo, si propongono sfide di corse coi proprii loro cavalli: allora si eleggono ordinariamente le strade più difficili e più ineguali. Un singolar pregio considerato nei campioni di tali esercizii è l’immobilità dello schioppo, il cui calcio si tiene appoggiato sotto l’ascella, e si porta la canna sporgente in avanti alquanto inclinata verso la terra.

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