II.2 – Il carattere dei Galluresi e la vita negli stazzi

di Maria Azara

La popolazione è molto ospitale, specialmente quella rurale. Nei tremila stazzi (13) sparsi nella campagna gallurese l’ospite è sacro. Egli è rispettato e trattato nel miglior modo possibile, ma deve, a sua volta, non abusare dell’ospitalità, ricambiarla, se occorre (14), e in ogni caso rispettare luogo e persone che lo ospitano.

Il tradimento dell’ospitalità, sia da parte dell’ospitante sia da parte dell’ospitato è una fra le offese più gravi, che possa essere fatta a un gallurese; e talvolta la immancabile punizione è rapida o molto severa.

Il carattere dei galluresi è fiero e leale; tenaci e fedeli nell’amicizia e nell’amore diventano terribili quando l’odio ne invade il cuore. Pronti d’ingegno sono anche pronti di mano quando si sentono ingiustamente offesi, ma se alcuno riconosce il proprio torto e ne chiede scusa, sono pure generosi e perdonano. Infieriscono invece contro chi si ostina a disconoscere il loro buon diritto se sono intimamente persuasi di averlo. Il DE ROSA (Tradizioni popolari di Gallura, Tempio, 1900, pag. 19 e segg.) ha dedicato nel suo volume molte pagine interessanti per descrivere il carattere fisico e morale degli abitanti di ciascuno dei principali comuni galluresi. Tutti gli autori concordano nella descrizione del carattere, in genere, dei galluresi con quanto scrissero il LA MARMORA e il MALTZAN dei quali soltanto mi limito a riprodurre qualche periodo (15).

Il gallurese ha abitudini di parsimonia nell’alimentazione. Questa negli stazzi è costituita quasi esclusivamente dei prodotti della pastorizia e dei cereali. Si può dire che ogni stazzo costituisca una unità con propria autarchia economica (16).

 (16). Fra i prodotti alimentari tipici degli stazzi è il latte fermentato che si chiama miciuratu o jóddu, una specie di «jogurt» bulgaro, che, sotto questo nome è preparato, anche a Roma e in tutto il Regno. Dal quaglio del latte i pastori ottengono poi la brucciata (ricotta) e la giuncata (latte cotto quagliato), lu culostru (latte di pecora o di capra rappreso). Ottimo è il burro che essi preparano l’óciu casciu (grasso proveniente dal fiore del latte) o manteca; casciu furriatu (pezza di formaggio fresco tagliata a fette 24 ore prima, composta in un vaso di rame con fior di latte e talvolta anche con farina e miele mescolati insieme).

Nei banchetti, poi, tenuti in occasione di liete o tristi cerimonie, non manca mai la mazza frissa (la traduzione letteraria è «pancia fritta») che viene preparata con semolino e fiore di latte cotti insieme e poi raddolciti con zucchero o, più spesso, con miele. Altri prodotti ottenuti dai pastori con minimo dispendio sono: l’olio estratto dalle coccole del lentischio, denso, nero di aspetto non bello, ma di sapore non sgradevole, e il miele, di cui una qualità prodotta in abbondanza nell’autunno è detta amara mentre è gustosissima al palato non appena superata la prima impressione di amarezza.

 Ed è probabile che questo attaccamento dei galluresi alla terra ─ da cui sono indotti a mantenere fissa la loro residenza in campagna (17) mentre altrove intensifica l’urbanesimo ─ sia una delle cause principali dell’incremento demografico che raggiunge in Gallura il 74 per cento mentre quello medio dell’Italia è del 31 per cento (18).

(17). La popolazione del comune di Tempio è accentrata in città soltanto per meno della metà.

Quanto a manifestazioni folkloristiche (l’ho già accennato più sopra e pur lo aveva rilevato molti anni or sono il MALTZAN, (cfr. sopra nota 15) poche se ne osservano in città mentre sono rimaste tenacemente vive nella campagna.

Ma anche qui sono alquanto cambiate le abitudini rurali. L’antica casa dei pastori ─ (si trova ancora negli stazzi più remoti) ─ si componeva di uno o due vani terreni, costruiti di pietra grezza legata con fango, senza intonaco interno ed esterno: sui muri perimetrali un tetto di cotto a due spioventi, poggiante su un graticcio di canne sostenuto da una travatura di grossi tronchi greggi di ginepro. Nel centro del vano, sul pavimento di terra battuta, un tratto di argilla levigata di forma ellittica faceva da focolare (fuchili o zidda), dove si cucinava, si cuoceva il pane, si scaldava il latte: nelle veglie serali raccoglieva intorno a sé familiari e vicini. Vi ardevano grossi ceppi, la cui fiamma provvedeva anche all’illuminazione. Il fumo non disturba, come si potrebbe credere, soverchiamente le persone, trovando facile via d’uscita fra le fessure del tetto. In quest’unico vano trovavano sufficiente ricovero tutti i membri della famiglia, ammogliati e scapoli: né si ritenga che da tale promiscuità fossero compromessi quei principi di sana morale familiare, che sono sempre stati e sono tuttora vanto precipuo delle popolazioni della Gallura. L’altro vanto, quando c’era, era riservato agli ospiti. I mobili erano limitati a uno o due letti di legno (coperte e lenzuola erano tessute in casa), a qualche cassapanca adattabile a giaciglio, a sgabelli, a un tavolo e ad un armadio per la collocazione del secchio per l’acqua.

Cresciute, col penetrare della civiltà, le esigenze, una vera rivoluzione si è attuata nel tenore di vita e nell’abitazione di questo popolo; il numero di vani è cresciuto, la funzione di lu fuchili (di la zidda), dove è rimasto, è oggi soltanto quella di dare calore per l’essiccamento delle forme di formaggio, che sono messe a stagionare su graticci di tavole sostenute da corde legate alle travi del tetto. Il numero delle stanze è aumentato, spesso si trovano stazzi con piano superiore. In grandissima maggioranza gli stazzi hanno vicino vigna e orto, e quelli più ricchi stalle ben costruite e fienili e locali per deposito di arnesi rurali e di provviste. Progrediscono i sistemi dell’agricoltura e progredisce il tenore di vita, ma il vero pastore non rinunzia alle antiche costumanze. Anche se egli possiede un grammofono, e qualcuno ricco perfino la radio, non manca la vecchia fisarmonica per suonare i balli antichi e non manca al giovane pastorello la zampurra, l’ocarina e lu sunittéddu (piccola fisarmonica per bocca) con cui egli si diletta mentre guida il gregge, se pur non lo si vede talvolta, con un libro fra le mani quasi a dimostrare che la lotta contro l’analfabetismo, a mezzo delle scuole rurali, ha fatto in questi ultimi anni passi da gigante.

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(13). Tanti ne indica il LISSIA (La Gallura. Studi storico sociali, Tempio, 1904, pag. 5), ma oggi ve ne sono probabilmente molti di più, perché sebbene alcuni proprietari pastori siano andati ad abitare in città, hanno conservato gli stazzi e ne hanno costruito altri non solo per far posto alle famiglie di cui aumentavano le unità, ma, dove l’estensione della terra lo consentiva, per ottenere migliore reddito.

(14). Uno degli usi più caratteristici della Gallura è quello della «punitura» che si riallaccia all’ospitalità e, al dovere di aiutare chi ha bisogno.

Ne accennano quasi tutti gli autori che si occupano di folklore della Gallura.

Ebbi occasione, trovandomi in campagna presso Tempio, di sentire un pastore dolersi di aver dovuto dare un agnello che gli era stato richiesto in «punitura» da altro pastore, che gli era evidentemente antipatico e al quale non molto tempo prima aveva rifiutato di vendere, in libera contrattazione, non ricordo quale specie e quale quantità di bestiame. L’obbligo, semplicemente morale, di solidarietà, gratuitamente prodigata, era stato in lui molto più potente dell’onesto desiderio di guadagno in un normale scambio commerciale, e gli aveva perfino fatto superare l’antipatia personale.

La «punitura» consiste in questo. Se un pastore perde, per circostanze indipendenti dalla sua volontà, il proprio gregge o il proprio armento (per es. a causa di inondazione, o di incendio o di epidemia ecc.), egli può iscì a puni recarsi cioè presso altri pastori-proprietari. per lo più amici, e, chiedendo a ciascuno un giovine capo di bestiame, ricostituirsi un piccolo gregge o armento, che gli dia modo di ricominciare a lavorare per riformarsi il patrimonio. Va da sé che l’obbligo di corrispondere oppure no alla richiesta dipende dalla condizione in cui si trova colui al quale la richiesta stessa è rivolta, e che al richiedente non è consentito l’abuso, anche perché le notizie concernenti chi «esci a punì» sono prestissimo note in tutti gli stazzi e le cussorgie dei dintorni, (le «cussorgie», sono costituite da un raggruppamento di stazzi), tanto per ciò che concerne le perdite subite, quanto per il modo con cui, lu punidori, cerca di ripararle; e l’esagerazione non sarebbe tollerata.

Meno ancora sarebbe tollerato il rifiuto, da parte di chi si è avvantaggiato della «punitura», di ricambiarne il beneficio quando altri, in bisogno, battesse alla sua porta per lo stesso motivo. Circa la «punitura» cfr. DE ROSA F., La punitura nella Gallura, in «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», 1900, vol. XIX, pag. 269 e segg. e lo stesso DE ROSA, Tradizioni popolari di Gallura, Tempio, G. Tortu, 1900 pag. 135 e segg.

(15). Il LA MARMORA, Itineraire de l’Ile de Sardaigne, Torino 1860 vol. II, pag. 426, dice: «Les habitants de cette province (Tempio) passent par les plus intelligents parmi les Sards; ils ont plus de facilité pour certaines études, pour la poésie et pour les chansons improvisées; on cite un Pes parmi leurs poëtes les plus fameux. Leur language se rapproche plus de que du Sard, c’est à dire il tient du dialecte Corse».

Il MALTZAN, Reise auf der Insel Sardinien, Leipzig, 1869, pag. 375, scrive a sua volta: «Das Volk (di Tempio) gilt für das klügste, fortgeschrittenste und industriellste von ganz Sardinien, man kann es jedoch kaum als ächt sardinisch bezeichnen, da sowohl Dialect wie Sitten und Gewonheiten sich als italienischen erweisen».

Circa le ultime proposizioni occorre tenere presente che il MALTZAN dichiara che a causa del cattivo tempo e della mancanza di mezzi di trasporto non poté né salire nel Limbara, né recarsi in campagna, onde ritornò a Sassari insoddisfatto della gita. Se fosse potuto andare nel villaggio e sopratutto negli stazzi avrebbe ben trovato anche i costumi e gli usi antichi di Sardegna. Sul carattere dei galluresi possono inoltre essere consultati utilmente:

LISSIA S.: La Gallura. Studi storico sociali. Tempio, G. Tortu, 1904.

LEDDA P.: Paesaggi e costumi di Gallura in «Rivista Sarda», 1930, fasc. II, pag. 13 e segg.

ANGIUS V.: in Casalis G., Dizionario geografico, storico-statistico-commerciale, degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1840, vol. VII, pag. 132, il quale conclude i suoi rilievi dipingendo i galluresi come «pieghevoli alla ragione e facilmente educabili, accorti, coraggiosi, sprezzatori di pericoli, irritabili, puntigliosi, pronti e fervidi nell’ira a vendicar le ingiurie, generosi spesso ai più odiati nemici, favorevoli ai forestieri, superbi per la opinione della naturale eguaglianza, niente rispettosi della superiorità che affettisi per solo favore della sorte, soggetti ai magistrati imparziali quantunque severi, obbedienti all’autorità di coloro che devono sostenere l’ordine pubblico e operano per officio e con moderazione, e devotissimi al sovrano…».

(18). Prendo questi dati dal volume del MARTELLI V.: La Sardegna e i Sardi, Cagliari, 1926, pag. 26, che contiene notizie particolareggiate e interessanti grafici in materia.

Non ho avuto il tempo di aggiornare le cifre, ma è certo che in questi ultimi quindici anni le condizioni demografiche sono migliorate, come si è rilevato dalle notizie statistiche pubblicate sui giornali.

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