IV

La costituzione psichica

di Silla Lissia

Il Gallurese è facile all’odio ed all’amore, e nell’uno e nell’altro è perseverante fino al delitto. Generoso ed ospitale per impulso spontaneo e per tradizione, diventa feroce nella vendetta. Il sentimento della vendetta è così profondamente radicato nell’animo della popolazione gallurese, che sopraffà ogni altro sentimento e ne determina la condotta morale.

La vendetta è personale e famigliare. Quest’ultima è rimasta come una sopravvivenza dell’antica costituzione gentile, per cui tutta una gente era tenuta a vendicare le offese portate contro qualcuno dei suoi membri. Ed il gallurese vendica personalmente le offese fatte al suo individuo sull’offensore: ma quando egli per una ragione qualunque non può da sé compiere la sua vendetta, la compiono gli altri della sua famiglia, del suo parentado: e quando la vendetta non può cadere sull’offensore, ricade su qualche altro della famiglia di lui. Generalmente però dalle conseguenze della vendetta famigliare sono escluse le donne ed i bambini: ed è reputata opera vile e disonorante far cadere la vendetta su di un essere debole, quale è la donna od il bambino.

Guardingo dal recare altrui offese senza motivo, il gallurese non tollera che gliene siano fatte; e quando ciò avvenga la vendetta riparatrice può tardare ma non manca. Perché egli reagisce facilmente ed impulsivamente quando le offese sono di poco momento; ma quando queste sono gravi e meritevoli di altrettanta grave punizione, allora sa contenersi, minaccia al più, e medita a lungo la vendetta e studia il piano perché questa riesca bene e completa.

Il sentimento della vendetta è comune in generale a tutti i galluresi, ma mentre va mano mano attenuandosi nelle popolazioni cittadine, si mantiene ancora forte nelle popolazioni disperse nelle campagne.

Il cittadino più facilmente invoca l’aiuto dei Tribunali a riparazione dei torti ricevuti, mentre il pastore si vale ancora della ritorsione primitiva o coi danneggiamenti sulle proprietà o addirittura coll’omicidio.

Nel cittadino, che ha a portata di mano il pretore ed il procuratore del re, il sentimento di vendetta invece di esplodere nell’uccisione e nel danneggiamento, si esaurisce nella litigiosità, che è l’equivalente psichico della vendetta.

Il pastore invece, oltre essere abituato a farsi giustizia da sé, paventa il viaggio lungo e disagevole per arrivare al paese e tutte le seccature e le spese di un procedimento giudiziario e vi rinuncia valendosi degli antichi metodi di giustizia personale. Tuttavia quando sorgono contestazioni di qualunque genere fra i membri di una stessa famiglia o fra due famiglie amiche, i pastori ricorrono volentieri all’arbitrato di un tribunale di probi uomini, il cui giudizio rispettano religiosamente. E quando il punto d’onore non entri in qualche modo in quelle controversie, la maggior parte viene risolta amichevolmente, senza lasciare rancori e disgusti nelle parti.

Ma il punto d’onore è frequentemente causa di discordia e di odi, perché è elevatissimo nel gallurese e su di esso non si transige. L’onore del gallurese si va a ficcare dappertutto: nella sua persona fisica e morale, nella sua famiglia, nella sua proprietà, nelle sue bestie; un torto fatto quindi alla sua persona od a qualche membro della sua famiglia, un danno portato volontariamente alle sue terre od al suo bestiame, intacca il suo onore e richiede la vendetta. Ma spesso esso non è che prepotenza, superbia, selvatichezza.

Oggi però questo punto d’onore, che tanti lutti ha portato nelle famiglie galluresi, va facendosi più razionale al contatto della vita civile, ed oggi non sarebbero più possibili quelle fiere e micidiali inimicizie che una volta irrorarono di sangue umano le valli ed i monti della Gallura. Mano a mano che il pastore si fa agricoltore e si accosta di più alla vita agglomerata, e mano a mano che la popolazione vive più a contatto della civiltà nei centri e nelle borgate, l’animo si ingentilisce, il senso morale si affina e si fa più alta estimazione della vita e della solidarietà umana.

Il gallurese, come il sardo in genere, è privo di iniziativa e tutto chiede e tutto aspetta dalla provvidenza e dallo Stato. Per lui lo Stato è tutto: quello che oggi dà il malessere e quello che potrebbe e dovrebbe dare il benessere e l’agiatezza. Questa statolatria fa sì che egli non pensi alle sue cose se non per mezzo e tramite del governo: e così diventa querulo e bestemmiatore ad ogni contrarietà senza però uscire dalla sua inerzia. Ed è questa forza d’inerzia che lo rende misoneista e lo porta a ripetere rutinariamente le abitudini ed i costumi degli avi. Ma allo stesso tempo che attribuisce a colpa del governo lo stato miserevole in cui si dibatte, non ha alcun desiderio di mutamento di governo, nessun impulso di ribellione, non compie alcuno di quegli atti che valgano a decidere il governo ad agire in suo favore.

Un esempio classico l’abbiamo avuto anche recentemente. È nella convinzione di tutti i galluresi che il passaggio del porto di Terranova alla prima classe, oltre alleggerire i comuni da un grave peso finanziario, avrebbe l’effetto di stimolare il commercio e l’industria regionale e di favorire lo sviluppo demografico e sociale del villaggio di Terranova. Orbene dietro iniziativa di alcuni e per appoggiare l’azione spiegata in Parlamento a favore del porto di Terranova dal deputato del collegio, onorevole Giacomo Pala, si venne nella decisione di indire un comizio regionale a Tempio di protesta e di sollecitazione. Ma quel comizio fu la migliore dimostrazione dell’inerzia gallurese e dell’assenza del senso politico nella nostra popolazione. Qualche consiglio comunale propose anche le dimissioni in massa di tutti i consigli comunali della Gallura, qualora il governo si fosse mostrato sordo alle giuste richieste; ma nessuno rispose all’invito ed anzi il maggior consiglio, quello di Tempio, dichiarò per bocca del suo capo che non era conveniente procedere ad un atto di così aperta ribellione che avrebbe disgustato il governo.

Il gallurese è conservatore, non per convinzione politica ma per inerzia psichica, per debolezza volitiva. Egli non sa pensare e volere per suo conto, da qui una rassegnazione fatale che porta all’annullamento dello spirito, alla negazione della vita stessa; soffre e si lagna, ma è il lagno dell’impotente, cui è venuto meno ogni impulso di energia fisica e morale.

Diffidente per indole e sospettoso per mancanza di un largo senso di solidarietà e di sociabilità, il gallurese non è capace di metter su e di mantenere una società commerciale od industriale, un’associazione politica ed economica. É l’individualismo della razza, direbbero gli antropologi, contrario alla socievolezza. Non è un individualismo determinato da un eccessivo amore di indipendenza, non è l’individualismo fecondo di attività e di produzione, ma piuttosto un individualismo figlio dell’ignavia e dell’egoismo. Allo stesso modo che il gallurese è rimasto molto vendicativo per la prevalenza nella sua psiche dei sentimenti egoistici, così è rimasto poco socievole. La sua psiche è ancora molto primitiva, la sua morale sociale quella arretrata della famiglia, per cui la sua solidarietà non esce fuori della cerchia famigliare.

Ed è strana questa diffidenza e questo egoismo in un popolo che fino a ieri ha si può dire vissuto nel quasi comunismo. Era da aspettarsi una forte comunanza di pensiero e di volontà, un grande spirito di concordia e di unione in un popolo che ha avuta fino a poco tempo addietro la comunanza delle terre. Qui è evidente una dissociazione ed una indipendenza del fatto psicologico dal fatto economico. A determinare questa dissociazione hanno concorso due fattori: il dominio straniero e la formazione della proprietà privata.

Dai Cartaginesi ai Romani ed ai Piemontesi, ma specialmente sotto gli Spagnoli, la politica di governo fu sempre quella di seminar discordie tra città e città e tra villaggio e villaggio, e di aizzare gli uni contro gli altri gli abitanti di uno stesso paese secondo il precetto del divide et impera. La conseguenza fu il dilaniarsi a vicenda delle città e delle popolazioni sarde e l’inferocire quelle terribili fazioni che affogavano nel sangue un intero paese. Quel veleno sottile, lungamente e continuamente iniettato nell’animo del popolo sardo, ha prodotto la sua costituzione psichica piena di invidia, di sospetto e di odiosità.

D’altro canto lo sfasciarsi della proprietà feudale e comunale stimolò potentemente il formarsi di quello spirito egoistico che caratterizza la proprietà privata individuale. È vero, la comunanza delle terre non impediva che i pastori si disputassero i pascoli l’arma alla mano e che sorgesse quindi fra loro il sentimento della gelosia e dell’invidia. Ma il gallurese, che sapeva di sottrarre all’uso comune quel tratto di terra che voleva far suo, che sapeva che con ciò avrebbe danneggiato gli interessi dei suoi compagni, diveniva rabbiosamente individualista, violento, sospettoso. L’idea della proprietà privata lo assorbiva, lo rendeva rapace ed ostile alla vita in comune, alla vita associata. Egli si chiudeva nel suo stazzo o nel suo pezzo di terra, si isolava e disconosceva i vantaggi dell’associazione delle forze singole in vista di uno scopo comune. Tutto il mondo si racchiudeva nella zona della sua influenza personale e non cercava né si curava di altro.

Delle antiche abitudini comuniste se ne è conservata tuttavia una ottima, la cosiddetta ponitura, la quale è la manifestazione più bella della solidarietà umana. Se a qualcuno veniva a morire per epidemia o per una disgrazia qualunque il gregge o la mandria che possedeva, o se qualcuno, dovendo metter su casa, non aveva né gregge né mandria, i cussorgiali davano ciascuno uno o due capi fino a ricostituire l’antico o formare il nuovo gregge. Quest’abitudine era più larga per lo passato, quando, essendo comuni i pascoli, ognuno, volendo, poteva diventar pastore.

Quanto il gallurese è tenace negli odi e nella conservazione delle pratiche antiche, tanto lo è poco nei propositi civili. Il difetto di iniziativa gli fa intraprendere pochi negozi (va fatta eccezione per i Lurasini che rappresentano i Lucchesi di Gallura) ed in quelli che intraprende è facile allo scoraggiamento ed all’abbandono.

Questa facilità di lasciarsi governare dagli eventi potrebbe in altre condizioni essere una buona qualità: ma nelle condizioni di spirito del gallurese è una qualità negativa e dannosa, perché, se evita il persistere in avventate è disastrose imprese, impedisce altresì di persistere in quelle, nelle quali fa d’uopo di paziente, lunga, costante attesa. E quel che è peggio, nei casi di fallimenti altrui trova le ragioni per giustificare e scusare la propria indolenza e non uscire dalla fatale inerzia nella quale è beato di vivere.

Tutte le nuove imprese sono esposte ad una cattiva riuscita sia per imperizia dell’intraprenditore sia anche per le naturali difficoltà, alle quali non è facile sempre provvedere in anticipazione. Orbene il gallurese, invece di trovare nel fallimento di una nuova impresa ragioni di studio così da evitarlo in avvenire, vi trova ragioni per giustificare la propria inazione ed una pregiudiziale contro coloro che predicano le iniziative e l’abbandono di certe pratiche antiche, riconosciute dannose od insufficienti dalla scienza.

Tuttavia il fondo psicologico del gallurese non è cattivo. Nel suo animo ha una larga parte il sentimento di pace e di tranquillità, ed è grande il sentimento dell’amicizia e dell’ospitalità. E quando il sentimento della vendetta non prende il sopravvento, il gallurese è mite, buono e disposto a tutte le benevolenze. I suoi canti sono un inno passionato all’amore, alla famiglia ed all’amicizia, l’esplosione sincera e patetica di un’anima affezionata che sa gioire nell’amore e piangere nella sventura.

Ed anche sotto lo stimolo della vendetta il gallurese ha un elevato concetto della propria onorabilità, della propria onestà, Egli non saprebbe approfittare della disgrazia del suo nemico per soddisfare i suoi desideri di vendetta, ed ha in generale anche orrore del furto. E tanto è stimato o compassionato l’omicida per causa d’onore, quanto è disprezzato e emarginato il ladro bollato. Ma il gallurese ha il torto di credere, come in generale tutti i sudditi dei governi fiscali, che il furto commesso contro una pubblica amministrazione, sia essa lo Stato od il Comune, non leda l’onorabilità dell’individuo, e sia una cosa quasi lecita il frodare l’amministrazione del dazio comunale o quella dello Stato con il contrabbando. E purtroppo questa credenza propria dei popoli vessati ed angariati dalle tasse e dalle imposizioni.

Il gallurese è svelto ed intelligente, per cui quando una nuova e moderna educazione avrà neutralizzato tutto il fondaccio ereditario del suo spirito e gli avrà insegnato a volere ed osare ed a cercare nell’associazione quello che non può dare lo sforzo individuale, egli diventerà un modello di uomo e di cittadino.

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