1 – Posizione geografica della Gallura

di Maria Azara

Per quanto concerne la Gallura (8), che ha formato campo delle mie indagini, mi sembra necessario, perché possa meglio comprendersi quel che dirò sugli usi, illustrare con brevi cenni la regione in cui tali usi ancora possono ritrovarsi. La Gallura occupa la estrema parte settentrionale e nord-ovest della Sardegna, con un territorio corrispondente a quello della Gallura superiore dell’antico Giudicato (9) con poche pianure, molte colline e aspri picchi, su tutti i quali domina la catena del Limbara (10).

Capoluogo della Gallura è Tempio (11) che sta quasi al centro della regione in un altipiano di circa 500 metri di altitudine, in mezzo a rigogliosi vigneti e ad ombrosi e ricchi boschi di sughere.

L’acqua che sgorga da polle naturali e talvolta zampilla dalla roccia, è abbondante e ottima, e ogni comune ha il suo acquedotto.

Salubre è il clima e molte persone, nell’estate, sogliono recarsi in villeggiatura a Tempio e negli altri della Gallura (12).

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(8). Sull’etimologia del nome «Gallura» non vi è pieno accordo fra gli scrittori. La maggioranza seguendo il FARA G. F. (De Chorographia Sardiniae, Caralis, 1838 pag. 87; e De rebus sardois, Torino, 1835, pag. 298 che a sua volta, pare che abbia tratto la notizia da Annio da Viterbo (Iohannis, Annii Viterbiensis De commentariis antiquitatum) fa derivare la denominazione da Galatos, figlio di Olbio re dei Galli, il quale, fondata in Olbia una colonia in onore del padre Olbio, avrebbe poi edificato città e castelli presso lo stretto di Bonifacio, chiamato, per la stessa ragione, Fretum Gallicum.

Lo SPANO (Ortografia sarda nazionale ossia Grammatica della lingua logudorese paragonata all’italiana, Cagliari, 1840, I, pag. XIII nota 2) riportata, anche egli, l’ipotesi del Fara, ricorda che Cristoforo Landino nel suo Commento alla Divina Commedia (canto XXII dell’Inferno) derivò, invece, la denominazione da certi conti pisani, che portavano un gallo per insegna, facendo presente che nella chiesa di S. Domenico in Bologna, si trova un ritratto di Enzo, che ha un gallo sul cimiero.

Di questa ultima opinione è l’ANONIMO GALLURESE, che scrisse Brevi cenni sulla Gallura, Piacenza, 1897, pag. 7 e segg., rilevando che «la denominazione di Gallura non esiste presso Tolomeo e Antonino, antichi scrittori di cose geografiche, che ci lasciarono le distanze di molte località di questa regione. Ne parla invece Dante nel canto VIII del Purgatorio lì dove dice: «Non le farà si bella sepoltura La vipera che i Milanesi accampa Come avrìa fatto il gallo di Gallura».

Dante si riferisce al giudice «Nino gentile» Ugolino Visconti, conte pisano originario della famiglia milanese dei Visconti, che fu giudice di Gallura dal 1282 al 1300. Anche il CORONA (cfr. Prefazione alle Tradizioni popolari di Gallura del DE ROSA, Tempio, 1900) per quanto in una nota (2 pag. II) dica che non deve tenersi conto dell’opuscoletto dell’Anonimo gallurese, perché la trattazione è assai superficiale, ne condivide pienamente l’ipotesi, quasi con le stesse parole, ricordando inoltre VIVANET F., La Sardegna nella Divina Commedia e nei suoi commentatori, Sassari, 1879, e CUGIA P., Nuovo itinerario del l’isola di Sardegna. Ravenna, 1892.

L’ANGIUS (in Casalis: Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1840, VII par. 41) a sua volta, esclusa l’ipotesi del Fara, che qualifica come «uno dei sogni del viterbese (Annio)», e affermato che l’ipotesi di Landino «non è sostenuta da monumenti» ricorda un’altra ipotesi del NURRA, che fa derivare Gallura dai Galluri o Galluth cioè da quei popoli africani e iberici «che disertarono dalle insegne cartaginesi dopo la conquista dell’isola», L’ANGIUS esclude anche questa ipotesi, dicendo che «la correzione che vorrebbe fare il Nurra» non viene a tempo, ma non esprime una opinione propria. Tanto meno mi posso azzardare io a manifestare un giudizio fra le varie correnti; ma mi sia lecito esprimere una modesta impressione. Quale che sia l’ipotesi più accettabile e più confortata da elementi storici, sembra che sia da escludere quella del Landino e degli scrittori che hanno attinto da lui.

Il primo dei Visconti, infatti, che fu giudice di Gallura, secondo la cronologia fattane dal MANNO (Storia di Sardegna, Capolago, 1840, II, pag. 70), fu Giovanni o Chiano Visconti nel 1257. Secondo il MALTZAN (Reise auf der Insel Sardinien, Leipzig, 1869 pag. 471) il primo giudice dei Visconti sarebbe stato, invece, Ubaldo nel 1211. Ora, se anche non si volesse accogliere l’ipotesi dell’ANGIUS, sopra indicata, circa il secolo VIII come periodo di origine dei giudicati (e, allora, meno ancora quella del MALTZAN, che precisa tale origine per la fine del secolo VII è certo che nel 1000 il giudicato di Gallura esisteva già. Mi pare, pertanto, più probabile che l’emblema del gallo sia stato aggiunto sull’elmo dei conti della famiglia Visconti e nel loro stemma, dopo che essi furono messi in possesso del giudicato di Gallura che aveva proprio il gallo per emblema mentre nello stemma dei Visconti era la vipera, come si rileva anche dai su citati versi di Dante. Cfr. in tale senso GIAGHEDDU L., Il giudicato di Gallura e le sue relazioni con Pisa, Siena, 1919, pag. 2 e segg. e DESSÌ V,. Ricerche sullo stemma di Sassari e sugli stemmi dei giudicati sardi, Sassari, 1905, pag. 21 e segg.

9). I confini dei quattro giudicati sono storicamente tutt’altro che precisi. Per le finalità del mio studio, tuttavia, questo non ha grande importanza; occorre soltanto precisare quali erano le zone contigue alla Gallura perché non pochi usi degli abitanti Galluresi confinanti col Goceano e col Monte Acuto o con l’Anglona sono identici a quelli degli abitanti di tali zone anziché a quelli del resto della Gallura e viceversa. Trascrivo qui la ripartizione della Gallura in curadorie che il MARTELLI riporta a pag. 30 del libro già citato, dal padre TOMMASO NAPOLI (Compendiosa descrizione corografico-storica della Sardegna, Cagliari, 1814).

Giudicato di Gallura

Curadoria di Geminis 7 comuni: Aggius, Bortigiadas, Calangianus, Luras, Nuchis, Arzachena, Tempio.

Curadoria di Terranova 1 Comune: Terranova.

Curadoria delle isole intermedie 1 comune: La Maddalena (Caprera, San Stefano, Santa Maria, Budelli, Spargi, Razzoli ecc.).

Curadoria di Giuanas 1 Comune: Santa Teresa (Longon Sardo).

Curadoria di Posada 4 Comuni: Lodè, Posada, Siniscola, Torpe.

Curadoria di Nuoro 3 Comuni: Nuoro, Oliena, Orgosolo.

Curadoria di Bitti 2 Comuni: Bitti, Onani.

Curadoria di Orosei 7 Comuni: Dorgali, Galtellì, Irgoli, Loculi, Luca, Onifai, Orosei.

La Gallura superiore cioè quella attuale, è composta delle prime quattro curadorie: Geminis, Terranova, isole intermedie e Giuanas (Per una diversa ripartizione cfr. LISSIA S. La Gallura. Studi storico sociali, Tempio, 1904, pag. 88 e ANGIUS V. in Casalis G., Dizionario degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1840, VII pag. 71 e segg.) le quali confinano, oltre che con la curadoria di Posada, dello stesso giudicato, con quelle di Ampurias, Anglona, Goceano, Monteacuto, tutte del giudicato di Torres.

 

(10). Il Limbara costituisce un’attrazione per i turisti, sopratutto da quando la Milizia Forestale Fascista ha costruito una strada camionabile, che porta comodamente fin sotto alle vette principali del Giugantino, denominate Berritta (mt. 1362), Balistreri (mt. 1359) e Bandera (mt. 1329). Queste, per quanto non molto elevate, offrono un panorama magnifico e grandemente interessante. Su ciascuna di esse non mancano leggende: lo stesso gruppo Giugantino trae, per esempio, il suo nome da uno dei primi giudici di Gallura, Costantino (Iughe Antinu), ma non si sa se egli avesse fatto di quelle alture un suo osservatorio per vigilare i movimenti dei nemici, che potevano venire dall’interno, oppure se ne formasse mèta preferita delle sue escursioni in montagna. Il Limbara, dal lato che prospetta Tempio, dà l’apparenza di maggiore maestosità del Gennargentu che al centro della Sardegna, lo supera per altezza. La costa del Limbara, infatti, invece di scendere degradando come negli altri lati verso Luras, Calangianus, Monti, Berchidda e Oschiri, è molto ripida verso Tempio, e, vista dalla città, a sei o sette Km. di distanza, appare per lo più, quasi a picco, come un imponente sbarramento verso est, sud-est.

Anche la conformazione geologica dà l’impressione di una maggiore altitudine se si guardano i notevoli massicci di granito fra i quali si abbarbicano soltanto cespugli di erica o alberelli di elce o di sughero, bassi e contorti per la violenza dei venti sopratutto della zona di ponente e nord-ovest, oppure la grande abbondanza di massi erratici sparsi per ogni dove, particolarmente dai mille metri in su.. Alla stessa altitudine si trova in notevole abbondanza l’erba barona (thimus herba barona) dal penetrante profumo di timo, che impregna d’aria e dà uno squisito aroma alle carni del bestiame (capre e pecore) che vi pascolano nell’estate.

Nel pianoro che sta sotto le punte di Giugantino e di Sa Berritta verso la fine del secolo scorso fu eretta una chiesetta con unica navata intitolata a Santa Maria della Neve. Non si giunse, però, a consacrarla perché le difficoltà, che allora si frapponevano al comodo accesso sul luogo, impedirono affluenza di fedeli. Per molti anni la chiesa servi di ricovero ai pastori e ai turisti, che salivano da Tempio e dagli altri comuni e che pernottavano sulla montagna.

Quando, però, una eccezionale nevicata fece crollare il tetto, nessuno pensò più a ripararlo e il tempo, le intemperie e la mano dell’uomo hanno ormai ridotto la chiesa ai quattro muri in parte diruti.

Il punto panoramico migliore si gode dal Giugantino. L’abitato di Tempio sembra molto più vicino di quello che in realtà è e i numerosissimi vigneti, che stanno intorno alla città, appaiono, con le loro chiusure a muro secco, come una specie di scacchiera a fondo verde. Più in là Aggius; a destra Luras, Nuchis, Calangianus e, in fondo, l’estuario della Maddalena. Un buon binocolo consente di distinguere bene il semaforo di Guardia Vecchia nel punto più elevato della Maddalena, e, in Caprera, la bianca casa, alla quale fra una campagna di guerra e l’altra, tornava Garibaldi a cercare ristoro nella serenità del lavoro campestre e nella marina che guarda la Corsica. A nord-ovest, l’Anglona con le macchie bianche dei suoi paesi Nulvi, Osilo, Martis, e poi il golfo di Porto Torres, la stretta penisola di Stintino e l’isola dell’Asinara; a nord lo stretto di Bonifacio e le montagne corse. A sud la lontana linea dell’orizzonte è sbarrata dalla massa azzurra del Gennargentu, ma per giunger fin la quale arruffio di colline e di picchi e argentei nastri di fiumi do sguardo può ammirare! I galluresi, e i tempiesi in particolare, sentono viva la nostalgia del loro Limbara, come gli
abruzzesi della Maiella, e basta – quando essi ritornano dopo lunga assenza – osservare come si ravvivano i loro occhi appena l’automobile o il piccolo treno, che li trasporta, si inerpica su per i tornanti della strada verso i valichi del monte per comprendere quanto il nostalgico sentimento sia profondo.

Su Tempio, sui suoi magnifici panorami e sui suoi abitanti cfr.: DOMENECH E., Pastori e banditi (trad. Carta Raspi R.), Cagliari, 1930, pag. 45.

 

(11). In tutti gli antichi atti ufficiali il comune di Tempio è indicato col nome di «Villa Templi» e dal 1842, con quello di «Civitas Templi» in seguito alla sua elevazione al grado di città, conferito al comune stesso con decreto del Re Carlo Alberto. Col titolo di città fu conferito al comune anche il diritto di fregiarsi di uno stemma civico: «Scudo sannita di smalto azzurro Savoia con campagna di smalto verde, con sovrapposti:

1) un tempio tetrastilo d’argento sormontato da un gallo d’oro cadente al posto d’onore;

2) nel centro di ciascun cantone del capo una stella di prima grandezza segno dei Gemini. Lo scudo è cimato da una corona marchionale con fioroni e gruppi piramidali di perle sostenuti da punte. Sotto la punta dello scudo, su una lista bifida, svolazzante, il motto: «Civitas Templi». Un’antica tradizione vuole che la città sorgesse tra il secolo XIV e il XVI sulle rovine di una colonia romana, Gemellae, intorno ad un tempio pagano dedicato ai Dioscuri. La città sorge nel mezzo di quell’altipiano triangolare col qua le termina a settentrione l’isola di Sardegna. Capoluogo di provincia fino al 1861 e di circondario fino al 1925, conserva, anche dopo la perdita della prefettura e la soppressione della sotto-prefettura il titolo di capoluogo della Gallura, che le deriva da un antico ed incontrastato esercizio di rappresentanza morale. Devesi, poi, tenere presente, per comprendere che in città non si osservano molto le antiche costumanze, che Tempio è oggi centro di una vastissima diocesi e, per la presenza di tribunale, di una vasta circoscrizione giudiziaria. È inoltre sede di un R. Liceo ginnasio, di una R. Scuola secondaria di avviamento, di un circolo Ispettivo, di un reggimento di fanteria, di un deposito militare, di un comando di compagnia dei RR. CC di una potente stazione radiotelegrafica della R. Marina, di una cattedra d’Agricoltura, di un ufficio del registro e delle ipoteche ecc. Tutto questo fa si che su di esso gravitino per diversi interessi ben 19 comuni e 18 altri centri minori, nonché una numerosa popolazione rurale, sparsa, secondo l’antichissimo costume, nelle campagne.

 

(12). La salubrità del clima è determinata dalla posizione montuosa o di alta collina, dall’abbondanza dell’acqua e dai numerosi boschi.

Circa la flora di vegetazione spontanea basta ricordare fra le piante d’alto fusto, la quercia (quercus robur), la sughera (quercus suber), l’elce, il castagno, il frassino, l’olmo, l’ontano, il pino, il salice, l’olivastro, l’alloro; fra quelle di basso fusto e gli arbusti; la ginestra, il sambuco, le canne, il rosmarino, il corbezzolo, il lentischio, il mirto, il cisto, l’erica, l’euforbio, l’alaterno, l’asfodelo, la ferula, l’edera, il pungitopo, il timo, il vetrice, oltre le piante fruttifere. Circa la fauna occorre tenere presente che mancano in Gallura, come, credo, nelle altre zone della Sardegna, i rettili velenosi, quali le vipere; che nei fiumi si trovano trote e anguille mentre da qualche tempo vi sono state introdotte le tinche; che fra gli animali selvatici, oltre i volatili, fra cui abbondano le pernici, si trovano il cinghiale, la volpe, la lepre, la martora, il riccio, la donnola.

Un tempo abbondavano anche i cervi e mufloni, che ora possono trovarsi soltanto in qualche tenuta riservata.

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