Giochi fanciulleschi

di Giovanni Mari

Nota. Tra parentesi prima la traduzione letterale, quindi dopo il segno = i giochi equivalenti attestati dal Mari in Continente

  1. A ca l’ésci. (A chi gli esce = Per contarsi)

I
Una scattula di lumini
Una scatola di fiammiferi
No sò gròssi, no sò fini
Non sono grossi, non sono fini
Sò di tutti li culóri
Sono di tutti i colori
N’éschia fóra babbai duttóri
Ne venga fuori babbo dottore

II
Scianca pillanca
La pòrta sippanca
La pòrta sippinca
Pion pion, piònto destro
Tirann-insù fuori questo

III
Pòm pò, pòm pò
Della madre lò
Tre galline e tre cappò
Per andare alla guerra
Per mangiar pomi di terra
Chicchiridí, chicchiridí
Tutto il mondo vènghia qui

IV
Piùm, piùm
Pòrta pistùm
Pòrta bandèra
Va in galèra!

V
Bìcchère bìcchère
Còrre m’empicche
Baccagli, baccagliò
Tira me russe
E vintr’in gnò (l).

(1). Oppure, secondo i casi. E vintr’n su; per es. nel gioco n. 13. che qui segue, si usa una variante per scegliere i banditi, l’altra per scegliere i soldati.

VI
Sacca saccò, pieno di paglia
Anderèmo alla battaglia
Alla battaglia di lu rè
N’éschia fóra Maria Cirè

VII
Stringola stringola, mia Martina
Cavalier della regina
Cavalier di ventiquattro
La malchesa in fattu in fattu
La malchesa di Spagnola
Trícculi tràccula – missiú, fóra!

  1. A l’acu e a l’aùci. (All’ago e agli spilli)

I fanciulli — l’un tenendo la giacca dell’altro — sfilano sotto l’arco formato dalle braccia alzate di due compagni, i quali hanno i rispettivi nomi di «limòni» e «aranciu», oppure di «Gesù Cristu» e «Nòstra Signóra». Questi due quando passa l’ultimo della fila calano le braccia, lo fermano e gli dicono: «Undi ’oi andà, und’è lu limòni o und’è l’aranciu?». (Dove vuoi andare, dove è il limone o dov’è l’arancio?). Se egli risponde: «und’è lu limòni», va ad attaccarsi alla giacca di questo, sennò a quella dell’altro. Così si fa fino a che non si siano fermati tutti.

  1. A l’alburi di la prunna. (All’albero della prugna)

Un fanciullo stando prono posa la testa sulle ginocchia di un compagno che sta seduto (faci di capizza): un terzo ragazzo, pian piano avvicinatosi, monta a cavallo di chi sta prono. Se questi indovina chi gli sta sopra, cede il posto a quest’altro; altrimenti deve soffrire anche il peso di quello che nominò erroneamente.

  1. A l’ambasciatore. (All’ambasciatore)
  1. A l’anéddu. (All’anello)
  1. A l’aúci. (Agli spilli = A cavalca)
  1. A babbai imbriacu s’ha bitu lu ’inu. (Babbo ubriaco si ha bevuto il vino)

Un ragazzo si finge ubbriaco; si appoggia alle cantonate, cade, si rialza e fa mille gesti. I fanciulli lo rincorrono gridando: «Babbai imbriacu s’ha bitu lu ’inu; babbai imbriacu…!». («Babbo ubriaco si ha bevuto il vino; babbo ubriaco!»). Egli li insegue barcollando.

  1. A lu baddaròcculu. (Alla trottola)
  1. A la baddidda [persona volubile]

Si stendono le braccia e si gira presto presto or dall’una or dall’altra parte dicendo: Si stendono le braccia e si gira presto presto or dall’una or dall’altra parte dicendo:
Dammi la mani, baddinédda
Dammi la mani, baddinédda!

  1. A lu baddu tundu. (Girare in tondo)
  1. A lu barraccòccu. (La lumaca)

I fanciulli tenendo fra le dita una lumaca recitano:

Bóca li còrri, bóca li còrri, barraccòcca
Togli le corna, togli le corna
T’èm’a dà pal maritu lu frati (1)
Ti dobbiamo dare per marito il frate

(1). A Calangianus questo verso è: «Sinnò ticci lampu illu fócu». (Sennò ti ci butto nel fuoco).

oppure:

Bóca li còrri, bóca li còrri
Togli le corna, togli le corna
Sinnò ammazz’a babbu tóiu
Sennò ammazzo a tuo babbo
E a mamma tóia
E a tua mamma

  1. A la bancicarédda. (Al dondololo = Alla bilancia)
  1. A li banditi. (Ai banditi = A sbirri e ladri) 
  1. A la battaddóla. (Alla sassaiola)
  1. A battimuru. (Far meglio al muro)
  1. A lu bauléddu. (Al bauletto = Ripiglino [Gioco dell’elastico])
  1. A la bella lavandina

Le fanciulle fanno cerchio chiudendo una compagna in mezzo e cantano:

Alla bella lavandina
Che lava i fazzoletti
Ai poveri, poveretti
Dà un salto, danne un altro
Fa la riverenza
Fa la penitenza
Orensù, orensù
Dà un bacio che vuoi tu

Terminato il canto, la ragazza chiusa in mezzo dà un bacio ad una compagna: questa le sottentra nel gioco.

  1. A brincà. (A saltare)
  1. A la buscicagóla

Chiamasi la «Buscicagola» un greppo di macigno inclinato e liscio. Ragazze e ragazzi partecipano al gioco. Pigliano ceste rotte, vi si siedono sopra, oppure semplicemente si siedono sopra il sasso, e sdrucciolano.

  1. A li cabaddi. (Ai cavalli)
  1. A li cabaddi di la paddòttula. (Ai cavalli della pallottola)

Anzitutto si fa il sorteggio per stabilire chi debba far da cavallo e chi da cavaliere, poi si forma un cerchio ed i cavalieri montano sulla schiena di coloro che dalla sorte furono destinati a far da cavallo. Montati su, uno dei cavalieri lancia al compagno di destra o di sinistra una pallottola, che vien fatta girare attorno. Se uno dei cavalieri non riesce ad afferrare la pallottola lanciata sicché questa va a cadere in terra, i cavalieri perdono il diritto di rimanere a cavallo, e, scesi a terra, si fermano entro il cerchio segnato anticipatamente. Allora uno di coloro che fungevano da cavallo, prende la pallottola e la lancia in aria per tre volte; alla terza volta, appena ricevutala in mano, cerca di lanciarla contro qualcuno dei cavalieri, i quali scappano. Se il tiratore riesce a colpire, egli con tutti gli altri che facevano da cavallo diventa cavaliere. Altrimenti il gioco si ripete come prima.

  1. A li cabaddi lònghi. (Ai cavalli lunghi)

Un ragazzo sta seduto, un altro, B, stando prono, posa la testa sulle ginocchia di lui. Un terzo, presa la rincorsa, salta a cavallo di B, batte le mani, scende e ricomincia il gioco. Però se non riesce a balzare sulla schiena del compagno o se stando a cavallo tocca terra coi piedi o se batte le mani una volta di più o una volta di meno di ciò che fu stabilito, egli deve sottentrare a B.

  1. A caca l’óa la jaddina. (A fare le uova la gallina = Andare a predelluccia)
  1. A cagliarimpòlta. (A chi se ne prende – Brilli quanti)

[Azara: Si tratta di indovinare il numero di nocciole che uno dei ragazzi nasconde nella mano. Se l’interrogato indovina vince le nocciole, se non indovina deve dare la differenza fra il numero detto da lui e quello delle nocciole nascoste].

  1. A lu cani e a lu macciòni. (Al cane e alla volpe)

I fanciulli fan cerchio tenendosi per mano: «lu cani» insegue «lu macciòni» che fugge dentro e fuori del circolo tra un giocatore e l’altro.

  1. A cant’ariccj pòlta la mé capra. (A quante orecchie porta la mia capra = A salincerbio)

Ecco però la strofetta gallurese:
Cabàddu stammi a fittu
Cavallo stammi …..
Cabàddu di lu rè
Cavallo del re
Cabàddu di lu papa
Cavallo del papa
Cant’arìccj
Quante orecchie
Pòlta la mé capra?
Porta la mia capra?

  1. A li caprióli. (Alle capriole)

Nell’erba i fanciulli si divertono a far capriole e a rotolarsi l’uno contro l’altro.

  1. A li cjaróli o cjalóri. (Alle trottole = Spaccastrombolo)

[Francesco Rosso, Dizionario: Chjaroli: Piccola cavità fatta dal chiodo di una trottola su un’altra].

  1. A li castéddi. (Ai castelli = Alle caselle o capanelle)
  1. A ca t’ha puntu. (A chi ti ha punto = Guancialin d’oro o fico secco)

Ca t’ha puntu?
Chi ti ha punto?
La lancia
And’e piddala in Francia
Vai e prendila in Francia

  1. A lu céli e a lu ‘nfarru. (Al cielo e all’inferno)

Si tracciano in terra due grandi circoli che prendono il nome l’uno di «lu céli» e l’altro di «lu ‘nfarru». Nel primo si mettono delle pietre che figurano essere «lu pani di l’òru», nel secondo dei pezzettini di legna, quasi che si dovesse accendere il fuoco per gettarvi le anime dei condannati. Alcuni fanciulli, stando chini e in fila, emettono la cantilena «eeeeh eeeeh!» mentre altri due fanciulli li afferrano ad uno ad uno e, se parlano o ridono, li conducono a «lu infarru», altrimenti a «lu céli».

  1. Chist’e lu pòlciu. (Questo è il maiale)

Chist’è lu pòlciu (toccando il pollice)
Questo è il porco
Chist’è ca l’ha mòltu (l’indice)
Questo è chi l’ha ucciso
Chist’è ca l’ha usciàtu (il medio)
Questo è chi lo ha strinato
Chist’è ca sill’ha magnàtu (l’anulare)
Questo è chi se l’ha mangiato
A chistu piccirinéddu non ni l’hani datu (il mignolo)
A questo piccolino non gliene hanno dato

Si dice anche:

Chist’è lu ditichéddu (toccando il pollice)
Questo è il ditino
Chist’è lu di l’anéddu (l’anulare)
Questo è quello dell’anello
Chist’è lu di lu ditali (il medio)
Questo è quello del ditale
Chist’è lu cònta dinà (l’indice)
Questo è quello che conta i soldi
Chist’è lu sciaccia pidòccj (avvicinando il pollice agli occhi del bimbo)
Questo è lo scaccia pidocchi
Mettìllu ‘n l’òccj
Mettilo negli occhi

  1. A lu cóa-cóa. (A nascondino = Fare a rimpiattino)
  1. A lu cóa-cóa micalóri. (A nascondere il fazzoletto)

Quando il fazzoletto è nascosto, si grida a coloro che devono cercarlo: «óra, óra», cioè: uscite, venite a cercare. Tutti vanno. Quando qualcuno è vicino al posto in cui è nascosto il fazzoletto, i ragazzi che non fanno parte del gioco gli dicono: «bruzèndi, bruzèndi» finché il fazzoletto vien trovato.

  1. Còmu cusgi… (Come cuce…)

Una bambina piega la testa sulle ginocchia di un’altra che sta seduta; una delle compagne domanda: «Còmu cusgi mamma tóia?». La prima risponde: «Cu l’àcu, cu lu filu e cu lu ditali». Allora le compagne scappano e si nascondono: alla prima tocca il cercarle; se ne scova una e la prende prima che essa tocchi la bambina seduta, quella subentra, e si rinnova il gioco.

  1. A lu cuccarumméddu rittu. (Al fungo dritto = Querciola)

Giuoco che fanno i ragazzi stando dritti col capo in terra e le gambe in aria.

  1. A Cucc’ò ’èntu. (…… = A mano chiusa)
  1. A culu o punta. [Al culo o punta = Alla capocchia o alla punta)]

È giuoco che fanno le ragazze cogli aghi. Si nascondono entro un pugno della mano un agaccia da macola , e danno a indovinare da qual parte sia la punta (la ponta), e da qual parte la capocchia (al cui): e chi indovina guadagna la spilla.

  1. A la cumètta. (Alla cometa = All’aquilone)
  1. Allellellòmba

Fanciulli e fanciulle dandosi a vicenda le mani formano un gran cerchio e, girando, recitano:

Allellellomba di Ciccia Marióla
Gjuanni no v’éra
Giovanni non c’era
V’éra Rusédda
C’era Rosella
Fèndi li furréddi
Facendo i fornelli

(chinandosi)

Cantu di gjaddu è cuccuriddì
Canto di gallo è cuccuriddì
Canta di gjaddu è cuccuriddì
Canto di gallo è cuccuriddì

  1. A lu fala fala. (A scendi scendi)

I bambini scelgono un piano inclinato, o apposta se lo procurano, per farvi scivolare sopra una moneta sino al punto dove ne viene posta un’altra, vince chi più vi si avvicina.

  1. A la ferrovia

In una lunga fila di ragazzi, uno attaccato alla giacchetta dell’altro, il capofila corre, sbuffa, fischia e muove le braccia a mo’ degli stantufi d’una locomotiva. Vociando e facendo rumore girano per le strade urtando questo e quello, finché urtati da altri monelli più forti si disperdono.

  1. A lu gjaddittu. (Al galletto)

I giocatori, attaccati l’uno alla giacca dell’altro, formano una lunga fila, l’ultimo della quale prende il nome di «gjaddittu»; così sfilando, tutti sputano su un legno che porge loro un altro compagno; il quale dopo dice «Invèld’undi si pidda a lu maccéddu». [Verso dove si va al macello]. A tale domanda chi sta a capo della fila risponde: «dai gue!»; e quegli di rimando: «nò, dai gue!». Comincia allora una disputa fra i due, finché il primo dice: «Faghite cantare su gjaddittu»; e quando sente cantare «cuccuruddù», esclama: «Ite cantu bellu! cussu est su méu». «Nò, su méu», risponde l’altro; e quegli ancora: «no, su méu, no, su méu». Allora quegli che aveva sporto il legno cerca di prendere «lu gjaddittu», mentre gli altri, ciò vedendo, si sforzano di non lasciarglielo prendere andando ora da una parte ora da un’altra per sbarrargli il passo. «Lu gjaddittu» una volta preso non può più giocare ed il suo nome e la sua missione passano al compagno che lo precedeva. (Raccolto a Calangiunus). Nel titolo e nel testo scritto a volte scritto jaddittu altre gjaddittu. Data la frammissione di parole in logudorese, si sospetta che il testo sia stato raccolto piuttosto a Luras (e se proprio a Calangianus da un abitante nativo di Luras).

  1. A la gjaddina canta. (Alla gallina canta = Maria Giulia)

Lo fanno cantando le bambine tenendosi per mano in tondo

  1. A la gherra. (Alla guerra)

Una frotta di fanciulli si divide in due partiti; ogni partito si elegge un capitano, e s’azzuffano.

  1. A giru tundu. (A giro tondo)

Ecco la canzonetta che si canta a Tempio: Giro-giro tondo
Che vale un piro tondo
Centocinquanta
La mia gallina canta
Lasciatela cantare
La voglio maritare
Le voglio dare la cipolla
La cipolla è troppo forte
Le voglio dare la morte
La morte è troppo scura
Le voglio dar la luna
La luna è troppo bella
Accidenti a mia sorella
Che fa i biscottini!

  1. A gruc’e a griffu. (A croce e il diritto [a testa o croce] = Palle e santi) 
  1. A li gualdiani. (Ai guardiani)

Si posa in terra un sasso oblungo; a due o più passi di distanza si traccia una linea; a circa tre passi più in là si pone «lu mastru», cioè il sasso da cui devono i giocatori lanciare la piastrella («l’imbrestia»). Si buttano le murielle verso il sasso oblungo. Chi ha lanciato la piastrella più lontano (cioè «ha pòstu lu puntu più malu» fa «lu galdianu». Egli stabilisce i patti, che sono comunemente «tutti li piléddi» (cioè chi è toccato o arrestato fa da guardiano). Fissati i patti, i ragazzi da «lu mastru» lanciano la loro piastrella; essi devono raccoglierla di soppiatto, che se «lu galdianu» se n’accorge ed essi non sono arrivati a sorpassare la linea, li arresta. Se uno per inabilità, presa la muriella, non riesce a sorpassare la linea perchè arrestato da «lu galdianu», deve assumere lui questo grado. Alcuni pero scappano mentre «lu galdianu» insegue gli altri e, arrivati a «lu mastru», cercando di salvare i compagni inseguiti rovesciando il sasso oblungo. «Lu galdianu» infatti non può arrestare nessuno che non l’abbia riaccomodato.

  1. A l’imbrestii. (Alle piastrelle = Alle murielle) 
  1. A innarià. (A tirare in aria)

Consiste nel lanciare a gara il più alto possibile pietre o altri oggetti.

  1. A la lampa a la lampa. (A “tirare-tirare”)

Un fanciullo stende la mano supina, e mentre gli altri vi puntano sotto l’indice della mano destra, piano piano recita la seguente strofetta: A la lampa, a la lampaA lanciarla a lanciarla
Ca móri e ca campa
Chi muore e chi vive
Ca campa e ca móri
Chi vive e chi muore
Santu Salvadóri
Santo Salvatore

  1. A fa li luni di saòni. (A fare le bocce di sapone)
  1. A li maggjni. (Alle immagini, per es. immagini di scattole di fiammiferi)

I. I giocatori mettono dritte in terra due, tre «maggjni» secondo il numero fissato; indi si lancia la muriella a «lu mastru» (cfr. n. 48). Colui che getta la muriella più vicino a «lu mastru» o, secondo i patti, più lontano, gioca per il primo. «Li maggjni» che rovescia colla muriella spettano a lui. Indi giocano gli altri. II. A la pinta Si gioca in due. Uno stende la mano e vi mette una «maggjna» a dritto; l’altro due al rovescio; indi il primo lancia in alto «li maggjni». Se cadono in terra tutte a dritto o tutte al rovescio, guadagna. III. A lu Musòni Si gioca in due. Uno stende la mano e vi mette due «maggjni» a dritto; l’altro due al rovescio. Il primo lancia in aria «li maggjni»; se queste cadono in terra tutte a dritto o tutte al rovescio, oppure due a dritto e due al rovescio, guadagna.

  1. A la mamma e a li fiddóli. (A mamma e figli)

La ragazza più grandetta fa da madre, le altre da figlie.

  1. A li mandrilli

I ragazzi con dighe di terra trattengono l’acqua piovana che scorre di mezzo alla via; se ne fa un piccolo lago in cui si gettano pezzetti di sughero e barchette di carta; infine con grande chiasso si rompe la diga.

  1. A mani mòlta. (A mano morta)

Si prende il braccino del bimbo poco più su del polso in modo che la mano rimanga sciolta e penzoli, e leggermente dimenandola si canta una canzoncina, infine si dà un colpetto al bimbo sul visino.

  1. A la manzunga. (Alla frombola o fionda)
  1. A la manzunga

«Manzunga» dicasi la rotella di una capra, pecora o altra bestia macellata; gettandola, essa può prendere cinque diverse pose (diritta sulla base maggiore, sulla minore, obliqua, ecc.), le quali rispettivamente si chiamano , bastòni, pòmu, fulca, ddu». Un ragazzo getta la «Manzunga»; se questa si ferma in posa di «», egli è detto «lu rè» del gioco. Allora tocca ad un secondo ragazzo: se questi, per es. getta la «Manzunga» in posa di «bastòni», egli viene detto «lu bastòni»: estrae il fazzoletto, l’annoda e si prepara a battere sotto i comandi del «». Giova notare che se un altro giocando riesce a far fermare la «manzunga» col «» o col «bastòni», diventa egli «» o «bastòni» e quelli che avevano simili gradi li perdono. Qualora la «manzunga» si fermi con «pomu, il giocatore non riceve alcuna punizione e seguita a giocare: ma se si ferma con «fulca», allora riceve la seguente punizione. Il «» dice al «bastòni»: «Dannilli (dagliene) cincu, cattru, ecc. salíti (colpi forti) e cattru, tre, ecc. bambi (colpi leggerissimi)». Il punito stende la mano supina al «bastòni». Questi la piglia con la sua e la percuote col nodo del fazzoletto. Se poi la «manzunga» si ferma col «ddu», il ragazzo che l’ha lanciata viene percosso sul collo. [Si veda Mossa, Abò cit., p. 53-54]

  1. A li milòni. (Ai meloni = capponi da vendere)
  1. A la mirenda. (A merenducce)
  1. A la miria. (A prendere la mira = cioè al bersaglio)
  1. A li mizinéddi. (Ai barilotti)

Due ragazzi su una china erbosa s’abbracciano strettamente e rotolano.

  1. A lu mummucòni

«Lu mummucòni» è un insetto, l’afòdio; i ragazzi lo prendono, lo rilasciano e gli cantano:

Cala cala, mummucòni
Scendi scendi mummucòni
Babbu tóiu è ’n galera
Tuo padre è in galera
Mamma tóia è in prisgiòni
Tua mamma è in prigione
Par una fitta di méla
Per una fetta di mela
T’hai vindutu li calzòni
Ti hai venduto i calzoni

  1. A li muntunéddi. (A fare i mucchietti = Fare a cruscherella)

Con la differenza che in Gallura invece della crusca s’adopera la sabbia.

  1. A lu ‘ngingì cfr. «A la Pàmpana», dove però la figura è circolare
  1. A la ‘nzunzédda[1]. (Alla figlia preferita) [1] Per Quintino Mossa, Abò cit., probabile corruzione di ‘nnuzzintéḍḍa: innocentina.

Tutti i giocatori, eccetto due che rispettivamente prendono il nome di «mamma» e di «dimòniu», siedono in terra, uno fra le gambe dell’altro, formando una lunga fila. Chi sta a capo di questa deve gelosamente custodire chi gli siede vicino, cioè «la ‘nzunzédda». La «mamma» prima d’andare in chiesa conta i figli. Dopo viene «lu dimòniu» e battendo due pietre l’una contro l’altra dice: — Tun-tu
— Cal’ è?
Chi è?
— Lu dimòni
Il Demonio
— Passéti a chidda palti
Passate (andate) da quella parte
— E mamma ’òstra und’è?
E mamma vostra dov’è?
— A…
— Tiné
Tenete
dice «lu dimòniu» gettando le due pietre
— chist’e lu pani e lu casgiu
questo è il pane il formaggio

 Ciò dicendo rapisce il primo della fila. «La mamma» al ritorno, contati i figli e trovatone uno di meno, percuote tutti eccetto «la ‘nzunzédda». Dopo che «lu dimòniu» ha rapito tutti i figli, «la mamma» non va più in chiesa perché vuol custodire «la ‘nzunzédda». «Lu dimòniu» la vuole a tutti i costi e, siccome la madre non gliela vuol dare, con tutti i fanciulli s’avventa sopra «la ‘nzunzédda» e il più delle volte riesce a rapirla. [1] Per Quintino Mossa, Abò cit., probabile corruzione di ‘nnuzzintéḍḍa: innocentina.

  1. A l’òccj. (Agli occhi)

Un ragazzo pone in terra una castagna (oppure una noce, una pallina, ecc.); un secondo, avvicinandosi un’altra sua castagna all’occhio, prende la mira. Se riesce a colpire la castagna del compagno, la vince; altrimenti perde la sua.  

  1. A li paddottuli. (Alle palle di neve)
  1. A lu palmu. (Al palmo)

Si gioca in due. Uno dei giocatori mette un nocciolo di pesca o una pallina vicino al muro. L’altro ad una certa distanza tira la sua. Se la butta ad un palmo, o meno, dall’oggetto dell’avversario, la guadagna; altrimenti perde il proprio.

  1. A la pampana. (Al mondo)
  1. A paru e a disparu. (A pari e dispari = pari e caffo)
  1. A passà lu rè di Francia. (A passare il re di Francia = far coda romana)
  1. A passalì. (A passar lì)
  1. «A Passalì andèndi». (A passare avanti/lungo)

Uno dei giocatori sta prono: un altro, presa la rincorsa e puntandogli la mano sulla schiena, lo salta e si pone prono anch’esso più in là. Così fanno un terzo, un quarto, ccc. Quando tutti han saltato e tutti sono proni, ricomincia a saltare il primo.

  1. «A Passalì arrèssu» (Passaggio bloccato)

Chi sta prono chiama, affinché salti per il primo, uno dei giocatori, il quale saltando dice uno o due versi, o anche tutti, della seguente quartina:

Passalì
Serabòna e seratí
Serabòna per mangià
Apri la bocca ti voglio cagà

Può dire anche degli «strambotti» (stramberie) da lui inventati lì per lì: e mentre salta mette il suo fazzoletto sulla schiena del compagno prono, e così devono fare tutti gli altri.

A Calangianus la quartina vien protratta per altri versi:

Piazza nètta
Piazza pulita/libera
Per amór d’una minchiètta
Battu, battu trenta liòni
Picchio, picchio trenta leoni
Battu, battu e tòlg’a battì
Picchio, picchio e ……..
Mèttu barrètta
Metto copertura
Io me la prendo
E gli altri non so…

  1.  A la petrarédda. (Alla pietruzza)

È simile al n. 5, ma invece di un anello s’adopera una pietruzza

  1. A pillicchi – pillocche

Tutti i giocatori posano la punta dell’indice su di un tavolo; quando uno, destinato prima, dice «pillicchi»!», alzano il dito per poi di nuovo posarlo; quando dice «pillocche» non lo devono muovere, ma quando dice «pillicchi-pillocche» devono alzarlo alquanto e subito posarlo al posto di prima. Al trasgressore di tali regole vien data una punizione.

  1. A la piluttédda

Si lasciano, di mezzo ai diti pollice ed indice, cadere dei centesimi in terra presso una pallina di fucile. Chi fa cadere il suo centesimo più vicino alla palla, gioca per il primo. I centesimi dei giocatori si mettono uno sopra l’altro. Per il seguito cfr. Archiv. XII, p. 27: fare a rivoltino, ultime due righe, dove però in luogo della «piluttédda» si discorre di una pietruzza.

  1. A li pitricéddi. (Alle pietruzze)

Si gioca in due ed in più. Per meglio descrivere questo gioco supponiamo che siano quattro fanciulle a giocare. Anzitutto si tira a sorte chi dovrà giocare per prima, per seconda, terza, ecc.; quella che resta ultima assegna i patti del gioco, i quali consistono nel designare:

1) a qual numero dovrà farsi la partita; 2) quanti «santi cari» (Sante Chiare) si dovranno recitare; 3) quanti «muti» (sott. punti) dovranno farsi stando senza parlare; 4) quanti «biubiéddu» dovranno recitarsi.

Stabiliti i patti, le fanciulle si siedono in luogo pulito; la prima prende in mano cinque pietruzze e le getta sul terreno, studiandosi che cadano in modo che quattro formino un quadrato ed una sia nel mezzo. Quindi, presa con la punta dei diti indice e pollice la pietruzza che sta nel mezzo, la lancia in aria dicendo: «e una»; riprende poi con tutte e due le mani la pietruzza e la rinserra nella mano sinistra; in simil modo fa con le altre quattro pietruzze; quando la giocatrice tiene tutt’e cinque le pietruzze nella mano sinistra, le passa nella destra e le getta nuovamente sul terreno. Riprende, come la prima volta, la pietruzza che sta nel mezzo, la lancia in aria, subito raccoglie due delle altre quattro pietruzze e con esse riceve quella che ha gettata. Quindi torna a lanciare la prima pietruzza, raccattando insieme le ultime due che rimangono in terra. Si noti che se la giocatrice dopo aver lanciata in aria la pietruzza non la riceve in mano, essa perde il diritto di proseguire oltre, e consegna le pietruzze alla compagna seguente. Altrimenti, continua il gioco: di nuovo getta sul terreno le cinque pietruzze, prende quella del mezzo e la getta in alto; nel mentre questa scende, prende una pietruzza, poi le tre restanti. Le getta nuovamente sul terreno e, lanciata in aria una delle pietruzze, raccoglie le quattro restanti e con esse riceve quella lanciata. Fatto ciò, la giocatrice ha un punto.

Comincia allora il secondo punto, e la bimba ripete «e dui» per tutto il tempo che impiega a farlo. Allo stesso modo del primo punto la giocatrice fa gli altri fissati.

Dopo questi, si comincia a fare «li santi cari» assegnate. Queste consistono in ciò: la giocatrice butta in alto al modo stesso di prima le pietruzze, ma invece di dire «e una» per il primo punto «e dui» per il secondo, ecc., recita la seguente canzoncina, detta appunto «la santa cara»:

Santa Cjara, santa Cjara
Santa Chiara, santa Chiara
Impristétim’una scala
Prestatemi una scala
Pa alzà a Paradisu!
Per salire in Paradiso!
A vidé lu mòlt’e Tisu
A vedere il Crocifisso
Tutti l’àgnuli cantèndi
Tutti gli angeli cantando
Gesù Cristu pridichèndi
Gesù Cristo predicando
La Madonna ’n ginuccjòni
La Madonna in ginocchioni
Oh, chi bèdda funziòni!
Oh, che bella funzione!
Una pétra lisgia, lìsgia
Una pietra liscia, liscia
Tutti l’àgnuli in camìsgia
Tutti gli angeli in camicia
Una pétra di mattòni
Una pietra di mattoni
Tutti l’àgnuli ’n calzòni
Tutti gli angeli in calzoni
Una pétra di curàddu
Una pietra di corallo
Tutti l’àgnuli a cabàddu
Tutti gli angeli a cavallo
Una pétra battifócu
Una pietra battifuoco
Tutti l’àgnuli illu fócu
Tutti gli angeli nel fuoco

Di queste «santi cjari» se ne recitano tante quante ne furono assegnate nel patto. Così si chiude la seconda parte del gioco.

La terza parte è costituita da «li punti muti», cioè da un certo numero di punti che van fatti senza parlare.

La quarta ed ultima parte sono «li biubiéddu». Gettate nel modo già descritto le pietruzze, si riprendono pure allo stesso modo di prima, con questa differenza che, dopo aver lanciato in aria la pietruzza, con le punte dei diti della mano destra la giocatrice si tocca le labbra e canta la seguente strofa, detta «lu biubiéddu»:

Biubiéddu
E né cappa e né cappéddu
E né mantello e né cappello
E né cappa e né cappòttu
E né mantello e né cappotto
Siddu paldu tòlg’a òttu
Se perdo (ne) tolgo otto

Compiuti gli stabiliti «biubiéddu», la partita è finita; però, come si arguisce dal «biubiéddu», è da notarsi che se la giocatrice nell’eseguire il «biubiéddu» si lascia sfuggire la pietruzza lanciata, oltre al consegnare le pietruzze alla compagna seguente, ritorna alla prima parte della partita a punti otto.

  1. A pizzich’in culu. (A pizzicare il sedere = a moscacieca)
  1. A pultà a cabàddu. (A portare a cavallo = a cavalluccio)
  1. A la pugnetta. (Al pugno chiuso)

I giocatori mettono i pugni l’uno sopra l’altro. Uno dice toccando ad una ad una le nocche delle dita: «cos’è chistu»? Gli altri rispondono: «pugnetta». Quindi il primo domanda e quelli rispondono:

— Còsa ci ha in drèntru?
Cosa ci è dentro?
— Òru e algèntu
Oro e argento
— E chi alt’ancóra?
E che altro ancora?
— Una quaglióla
Una quagliola [focaccia a forma di anello]
— E a ca l’ému a dà?
E a chi la dobbiamo dare?
— A zia Mariòla

Dopo girano un pugno intorno all’altro producendo con le labbra un ronzio speciale. Chi ride viene punito con un pugno e un pizzicotto.

  1. A li pugni e fuggj. (A colpire e fuggire)

Riunitisi alcuni fanciulli si prendono a vicenda per le mani formando un cerchio. Un altro gira e rigira attorno ad essi e finalmente percuote con un pugno la schiena d’un giocatore, il quale, abbandonate le mani dei compagni, correndo gira attorno al cerchio da una parte, mentre chi lo percosse gira dall’altra. Quello dei due che arriva per primo al posto del giocatore percosso, vince; egli ricomincia il gioco.

  1. A la puppìa. (Alla bambola = Pupattolo)
  1. A la pupurédda. (Alla coccinella)

I fanciulli tenendo fra le dita una coccinella o altro insetto:

Bóla, bóla, pupurédda
Vola, vola, coccinella
T’àggju a dà a Mariédda
Ti ho (devo) dare a Mariella
Mariédda di li frati
Mariella dei frati

E a Bortigiadas:

Cala, cala, puppìa
Scendi, scendi bambola
Vèldi santa Lucia
Verso Santa Lucia
Vèldi santu Nigóla
Verso San Nicola
Pupìa, bóla bóla
Bambola, vola vola

E a Santa Teresa di Gallura:

Bóla, bóla, Santa Lucia
Vola, vola, Santa Lucia
Pidda li libbri e anda a la scóla
Prendi i libri e va a scuola
Bóla, bóla Santa Lucia
Vola, vola, Santa Lucia

  1. A li sbitticcati. (Ai colpetti) 
    Si tenta di smuovere un nocciolo di pesca od altro oggetto gettandovi contro una trottola o un sasso.

  1. A lu scaldimani. (A scaldimani)
  1. A la schelvia o schelma o schelva

Si sputa in terra: si lancia la trottola; chi colpisce più vicino gioca per primo.

  1. A scianca-pillanca. ( = Pisa pisella)

Piu bambini si mettono a sedere in fila con le gambe stese e a piè pari, mentre uno di loro, il capogiuoco, resta diritto con una bacchetta in mano, e recita la seguente filastrocca toccando successivamente a ogni accento del verso un piede de’ suoi compagni, e nell’ultimo verso un piede ogni sillaba. Il bambino toccato nel piede all’ultima sillaba deve ritirarlo, e cosi man mano, finché resta ultimo uno con un piede solo, il quale si alza, applaudito o fischiato, per dare il suo posto al maestro, e ricomincia la filastrocca.

  1. A li scilingati. (Alle siringate)

Consiste nello spruzzare d’acqua gli avversari colla «scilinga» (siringa).

  1. A la scóla. (Alla scuola)
  1. A siazzu. (A setaccio = A toccaferro o a toccapoma)
  1. Siddu sedu, sedu bè. (Se siedo, siedo bene = Giocare a seggio)

Si bendano gli occhi a una persona, alla quale cosi bendata deve sedere man mano sulle ginocchia di questo o di quello. Come si siede deve dire: Sento mi sento, e colui che lo accompagna: In braccio a chi? Se indovina vince e cede il posto alla persona di cui ha indovinato il nome; altrimenti segue il suo giro.

  1. A lu sighi-sighi. (A inseguire = Ad acchiapparsi)
  1. A lu suggj-suggj lepparéddu. (A succhia succhia leprotto)

Si cinge il polso di uno col pollice e l’indice, o medio; coi polpastrelli di queste dita si stringe ripetutamente e forte, come pizzicottando; il gioco dura finché il paziente non dice «basta».

  1. A li suldati. (Ai soldati)
  1. A la tela. (Alla tela = Tavola a molino)
  1. A tira-tosta (A tira-molla = Fare alla correggiola)

Gioco che si fa dai ragazzi con una fune, dando, a tenere i capi di essa a due persone, e quando l’ una dice “Tira”, bisogna che l’altra lasci, e quando dice “Lascia”, bisogna che l’altra tiri.

  1. A tiriturella

Le ragazze fanno cerchio intorno ad una compagna inginocchiata per terra sollevandole a imbuto il grembiale. Un’altra ragazza gira intorno al cerchio cantando i seguenti versi: Tiriturella, dammi qualche còsa Chi vi ha, chi vi ha dimmi più bella O dimmi un po’ d’amór. S’illa fu S’illa fu s’illa fu istata degna Andare a fare il re: O maestà, se vengo qui da voi Se m’aiutate a voi aiuterò Una nelle mie mani a voi prenderò (sic). Ad ogni pausa essa tocca qualcuna delle compagne; quelle toccate devono abbandonare il cerchio, mettersi in coda e girare cantando; quando tutte sono state toccate, tutte girano e cantano.

  1. A lu tòppa-tòppa

Si gioca in due. Una posa in terra una pallina (o un nocciolo di pesca); l’altro cerca di colpirla colla sua. Dopo che ha tirato e non ha colpito, lascia la sua dove si è fermata di rotolare; il primo raccoglie la propria e mira quella del compagno.

  1. A lu treppédi. (Al treppiede)

Si piglia comunemente un troncone di vite con un nodo all’estremità e lo si apre in croce. Si ficca nell’apertura una pietruzza e si posa diritto in terra. Il gioco consiste nel rovesciarlo con castagne o con anime di pesca.

  1. A la ’ignarédda. (Alla vignetta)

Le ragazze e i ragazzi spargono della sabbia fingendo una vigna coi suoi filari, piantandovi ramoscelli e pezzettini di legno.

  1. A lu zilimbrìnu. (Alla libellula)

I fanciulli tenendo fra le dita un cervo volante o l’altro insetto che chiamasi «becchino», recitano:

Bóla, bóla, zilimbrìnu
Vola, vola, libellula
Chi t’àggju a dà una róta di mulìnu
Che ti devo dare una ruota di mulino

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