Lu graminatoggju. (Il carminatoio)

di Francesco De Rosa

Nella stagione dedicata a Flora, dopo il tosamento delle pecore, e dopo aver lavato la lana nell’acqua tiepida per toglierne il grassume (l’oja) e rilavata in quella limpida dei ruscelli, si dà mano alla carminazione.

La buona massaia v’invita le fanciulle e le vedovelle del vicinato e le figlie dei parenti, non dimenticando che fra le invitate vi siano una o più poetesse o improvvisatrici di versi.

Nel mezzo della stanza in cui si fa il carminatoio si mette una concola o un canestro pieno di smaglianti, freschi e variopinti fiori; attorno ad esso, accoccolate o con le gambe a croce, siedono le ragazze piene della loro natia e splendida bellezza e con le loro migliori vesti attillate, lavorando la lana del mucchietto che ad ognuna di esse viene messo avanti, e canticchiando allo stesso tempo.

Non tardano ad accorrere i giovani e soprattutto gl’innamorati delle fanciulle e delle vedovelle operaie, ai quali, non appena entrati, una donna espressamente incaricata porge un fiore preso dal canestro o dalla concola che sta in mezzo alla stanza: fiore che i giovani si mettono all’occhiello. Essi però hanno portato con loro un altro fiore o un mazzetto, e l’offrono alla loro bella o a qualche altra delle giovani lì presenti, dicendo: E piddi chistu fióri? La giovane risponde sì o no a seconda che sia in grado di poter o no restituire la risposta, la quale si deve dare in versi con una o più strofe o con una arbitraria e rimata continuazione di versi, sia direttamente sia per mezzo di qualche altra ragazza da lei pregata o che si sia offerta.

Se risponde affermativamente, il giovane glielo presenta declamando un complimento poetico.

Eccone alcuni:

1

Un fióri cilcu in gjaldinu
Un fior cerco in giardino
Pal pudellu trapiantà;
Per poterlo trapiantare;
Cilcu e no poss’agatà
Cerco e non posso trovare
Tarra cussì affattenti
Terra così adatta
Cómu tu chi sé’ prisenti.
Come tu che sei presente.
O pastéra dilicata,
O vaso delicato,
Tarra di producì,
Terra produttiva,
Éu in te dia punì
Io in te pianterei
Pianti li più fruttuósi,
Piante le più fruttifere,
E cun trabaddi amurósi
E con lavori solerti
Dia fa chèi prufundi.
Farei fossa profonde.
Ahi! undi sòcu e undi?
Ahi, dove sono e dove?
Cunsóla chistu mischinu!
Consola questo meschino!
Un fióri cilcu in gjaldinu.
Un fiore cerco in giardino.

2

Un fióri chi vó murì
Un fior che vuol morire
Pal te punivi la ’ita:
Per te lasciarvi la vita:
La tó cara culurita
La tua faccia colorita
Facci l’ómu difinì.
Fa l’uomo deperire.
La tó cara sangu e latti
Il tuo viso sangue e latte
Culurita e di mal córi;
Colorito e di mal cuore;
Però fa chi chistu fióri
Però fa che questo fiore
Póssia a te gudì.
Possa te godere.
Un fióri chi vó murì.
Un fior che vuol morire.

Fócu, sangu e latti
Fuoco, sangue e latte
Ti presenta chistu fióri:
Ti presenta questo fiore:
Tutt’è in tutti li tinóri
Tutto è in tutti i tenori
Fócu, nii latt’e sangu.
Foco, neve, latt’ e sangue.
Fióri sòdi primu rangu
Fiori son di primo rango
Chi mustran’in vis’a l’altii;
Che mostran sul viso le altere;
Biancura di latt’e nii,
Biancura di latte e neve,
Di sangh’e fócu rujóri:
Di sangue e fuoco rossezza:
Cussì cun vari fióri
Così con vari fiori
Accolti da più d’un lócu.
Raccolti da più d’un luogo.
Sangu latti, nii e fócu,
Sangue, latte, neve e fuoco.
Di’, chi pòlti i’ la tó cara
Di’, che porti sul tuo viso
Si pó in figura rara
Si può in figura rara
In calchi mod’imità?
In qualche modo imitarsi?
Ma cun chist’in te si n’ha
Ma con questo in te se n’ha
Irrós’e gjelmin’uniti.
Rose e Gelsomini uniti.
In idda sò disuniti
In essa son disuniti:
Latti, fócu, sangh’e nii.
Latte, fuoco, sangue e neve.
Rósi sò li mashi ’ii,
Rose sono i tuoi colori,
Gjelminu la tó biancura,
Gelsomino la tua bianchezza,
Di sangh’e fócu rujura
Di sangue e fuoco rossezza,
Pòltani li labbri tòi,
Portano le tue labbra,
E i’ lu tó pèttu còi
E nel tuo petto nascondi
Bianca nii e puru latti.
Bianca neve e puro latte.
Di tal manéra sò fatti
Di tal maniera sono fatti
I’ la tó cara dunósa:
Nella tua faccia graziosa:
Uniti gjelmin’e rósa,
Uniti gelsomino e rósa,
Unit’irrós’e gjelminu.
Uniti rósa e gelsomino.
Latt’e nii è lu tó sinu,
Latt’e neve è il tuo seno,
Li tó labbri sangh’e fócu;
Le tue labbra sangue e fuoco;
Fócu ch’in dugna lócu
Fuoco che in ogni loco
Tramanda rai d’amóri;
Spande raggi d’amore;
Amóri, ch’i’ lu mé córi
Amor, che nel mio cuore
Ha pòstu fòlti radici.
Ha messo folte radici.
Ma no para mancu chici
Ma non si ferma neppure qui
Cantu prisent’un tal fiori:
Quanto ne presenta tale fiore:
La rósa è lu tó rujóri,
La rosa è il tuo rossore
Lu gjelsuminu la biancura:
Il gelsomino il candore:
So la mistica figura
Son la mistica figura
Di lu tó prisenti statu.
Del tuo presente stato.
I’ la rós’è figuratu
Nella rosa è simboleggiato
Lu statu di ’aggjania;
Lo stato dell’agonia;
I’ lu gjelminu una ’ia
Nel gelsomino ebbi una viva
Figura di l’ónestai;
Figura d’onestà;
E la fraganzia mai
E la fragranza mai
È simbulu di ’iltù.
È simbolo di virtù.
Aggjungji chistu di più
Aggiunge questo di più
Fócu, nii sangh’e latti,
Fuoco, neve sangue e latte
Ch’ancor’iddi sò ritratti
Che ancor’essi son ritratti
Di li dóni in te accolti.
Dei doni in te accolti.
In te fócu e nii pòlti,
In te fuoco e neve porti,
Pòlti sangh’e latt’in te;
Porti sangue e latte in te;
Pòlti fócu e fócu ch’è
Porti fuoco e fuoco che è
Simbulu di cjuintura;
Simbolo di gioventù;
Nii e nii ch’è figura
Neve e neve ch’è figura
Di purésa e di candóri;
Di purità e di candore;
Sangu, e sangu chi vigóri
Sangue, e sangue che vigore
Esprimi, spiritu e briu;
Esprime, spirito e brio;
Latti ch’è simbulu ’iu
Latte ch’è simbolo vivo
Di la tó dilicatesa:
Della tua delicatezza:
Cussì biddésa a biddésa
Così bellezza a bellezza
Aggjúngji cu’ li tó dòni.
Aggiungi co’ tuoi doni.
Dóni che cu’ irraxòni
Doni, che a ragione
Mi pònin’ in disisperu.
Mi mettono in disperazione.
Disispéru, tant’è vèru,
Disperazione, tanto è vero,
Chi n’hai ugual’espressi
Che ne hai uguali espressi
In chistu fióri matessi
In questo fiore stesso
Cu’ la figura chi pòlta.
Con l’immagine che porta.
Eccu eddunc’un’alta ‘òlta
Ecco dunque un’altra volta
Altu fócu e alta nii;
Altro fuoco ed altra neve;
Fócu sì, e fiami ’ii,
Fuoco sì e fiamme vive,
Chi m’accendini lu pettu;
Che mi ardono il petto;
Nii sì, palchì l’affettu
Neve sì, perché l’affetto
Di dugna spiranza è mòlta.
Da ogni speranza è morto.
Fócu edunca in pèttu pòlta
Fuoco adunque in petto porta
D’amóri lu più sinzéru,
D’amore il più sincero,
E nii di disispéru
E neve di disperazione
Pòlti in lu pèttu tambè.
Porti nel petto infatti.
Si è cussì, o no è
Se è così, o non è
Da te matessi dizidi.
Da te stessa decidilo.
Lu mé córi intendi e vidi,
l mio cuor intende e vede,
Ch’è vanu lu só affettu;
Ch’è vano il suo affetto;
Ma chi pro si a dispettu
Ma che pro se a dispetto
L’obbrich’a punitt’amóri.
L’obblighi ad averti amore.
Sòcu be chi lu tó córi
So ben che il tuo cuore
Tuttu è di nii pal me;
Tutto è di neve per me;
Ma chi pro si cussì è,
Ma che pro se così è,
E chi pruvettu ni bócu?
E che profitto ne ricavo?
Si pal me rai di fócu
Se per me raggi di fuoco
Pólti sèmpri ill’occj tòi;
Porti sempre negli occhi tuoi;
Sendi cussì comu ‘òi,
Essendo così, come vuoi,
Sibbè addisispiratu
Sebbene sia disperato
Pa lu me’ prisenti statu,
Del mio presente stato,
Chi póssia lassà d’amatti?
Che posso lasciar d’amarti?
Fócu, nii e sangh’e latti.
Fuoco, neve, sangue e latte.

La giovine a cui è stato offerto il fiore risponde, preso che lo abbia, con altra improvvisazione, o per lei risponde una parente ed un’amica. Ecco alcuni esempi:

Cantu se’ a lu riessu
Come l’intendi a rovescio
In dá a me chistu fióri!
Ad offrir a me questo fiore
Cussì di chissu culóri
Così di tal colore
Vai, no si n’agatta.
Va che non se ne trova
O bianchi come la prata,
O bianchi come l’argento
O nieddi o bruni o cani,
O neri, o bianchi [sic], o brizzolati,
Comu dugnun lu sani,
Come ben ognun lo sa,
Chi no ci n’ha d’altu ’essu.
Che non ce n’è diversamente.
Cantu se’ a lu riessu.
Come l’intendi a rovescio.

A li rami chi t’affarri
Dei rami a cui t’afferri
No ni sócu patròn’eu;
Non ne sono padrona io!
Si tu voi li me’ tarri
Se tu brami le mie terre
And’a dillu a babbu meu.
Va e dillo al padre mio.
Gja lu piddu a tuttu costu,
Già lo piglio a tutti i costi,
No sócu s’è maccja [corrige makcja] bòna:
Non so s’è cespuglio buono:
S’era vinutu in passòna
Se fosse venuto in persona
Più be l’haia rispostu
Meglio gli avrei risposto
Gja lu piddu a tuttu costu.
Già lo prendo a tutti i costi.

La risposta viene data cantando al suono degli strumenti, che i musici invitativi suonano a mo’ delle serenate.
Spesso il fiore viene offerto da un giovine per incarico d’un altro che non si è potuto o per essere assente o per qualche altra ragione, recar al carminatoio: in questo caso il fiore prende il nome di fior raccomandato.
Non sempre i fiori riescono complimenti gentili, e un caldo elogio della bellezza o delle virtù della fanciulla o della vedovella a cui si offrono, e nemmanco una dichiarazione d’amore, come per lo più avviene: talvolta non sono che una fine ironia o una satira pungente e vi viene risposto non meno ironicamente e satiricamente. E finisse lì; il peggio si è che molti sgarettamenti o uccisioni di bestiami, danneggiamenti ai
prodotti agricoli, false denunzie, ecc. ne sono una dolorosa conseguenza, dando spesso origine a fiere inimicizie.

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