LA GALLURA

IN

LA PATRIA

GEOGRAFIA DELL’ITALIA

Cenni storici — costumi — topografia — prodotti — industria

Commercio — mari — fiumi — laghi — canali — strade — ponti —  strade ferrate — porti — monumenti — dati statistici — popolazione — istruzione — bilanci provinciali e comunali — istituti di beneficenza — edifizi pubblici, ecc., ecc.

volume: SARDEGNA

CORSICA – MALTA – I MARI D’ITALIA

Opera compilata
dal professore

 GUSTAVO STRAFFORELLO

colla collaborazione di altri distinti scrittori

Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1895

Nota. Voci redatte nel 1894.

 

 

CIRCONDARIO di TEMPIO PAUSANIA

Il circondario di Tempio Pausania ha una superfìcie di 1979 chilom. quadr. ed una popolazione di 28,444 abitanti, secondo l’ultimo censimento del 31 dicembre 1881, calcolata in 31,773 al 31 dicembre 1892 e distribuita in 5 mandamenti e 9 comuni. MANDAMENTI COMUNI: TEMPIO PAUSANIA: Tempio Pausania; AGGIUS: Aggius, Bortigiadas; CALANGIANUS: Calangianus, Luras, Nuchis; LA MADDALENA: La Maddalena, Santa Teresa Gallura. TERRANOVA PAUSANIA

Confini. — Il circondario di Tempio Pausania giace nella parte nord-est della provincia di Sassari e confina a nord e ad est col Tirreno, a sud col circondario di Nuoro e con quello di Ozieri e ad ovest col Mediterraneo e col circondario di Sassari.

Litorale, capi, golfi e isole. — Il litorale, sviluppassimo, estendesi parte lungo il Mediterraneo, parte lungo le Bocche di Bonifacio e parte lungo il Tirreno. Fra i capi son da citare la punta di Vignola, il capo della Testa, il capo Figari, il capo Coda Cavallo, il capo dell’Orso.

Fra i golfi primeggiano il golfo di Arsachena, il golfo di Congianus, il celebre golfo degli Aranci, il golfo di Terranova.

Numerose le isole, fra cui le rinomate della Maddalena e di Caprera, dei Razzoli, dei Budelli, degli Sparagi, della Presa, di Santa Maria, di Santo Stefano, delle Biscie, di Mortorio, di Soffi, di Tavolara, di Molara, ecc., di alcune fra le quali avremo a dire più innanzi.

La Tavolara, con una superficie di 6.12 chilometri quadrati, è un immenso scoglio selvoso con fianchi dirupati, sì che non vi ha che una angusta spiaggia, da cui si può salir rampiconi su per l’erta. Vi pascolano capre selvatiche.

La Molara, detta anche Salzài, è un’isoletta abitabile e abitata in addietro, di una superficie di chilometri 3.71. Poco lungi da queste maggiori e dalla costa sorgono inoltre altre minori isolette, che si dovrebbero piuttosto chiamare scogli.

Confini e divisioni. — Il circondario di Tempio Pausania comprende l’antica Gallura, una delle quattro parti, in cui fu divisa nel medioevo la Sardegna.

I suoi confini sotto i Giudici furono probabilmente i seguenti: il mare, incominciando dalla foce del fiume Termo o Coghinas verso greco al capo Testa, quindi verso scirocco-levante al capo Ferro, da questo verso ostro-scirocco al capo Comino, donde declinava alla cala Sisine.

Entro terra confinava col Logudoro nella linea del suddetto Coghinas sino al pie del colle di Montacuto, indi in quella dell’Eterna e nelle falde occidentali dell’alto piano di Bitti e del monte di Oliena; confinava poi col Cagliaritano coi monti di Urzulei e col monte Santo di Baunei.

Circondario di Tempio Pausania – Distinguevansi nella Gallura due parti: la superiore, o Gallura Montana, limitata a libeccio dal Termo, a cominciare dall’alveo delle acque scorrenti per la falda australe del monte Limbara e terminando in una retta tirata fra Nulvara e l’estremità meridionale del Montenero e dalla sua appendice in punta Sant’Anna.

La Gallura inferiore, o Gallura Marittima, comprendeva tutto il rimanente.

La Gallura Montana serba tuttora il nome antico di Gallura, la Marittima ha tanti nomi quanti sono i suoi compartimenti.

Monti principali della Gallura Montana. — Il Limbara, che elevasi in ampissima mole sul campo d’Ozieri e la cui punta più eccelsa, il Balistreri, fu misurata in metri 1359 sul livello del mare.

Al Limbara rappiccasi a ovest il Balascia, montagna assai alta e selvosa.

I monti Spina, Latrai, Cucurenza, Agulu, Cacarti sono compresi nel territorio d’Aggius.

Il Canaini, Monticano e il Congianus, la cui altezza fu misurata in m. 0,19, ergonsi nei salti di Tempio.

Il Figari, il Pino, il Plebi sorgono in quel di Terranova.

Il monte Pino (742 m.) è la continuazione della catena dell’Ultana ed era coperto in addietro di una densa pineta (donde il nome).

Il monte Plebi è una continuazione del Pino e copre il paese a maestro.

Il monte di Santa Maria è alla sua volta un prolungamento del Plebi e, procedendo in forma di S assai inclinata a destra, termina nel capo Figari.

Il Montenero sorge nell’Orfìli, antica curatoria del Giudicato di Gallura.

Nella Gallura Marittima ergonsi: il Montalbo, che nella punta Cupetti fu misurato dallo Smith in metri 1029; il monte Virgoli e quello di Galtellì alla destra del fiume Cedrino; il Lerno, che levasi all’altezza cospicua di 1093 metri; e il monte di Oliena, che, nella parte più eccelsa, arriva all’altezza ancor maggiore di 1338 metri.

Altipiani, bassipiani e valli. — Nella Gallura Montana è ragguardevole l’altopiano di Gemini, il quale, tuttoché interrotto da alcune valli, stendesi dalla falda settentrionale del Limbara al monte Pulchiana per circa 5 miglia.

Nella Gallura Montana è assai più notevole l’altopiano di Bitti, il quale stendesi da nord a sud 10 miglia e slargasi 8 sulle pianure (gollèi) di Orosei e di Galtellì. Nella Gallura Montana sono: il bassopiano di Suraga, il Prato Olbiano e le maremme di Vignola e di Oviddè; e nella Marittima i piani di Posada, di Lòculi, Gattelli e Orosei.

Fra le valli quella di Arsachena è notevole per la sua ampiezza; quindi quella di Monti e dopo di esse le valli bagnate dal Vilgàto, dal Baldo, dal Carana e quelle del Curadori e di Bortigiada.

Nella Gallura Marittima meritano menzione la valle di Lodè e di Siniscola, fra le quali sorge il Montalbo, quindi quelle di Oliena e di Galtellì.

Geologia. – Predominano in tutta la Gallura le roccie granitiche di colore e pregio diversi. V’ha chi erede, che, dalle rupi sorgenti in mare del capo della Testa e nelle sponde settentrionali del porto Olbiano, estraessero i Romani molte colonne per le loro superbe costruzioni sacre e profane. Ad ogni modo è pero certo che i Pisani ne fecero uso per la Costruzione del loro duomo e battistero. Né manca il calcareo nella Gallura Montana e l’isola suddetta di Tavolara è composta di questa roccia, la quale rinviensi altresì nella massa del Montenero.

Più frequente occorre nella Gallura Marittima, essendo calcarei il Montalbo, così detto appunto dalla bianchezza delle sue rupi, e i monti di Dorgali, Gattelli e Oliena.

l graniti della Gallura Montana, principalmente nella regione di Arsachena, presentano grandi cavità, abituale ricovero dei pastori,

Fiumi. — Il fiume principale della Gallura Montana è il Carana, che ha le fonti più alte nel Limbara, ed, ingrossato dalle acque dei monti di Tempio e di Calangianus, rade la falda del Canaili, e dopo ricevute le acque di Montesanto e di Scopetu e il tributo del fiumicello di Montangia, scaricasi nel porto di Liscia, dopo un corso di circa 52 chilometri.

— L’Olbio nasce nel fianco est del monte Limbara, riceve parecchi affluenti, fra cui il Cacciari e il Castangia. solca il piano di Terranova ed ha due foci nella spiaggia meridionale dello stesso porto.

— Il Taras nasce nel territorio di Aggius, traversa la folta selva di Cincuedenti e le valli di Montevargiu e di Giuncada e quindi impaluda presso la foce sul golfo di Vignala.

— L’Unàla, quarto fiume della Gallura Montana, scende dai monti Santo, Pino e Plebi e si versa nel golfo di Arsachena.

— Il Tinnari, nato fra i monti Careddu e Capateddu, sbocca nel golfo del suo nome.

— Il Baldalgua ha origine nelle falde del Montenero e scaricasi nel Tirreno.

— Il Baddiàni nasce dallo stesso monte e si versa nello stagno di Oviddè.

— Il fiume di Posada, che nasce presso Bitti ed ingrossa pei rivoli del Montalbo, si scarica per due foci nel Tirreno sotto il Castel di Posada.

Paludi e stagni. — Nella Gallura Montana son molte paludi nella regione detta appunto Padulu, quantunque assai piccole e ripiene di mignatte, e che si essiccano nei grandi calori.

Dopo queste, vi sono due piccoli bacini alla foce dell’Unale e un altro presso quella del Carana, in cui, allo scemar dell’acque nell’estate, si pescano molte anguille.

Nella Gallura Marittima veggonsi alcune paludi nel campo di Posada, quindi quelle di Orosei e altre più piccole allo sbocco dei rivi. Nella Gallura Montana sono parecchi stagni e nella Marittima, a sud di Terranova, lo stagno di Corio, lungo 800 metri, largo 500, in forma elittica, con un’isoletta vicina alla sponda orientale. Un altro stagno notevole, le Saline Vecchie, ed alcuni stagnuoli stanno nel litorale, che. dalla punta detta del Figlio, va verso il golfo degli Aranci. Prodotti agrarii e commerciali.

— Porzione rilevante della Gallura è coperta di selve ghiandifere di queste tre specie: leccio, sovero e quercia, devastate spesso dai pastori.

Nel Limbara e nel bosco di Montenero son molti tassi, e dai soveri appaltati i Francesi trassero molta corteccia.

Le sponde dei fiumi sono amenissime pe’ faggi, ontani e tamarigi.

Molta legna da ardere, molto carbone, e potassa.

Gran parte della flora sarda rinviensi nella Gallura e il Limbara puossi qualificare una delle parti principali e più ragguardevoli del suo orto botanico.

Pascoli abbondanti e ubertosi ed ogni sorta di bestiame in gran numero; formaggio in gran copia, ma il pecorino non regge per bontà al paragone di quello che fabbricasi nelle Barbagie, nell’Ogliastra, nella Trexenta, ecc.; e il vaccino è inferiore a quello della Planargia, di Bonorva, ecc.

Lana, pelli e cuoi, di cui parte si vende nell’isola e sul continente e parte si concia a Tempio, ecc.

Ogni anno si fa la salagione dei maiali, e i più manifatturansi a Tempio e a Calangianus; una parte si smercia in Sardegna, un’altra si spedisce e se ne manda anche nella vicina isola di Corsica. Vanno rinomati, forse per esser le carni più saporite, i salami galluresi, la salsiccia, i salsiccioni, la sopprissata, specie di salame di forma schiacciata e bagnato nell’aceto, assai rinomato; le coste salate ed il lardo.

Anche gli alveari sono in gran numero e ben si può dire ch’essi costituiscono uno dei prodotti principali. Il numero dei bugni si fa ascendere a più di 150.000, ed ogni bugno può dare in media annuale una libbra e mezza di cera e il doppio di miele.

Il miele gallurese, nei terreni aridi e secchi, e in cui abbondano le piante aromatiche, è superiore al logudorese nei luoghi umidi. I Galluresi fabbricano gran parte della loro cera e ne provvedono molte chiese nel mezzodì e nel settentrione dell’isola.

Nelle regioni più silvestri stanziano in gran numero, fra i volatili, aquile, avvoltoi, sparvieri, falchi, astori, corvi, cornacchie, pernici, beccacce, colombi, merli, stornelli e un’infinità di passeri; e fra i quadrupedi selvatici, i mufloni, cervi, cinghiali, daini, volpi, martore, capre selvatiche, ecc. Non mancano gli uccelli acquatici.

I mari della Gallura, segnatamente nei paraggi della Maddalena e di Terranova, hanno tanta copia e varietà di pesci, che niun’altra parte delle acque sarde può competere con essi. Anche i lìumi sovrabbondano di pesci, principalmente il Termo Coghinas, il Carana, l’Olbio, il Taras e l’Unale.

Cenni storici. — Il nome; di Gallura, dato ad una delle quattro parti o regni, in cui fu divisa nel medioevo la Sardegna, è di provenienza oscura. Pare vi approdassero antichissimamente i Tirreni, i Cartaginesi, i Balari; e nei tempi storici, sul finire della prima Guerra Punica, accadde presso Olbia (l’odierna Terranova) una battaglia fra Annone e L. Cornelio Scipione, in cui i Cartaginesi rimasero sconfitti, Annone ucciso ed Olbia presa. Indi a non molto, allorché la Sardegna fu divenuta romana, la Gallura dovette fiorire assai più che sotto i Cartaginesi, ed Olbia divenne più popolosa.

Le navi romane dovevano frequentare il Portus Olbianus, che non può esser altro che il Golfo di Terranova, e molto animato doveva essere il commercio per l’esportazione del bestiame da macello che provvedeva di carne la gran Roma. Nell’Itinerario di Antonino e nella Geografia di Tolomeo sono mentovate molte città antiche comprese nella regione gallurese, fra cui Tibula (nel luogo detto Lungo Sardo), non guari distante da Olbia.

Le più fitte tenebre coprono l’istoria della Gallura durante la prima metà del medioevo. Solo si sa che fu invasa e devastata più volte dai Saraceni. Il primo dei Giudici della Gallura che ci sia noto è un tal Manfredi, il quale, secondo il Landino, governava la provincia nel 1050, ma di cui non ci pervenne memoria per atti politici o militari.

Troppo lunga ed incerta sarebbe qui l’enumerazione dei Giudici di Gallura e crediamo basti il dire, che il Giudicato fu dei Visconti milanesi e dei Pisani, i quali lo concedevano, prima del 1257, a Chiano, dei Visconti pisani, il quale aveva in moglie la figliuola del famoso conte Ugolino della Gherardesca, di Pisa. Chiano governò saviamente la Gallura sino al 1277, nel qual anno morì a San Miniato, lasciando erede del Giudicato di Gallura e della terza parte del regno Cagliaritano, il figlio Ugolino, noto nell’istoria col nome di Nino, il quale alla gloria della famiglia potente, da cui discendeva, aggiunse quella di avere sposato Beatrice d’Este, sorella di Azzone III signore di Ferrara, Modena e Reggio.

Dopo la celebre battaglia navale della Meloria del 6 agosto 1284, in cui i Pisani furono pienamente sconfitti dai Genovesi, il conte Guelfo, figliuolo del conte Ugolino, che sì trovava in Sardegna, si ribello agli uccisori del padre e fortificate Villa Iglesias, Domusnovas, Acquafredda, ecc., sostenne a mano armala la propria indipendenza, ma sconfitto dai Pisani coll’aiuto di Mariano di Arborea, a breve andare morì.

Nino, rappacciatosi coi Pisani, rimpatriò, ed alleatosi quindi con Genova, ov’ebbe la cittadinanza, tornò ai proprii dominii in Sardegna, che trovò dissestata dal suo rappresentante Frate Gomita.

Era costui nativo di Gallura, e seppe tanto insinuarsi nell’animo di Nino, che venne da lui preposto al governo della Gallura quando questi dovette trasferirsi, nel 1285, a Pisa, chiamatovi dal conte suo avo pel governo di quella repubblica. Chi fosse codesto Gomita lo sappiamo dall’Alighieri nel canto XXII dell’Inferno, già da noi riportato. Nino lo dannò al laccio, ed, affranto dalle sventure domestiche e scaduto dalla antica potenza, morì nel 1295.

Erede del Giudicato di Gallura e dei possedimenti di Cagliari e di Pisa fu Giovanna, che Nino, fìgliuol di Ghiano, ebbe dalla moglie, la suddetta Beatrice d’Este. Non aveva essa che 8 anni quando ereditò il trono e quando la madre si era congiunta in seconde nozze con Galeazzo Visconti, primogenito di Matteo, signore di Milano, il papa Bonifacio VIII la raccomandò al Comune di Volterra. A 16 anni andò sposa a Riccardo da Camino signor di Treviso; ma le fu avversa la sorte, posciachè i Doria, dopo la morte del padre, impadronironsi a forza di varie regioni della Gallura, il marito fu spento da ferro assassino e il cognato le tolse l’eredità di famiglia. L’infelice vedova trovò però aiuto nel papa Bonifacio VIII, il quale, con tutto che avesse già fatto dono della Sardegna al re D. Giacomo di Aragona, fece sì che rimanessero illesi i diritti di lei sul Giudicato di Gallura. Morì questa principessa poco dopo il 1329, lasciando erede Azzone Visconti, signore di Milano, suo fratello uterino.

Con Giovanna, Giudichessa più di nome che di fatto, ebbe fine nei primi due lustri del secolo, il Giudicato di Gallura, quantunque i Visconti, a cui ne fu trasmessa l’eredità, siensi fregiati per parecchio tempo del titolo di Giudici di Gallura. L’insegna dei Giudici di Gallura era un gallo, come canta Dante là dove, parlando della suddetta Beatrice d’Este, che, lasciate le sacre bende, prese per la morte di Nino, era passata a nuove nozze nella casa dei Visconti di Milano, predice:

Non le farà sì bella sepoltura
La vipera, che i Milanesi accampa,
Come avria fatto il Gallo di Gallura.

 

MANDAMENTI E COMUNI DEL CIRCONDARIO DI TEMPIO PAUSANIA

APPARTENENTI AL DISTRETTO MILITARE DI SASSARI

Mandamento di TEMPIO PAUSANIA (comprende il solo Comune di Tempio Pausania).

— Territorio vasto e montuoso, non senza pianure, bagnato dai due fiumi Termo o Coghinas e Cavana, non che da rivi numerosi. Il territorio è generalmente fertile, ma l’agricoltura non è oggetto di sufficienti cure; ciò non di meno se ne ottengono legumi, patate, frutta e sughero.

Assai più rilevanti sono i prodotti che si ritraggono dalla coltivazione di una grande quantità di viti, dalla pastorizia e dall’apicoltura; ed infatti si esportano di là vino, miele, cera, lane, pelli, cuoi, capi di bestiame e formaggi, lardo e salati.

TEMPIO PAUSANIA (11.188 abitanti al 31 dicembre 1881).

— Capoluogo della Gallura, sorge a 376 [sic., invece 566] metri d’altezza e vi si arriva dopo percorsi 40 chilometri della ferrovia secondaria che diramasi a Monti dalla linea principale.

Situato alle falde della mole del Limbara, gli fanno cerchio a maggiore o minor distanza le eminenze di Bortigiadas e di Aggius, la massa di monte Spina, i monti di Pulchiana, la montagna di Ultana e per ultimo il monte  Bandiera, che è un’appendice del Limbara.

Tutti questi monti restringono l’orizzonte, ma quel che contiensi dentro di essi offre una vaghissima prospettiva. È una regione fredda nell’inverno, poco tiepida nella primavera e nell’autunno, ma calda assai nella state, se il calore non è temperato dalla ventilazione.

Vie, Piazze, Passeggi. — Tempio è solcata da tre vie maestre, sufficientemente larghe, le quali non sono però che una sola arteria principale, divisa in tre parti.

Essendo il granito la roccia predominante, le case naturalmente sono costruite di pietre granitiche, il che dà una tinta grigia alla città un po’ triste e medioevale, che fa spiccare i pittoreschi costumi delle donne.

Fra le piazze sono da ricordare la piazza Gallura, quelle dell’in/, del Carmine (ora Dettori), della Cattedrale e del Mercato.

Non meno di quattro sono i pubblici passeggi: quello di Fontana Nuova, che termina a codesta fonte assai stimata; quello di Pastini, che anch’esso ha fine alla fonte omonima; quello di San Sebastiano, più lungo e più ameno per bello orizzonte, e quello più frequentato della Concezione.

Chiese. — La nuova cattedrale Collegiata, sotto l’invocazione di San Pietro, è di architettura piuttosto semplice e, sebbene non abbia che una navata, è però assai capace.

La cappella maggiore, col coro canonicale, è elevata: da un lato son tre cappelle e due soltanto dall’altro per esser il luogo della terza aperto per secondo ingresso.

Semplicissima la facciata di grandi pietre di granito nereggiante; e il suddetto ingresso laterale ha un’altra facciata architettata con arte maggiore della prima.

Non havvi in marmo che l’altar maggiore, la balaustrata del presbiterio, il pulpito e il pavimento alternato con la lavagna.

Sei o sette statue marmoree, di cui la più pregiata è quella di San Pietro nella cappella maggiore e poi quella di San Michele in un col gruppo del nuovo battistero.

Dipinti poco lodevoli.

Il campanile quadrato vuolsi il più alto della Sardegna; vi suonano quattro campane, una delle quali fusa a Tempio.

La chiesa di San Francesco d’Assisi, già dei Minori Osservanti, è ampia, di semplice architettura e ad una sola navata. Ne fu rifatta la volta granitica, che minacciava ruina e per miracolo non ischiacciò frati e popolo.

Sette cappelle, la maggiore inclusavi ed alcune pitture e scolture senza pregio.

La sacrestia è coperta da una cupola, l’unica in Tempio.

La chiesa della Madonna del Carmine, del Collegio degli Scolopii, ampia, di una sola navata, con cinque cappelle, ha due dipinti di qualche merito, la Maddalena e la Natività della Madonna; notevole la statua del Calasanzio.

Seguono tre oratorii: di Santa Croce, prossimo alla Cattedrale, con tre cappelle ed un Crocefisso bene scolpito e che par tinto in nero; della Madonna del Rosario e delle Anime del Purgatorio.

Fuori dell’abitato e a distanze varianti trovansi parecchie altre chiese campestri, delle quali assai maggiore era il numero in addietro.

Palazzi. — Fra gli edifizi civili sono degni di nota per architettura e grandezza casa Verre, casa Altea, casa Guglielmi ora Sanna, casa Baffigo, casa dei Casabianca oriundi di Genova, di cui si ricorda un vescovo di Nuoro e un vicario capitolare di Tempio; casa Pes Sardo, casa Piras, casa Massidda, ecc.

Rimarchevole sovra tutti è il palazzo Comunale che sorge nella piazza Gallura, costruito sotto il sindacato del cav. Giovanni Spano: contiene il Circolo di lettura con circa 150 soci.

Ospedale. Fu inaugurato il 1 aprile del corrente anno (1894).

Teatro. Havvi a Tempio un teatro sufficientemente spazioso e con due ordini di palchetti, fatto costruire fra il 1838 e il 1839 dal fu Pietro Giganti, ed una Società filarmonica.

Uffizi e industrie. Carceri giudiziarie, Tribunale civile 6 correzionale Collegio deli avvocati e dei procuratori, R. Ginnasio. Mulini idraulici e a vapore, fabbriche di candele di cera, di laterizi, di mobili, di turaccioli, concerie, ecc., e molti mercanti di sughero e di tessuti.

Reclusorio. — Vasto fabbricato nel quale lavorano a varie industrie parecchie centinaia di condannati.

Prodotti. — Vaste e folte boscaglie sui dorsi delle montagne e quasi in ogni dove ghiandiferi delle tre specie. Ampii e pingui pascoli, in cui si alleva un bestiame numeroso, da cui ricavansi formaggi rinomati. Alberi di frutta di molte specie a migliaia, vino, cereali, legumi, lino, robbia, ortaglie, alveari in gran copia. Esportazione attiva dei prodotti pastorali, di miele, cera, lana, pelli, cuoi salati e conciati, capi vivi di bestiame per macello, formaggi, lardo e salami, frutta, vino, acquavite. L’esportazione principale è però quella del sughero, che è di ottima qualità e molto ricercato in Francia ed in Ispagna.

Abitanti. — Gli abitanti di Tempio vantano un’origine diversa da quella degli altri Sardi e se ne tengono. La diversità di tipo infatti e dei tratti fisionomici si ravvisa a prima vista, come si sente la varietà del dialetto e della pronuncia.

Statura alta — cosa rara in Sardegna — carnagione chiara, capelli spesso biondi e talvolta occhi azzurri. Nulla di arabo, di saraceno, come nel mezzodì dell’isola, nella Barbargia e nel Campidano. Delle vendette atroci e degli odii ereditari di famiglia non vi ha più che il ricordo: gli ultimi tizzi del gran fuoco, che ardeva in que’ cuori di montanari, si spensero con le ultime paci celebrate quasi in forma ufficiale.

Nobiltà. — Assai numerose erano in addietro le famiglie nobili, ma di quelle nobiltà spagnuole a buon mercato. Chi dissodava un tratto di terreno, chi piantava un uliveto era nominato nobile. Questa nobiltà, non sempre amante del lavoro e dell’istruzione, è andata continuamente decadendo. Oggi solo si regge, fra le altre poche, la famiglia Pes Sardo. La civiltà e lo spostamento della fortuna hanno fatto scomparire ogni ombra di distinzione che prima esisteva tra i nobili, i signori e i comunali (stretta borghesia).

— A Tempio appartiene la borgata o stazzo detto Luogosanto e alcune cussorgie.

Bilancio. — Il bilancio preventivo del Comune di Tempio Pausania pel 1894 è il seguente:

Attivo

Entrate ordinarie 101.367,28

Id. straordinarie 13.003,28

Movimento di capitali 3.902,73

Partite di giro 42.469,81

Totale L. 160.743,10

Passivo

Spese ordinarie L. 64.620,98

Id. straordinarie 20.185,45

Movimento di capitali 8.733,86

Spese facoltative » 24,733

Partite di giro 42.469,81

Totale L. 160.743,10

Cenni storici. — Sorse sulle rovine dell’antica città detta Gemellas, da cui il nome di Gemini dato ad una regione. Di Tempio trovasi fatta menzione in una carta del 1358 intitolata: Castella villae, sylvae saltus, terrae et jura totius Judicatus Gallurae. Ivi, nella curatoria Gemini, divisa in superiore ed inferiore, sono notati i luoghi dell’una e dell’altra parte, e quanto gli abitanti di ciascuno pagavano di feudo: Villa Templi lire 15.

Dal che si può dedurre, che a quel tempo la villa Tempio non era né la prima né la seconda per importanza, e ch’essa era men popolata di Aggius, che pagava lire 17, e di Bortigiadas che ne pagava 32.

Credesi inoltre che la sede del Curatore, o magistrato del dipartimento, fosse in Aggius anzi che in Bortigiadas, perchè questo paese rimaneva all’estremità e perchè Aggius sta in capo lista nella suddetta carta.

In seguito, per la situazione migliore, crebbe in Tempio il numero degli abitanti e quest’incremento par non fosse guari lontano da quel tempo, perchè rilevasi da alcune memorie, che indi a non molto i popoli delle marine concentraronsi nell’interno ed appressaronsi vieppiù sempre al monte Limbara, lasciando deserte le spiaggie ed altre interne regioni. Le quali sono quelle stesse che appartengono ora al circondario di Tempio Pausania e trovatisi in varii distretti pastorali della Gallura settentrionale e nel Montenero della Gallura meridionale.

Il 13 maggio 1829 Carlo Alberto, allora principe di Savoia Carignano, e poi re di Sardegna, nella visita che fece nell’isola, visitò Tempio ed ospitò [alloggiò] all’Episcopio e nell’attiguo palazzo Villamarina, accolto con riverenza ed affetto e con feste di esultanza.

Nel 1837 Tempio Pausania ottenne gli onori di municipio e le feste si rinnovarono non meno sontuose.

Uomini illustri. — Molti ne diede Tempio, fra i quali i seguenti:

Pietro Acquenza Mossa, nato verso la metà del secolo XVII, proto-medico generale ed archiatro onorario dei re Carlo li e Filippo V, autore di varie opere di medicina impresse a Madrid fra cui una sul salasso De sanguinis missione, libri IV (1696), l’altra sulle febbri dette intemperie (1702).

Bernardino Pes, nato di nobil famiglia nel secolo XVIII, che lasciò manoscritti sulle cose patrie, fra cui un Ristretto della storia di Sardegna e un Ristretto dello Stato antico e moderno della Sardegna.

Gavino Pes, anch’esso di nobil sangue, poeta nazionale ed improvvisatore, nato nel 1724. Bernardino Pes, nobile e poeta insigne, nato nel 1739 e morto nel 1823, che, rimasto vedovo, vestì l’abito ecclesiastico e fu sacerdote esemplare.

Domenico Pes, illustre fra i dotti de’ tempi suoi, dei chierici regolari delle Scuole pie, assai lodato da Pasquale Tola nel Dizionario Biografico degli illustri Sardi. Francesco Pes, sommo giurisperito, membro in Torino del supremo Consiglio della Sardegna, morto nel 1793.

Giovanni Valentini, poeta del secolo XVII.

Giovanni Battista Sardo, gentiluomo del secolo XVIII.

Giovanni Maria Dettori, teologo rinomato e scrittore sacro, che fiorì nel secolo XVIII.

Ma il più illustre tempiese fu Giacomo Pes di Villamarina, nato nel 1767. Nel 1793 ebbe come maggiore il comando del reggimento Sardegna nel combattimento di Pèrus contro i Francesi. Nel 1799 fu promosso brigadiere, generale e incaricato del comando provvisionale di Cagliari, e, nel 1803, del Logudoro. Fu quindi nominato maggior generale, capitano della guardia del corpo del re, gran mastro di artiglieria, gran collare dell’Annunziata e generale di fanteria. Nel 1816, alla partenza dalla Sardegna del duca del Genevese, fu assunto al governo dell’isola con autorità viceregia. Morì nel 1827 compianto universalmente per le sue virtù pubbliche e private.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 [Poste] T. [Telegrafo] e Str. ferr.

MANDAMENTO DI AGGIUS (comprende 2 Comuni, popol. 3607 ab.).

— Territorio occupato da molti monti e colli, fra cui il colle detto della Croce quasi addosso al paese. A est di esso ergesi la montagna di Tummèn-soza con caverne e bosco veduta della maggior parte della Gallura, del golfo di Porto Torres e di quasi tutto il litorale nord sino alla Maddalena. Boschi e pascoli.

AGGIUS (2562 ab.).

— Sorge a 600 metri circa d’altezza, alla falda meridionale di un alto colle, in clima che tende al freddo, ma con aria salubre, vie irregolari e un duecento case.

Parrocchiale di Santa Vittoria e non meno di tredici chiese campestri, fra cui quella di Santa Maria di Vignola presso il litorale.

Numerosissime le sorgenti di acque pure e salubri, fra cui una sul detto monte Tummèn-soza, di cui gl’infermi hanno giovamento. Altra fontana detta Fanzoni ha la virtù di decolorare il vino e fargli perdere il sapore, ma non la forza alcoolica.

Il territorio termina col mare e i luoghi di sbarco e di contrabbando sono l’isola Rossa, la Crocetta e Vignola; vi ha però maggior sicurezza nel golfo di Vignola, che si addentra con un buon fondo entro terra, e in cui reggonsi le rovine di un antico paese, che credesi la Tuciola di Tolomeo. Il terreno si abbassa secondo la curva del lido in una vasta e fertile pianura, in cui hanno i loro casali comodi e ben costruiti, con la chiesa de S’Argentu [sic. : San Francesco d’Aglientu], un gran numero di pastori.

A sinistra di Vignola, ove esistette l’antica stazione di Viniolis indicata nell’itinerario d’Antonino, come la prima tappa dopo Tibula nella via romana occidentale, è una Cala famosa pei contrabbandi coi Corsi; è lunga, stretta quasi come il letto di un fiume e cinta da tutte le parti da rupi scoscese.

In tanta ampiezza di territorio non si contano più di sette Nuraghi disfatti, e in molti siti vedonsi scavate nelle roccie molte caverne.

Selve estese di quercie, sugheri e lecci, fichi in gran numero, grano, orzo, lino, civaie, vino, legname abbondante, pascoli copiosi e bestiame. Molte cussorgie.

Cenni storici. — Fu per lungo tempo il ritrovo di facinorosi e di banditi, i quali, dopo di aver commesso qualche delitto, riparavano nelle selve per sottrarsi all’arresto. Un pozzo chiamasi ancora comunemente al di d’oggi Sorgente dei Banditi.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 [Poste] ivi [in loco], T. a Tempio Pausania.

BORTIGIADAS (1045 ab.). — A 560 metri di altezza dal livello del mare, sul declivio di un monte a sud e quasi nascosto tra le eminenze, con vie irregolari e parrocchiale dedicata a San Nicolò di Bari; due chiese filiali nell’abitato e altre sette campestri, fra cui San Rocco presso la sponda del Coghinas, bella chiesetta entro un boschetto di lecci, sugheri e lentischi.

Monte-Ruju e Monte-Biancu (monte Rosso e monte Bianco) sono i monti più cospicui del territorio, vestito per molta parte di selve variate di quercie, lecci, soveri, roveri, lentischi, corbezzoli, ontani. Grano, orzo, fave, lino, vino, bestiame, molto selvaggiume e caccia copiosa. Parecchi rivi solcano il fondo delle valli ed appartengono tutti al bacino del Coghinas, il quale forma, per parecchi chilometri, il confine del Comune e nel quale si pesca non poca quantità di anguille e muggini. Due soli Nuraghi disfatti e molte cussorgie.

Cenni storici. — Il nome di Bortigiadas vuolsi derivi da Oltigiu (sughero) e suonasse propriamente Oltigiada, per esser le case coperte di sughero in luogo di tegole.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 T. a Tempio Pausania.

MANDAMENTO DI CALANGIANUS (comprende 3 Comuni, popol. 6173 ab.).

— Territorio esteso con molti monti granitici, vestiti di folte selve di roveri e lecci e racchiudenti una valle ferace. Acque purissime e molti rivi, che congiungonsi in quattro fiumicelli. Lontano dal capoluogo stendonsi paludi, le quali, prosciugandosi nell’estate, tramandano esalazioni miasmatiche.

CALANGIANUS (3025 ab.). — A 575 metri di altezza, alle falde di un monte esposto a nord e a ovest e dinanzi al quale stendesi una fertile valle ricinta di alture.

Parte della popolazione è sparsa nelle cosidette cussorgie o stazzi, nelle quali sono comprese le frazioni di San Paolo e di San Bachisio. Parrocchiale di Santa Giusta, consacrata nel 1738, ove si ammira un quadro del celebre pittore sardo Andrea Lusso del secolo XVI, e quattro chiese minori, oltre sei nella campagna, tutte di stile antico.

Intorno alle rovine della chiesa di Santa Margherita e in altri luoghi osservansi i ruderi di antiche abitazioni, nove Nuraghi distrutti e in altri luoghi sepolture antichissime con lapidi enormi. Molte spelonche, in cui riparano d’inverno i pastori.

Lodansi alcune acque come valevoli contro le febbri terzane, principalmente l’acqua cosidetta Sigala a un chilometro dall’abitato, verso nord.

Grano, orzo, fave, fagiuoli, lino, molte ortaglie e molto vino, che smerciasi in parecchi paesi vicini; alberi da frutta di diverse varietà e vaste selve ghiandifere, dalla cui corteccia si ritrae non tenue guadagno; bestiame bovino, ovino ed equino.

Molti telai e fabbricazione di mattoni e di tegole.

Abbonda di selvaggiume principalmente dalla parte che stendesi sul Limbara e grande è la copia dei volatili.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 T. e Str. ferr.

LURAS (2227 ab.). — Sorge a 500 metri circa di altezza, sull’altipiano di Tempio, esposto a tutti i venti, in aria saluberrima e in territorio molto esteso e quasi tutto montuoso e selvoso.

La chiesa principale, dedicata alla Madonna del Rosario, va rinomata come una delle più belle della Gallura; è una costruzione moderna a tre navate, eretta per cura del sacerdote Giorgio Scarni, che molto vi contribuì del proprio. L’antica parrocchiale, di cui scorgonsi ancor le vestigia fuori del paese, era sacra a San Giacomo e fu distrutta nel 17G5 per ordine del vescovo Pier Paolo Carta, perchè esposta in quel luogo alle profanazioni. Quattro chiese minori e altre quattro campestri, fra cui quella di San Pietro, costruzione antica a tre navate, come antiche sono anche le tre rimanenti parrocchiali, un tempo centro di popolazioni distrutte da gravi sventure.

Dopo Tempio, Luras è il Comune più importante ed industre della Gallura Montana e possiede vie selciate, alcune piazze pulite e molte case belline.

Sparsi pel territorio sorgono sei Nuraghi, uno di quei monumenti antichissimi detti Pedrasfittas, e in altri luoghi, non molto discosti dal paese, monumenti consimili, detti colà Sepolturas de Paladinos, piccole gallerie, come già dicemmo, formate da due muri nuragici discosti dove un metro, dove più e lunghi qui m. 4, là 6, quantunque non intieri e coperti da enormi lapidi lunghe sino m. 5, larghe 3.50 e spesse 0.80. Gli abitanti credono che la forza degli uomini ordinarii non bastasse a rizzare monumenti sì enormi e tengono sieno stati costruiti da giganti per seppellirvi altri giganti.

Il territorio lurese è in generale più appropriato alle viti che all’orzo e al frumento, i quali però si seminano assieme alle fave, fagiuoli e ceci; ortaglie ed alberi da frutta.

La vigna prospera stupendamente con molte varietà d’uve; il vino bianco riesce oralmente dolce e gagliardo, e di esso, come dell’acquavite, si fa grande smercio in Aggius, Bortigiadas, Terranova, La Maddalena, Longone, Oschiri, Ozieri, Tula e nei paesi dell’Anglona perchè reputasi migliore di quello degli altri vigneti della Gallura.

Bestiame variato e in gran numero, pesca copiosa di trote e anguille, selvaggiume. Commercio, oltreché dei vini e dell’acquavite, di formaggi, pelli, cuoi, lane, bestie da macello, porci salati e manufatti.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 T. e Str. ferr.

NUCHIS (921 ab.). — Siede a 570 metri di altezza, alle falde di un piccol poggio, in clima freddo ed umido, con parrocchiale dello Spirito Santo e cinque cappelle, quattro nel paese ed una in regione lontana. Il territorio, assai ristretto, stendesi nella pianura del Gemini e produce grano, orzo, fave, legumi, ortaglie e frutta.

Vi prospera la vite e molto mosto si commercia a Tempio per essere convertito in acquavite e in vino a Monti, Oschiri e nei paesi dell’Anglona.

Selve e bestiame, formaggi di ottima qualità, che vendonsi a Terranova e in Arsachena.

Cenni storici. — Derivò il nome strano di Nuchis dai boschi di noci che la circondano, e sotto il dominio aragonese si chiamò ora Nuges, ora Nuguez e ora Nughes.

Coll. elett. Tempio Pausania, Dioc. Castel Sardo [sic.] – P2. T. a Tempio Pausania e str. ferr. locale.

MANDAMENTO DELLA MADDALENA (comprende 2 Comuni, popol. 3923 ab.).

Arcipelago allo sbocco dello stretto di Bonifacio, composto dell’isola maggiore La Maddalena (19.61 chilometri quadrati), Caprera (15.94 chilom. quadr.), degli Sparagi (4.06 chilom. quadr.), Santo Stefano (2.93 chilom. quadr.), dei Budelli, di Santa Maria, dei Razzoli e di altre minori.

LA MADDALENA (1881 ab.). Giace a ovest dell’isola consorella, la ramosa Caprera, da cui la separa un canale molto angusto detto Passo della Moneta e sul quale fu poi costruito un ponte girevole, che congiunge ora le due isole. Per l’importanza strategica dell’isola vi furono edificati parecchi forti detti di San Vittorio, della Trinità, di Balbiano, di Santa Teresa, di Sant’Andrea, dì Sant’Agostino, di San Giorgio (nel 1809), Guardavecchia, i quali sono tra loro disposti in modo da poter incrociare i loro tiri.

Nel 1885 si deliberò in massima di fortificare Maddalena, ed oggi, dopo nove anni trascorsi, la piazza forte è quasi per intiero allestita. I forti principali sono costruiti sul sistema di tiro indiretto proposto dal generale Mattei, e riconosciuto finora d’una efficacia insuperabile. Essi sono armati di obici a retrocarica da 25 e 28 centimetri di calibro, ottenuti in gran parte col trasformare i cannoni ad avancarica corti, sistema Armstrong, che formavano l’armamento delle nostre navi da guerra, ora radiate. Oltre a questi obici vi sono due batterie armate di cannoni da 68 tonnellate della marina, su affusti a scomparsa, batterie moderne e potentissime, destinate a battere con tiri di lancio e capaci di forare le maggiori corazze a difesa delle navi da guerra.

Sono complessivamente 40 bocche da fuoco di grosso calibro, che si trovano in batteria sui forti; oltre a batterie di sbarramento costruite in Sardegna e armate di bocche da fuoco a retrocarica, di tipo non molto recente della marina (ma ancora buonissime) per difendere l’accesso, per via di terra, alla piazza.

Oltre a questo, che è l’armamento principale, vi sono in posto altre cinquanta bocche a fuoco di minor calibro a tiro rapido, per battere le zone d’acqua sbarrate ed impedirvi operazioni di guerra del barchereccio di una squadra nemica, e tutto un sistema di stazioni foto-elettriche permette un ben ordinato servizio d’esplorazione per garantire dalle sorprese di torpediniere nemiche.

L’organizzazione della difesa è poi completata da imbarcazioni rapide a vapore e piccole torpediniere perii servizio di ronda e di perlustrazione, oltre alla difesa mobile affidata alle maggiori torpediniere. Come si vede l’insieme delle difese dà a Maddalena l’importanza formidabile di una piazza forte di prim’ordine; e benché in marina molti sieno gli scettici, che non credono troppo alla grande efficacia delle batterie sistema Mattei, pure non si può negare, che un’armata nemica, che volesse venire a capo dell’espugnazione di Maddalena, si metterebbe a rodere un osso assai duro. La piazza è costata molti milioni per la grande difficoltà di lavoro nel suolo, che è principalmente formato di granito, ma sotto questo punto di vista bisogna convenire, che si è fatto molto e, relativamente, presto.

Le risorse che la piazza offre all’armata, sono: un forte deposito di carbone; un piccolo arsenale, che in tempo normale basta appena ai bisogni delle batterie e dei galleggianti minori, quali torpediniere, rimorchiatori, barche, ecc.; fonti provviste di acqua dolce, un piccolo magazzino di oggetti di consumo e di rimpiazzo e, finalmente, ancoraggio per un numero rilevante di navi.

Tale ancoraggio è sicuro per la sua profondità e la sua posizione riparata dai venti; ma non è poi facile, né comodo, a causa dei venti freschi dell’arcipelago, la comunicazione colla terra. E certo però che Maddalena è un eccellente posto di concentrazione, quando si pensi a preparare la mobilitazione delle forze navali, non essendo la sola Spezia sufficiente ad armare e allestire l’intiera armata navale italiana.

Ci siamo trattenuti alquanto nel parlare di Maddalena, fornendo, con la scorta di persona tecnica, tutti quei particolari che ci fu possibile, non potendo, per delicati riguardi facilmente comprendibili, dare più precise informazioni, sia per la sua importanza grandissima, che attualmente ha, sia anche per far risaltare, come, piuttosto che rinunziare, dopo una spesa di somme egregie, al beneficio, che puossi ritrarre da questo baluardo della difesa nazionale, sia più ovvio terminare le fortificazioni, ancora in progetto, benché importino la cospicua somma di 50 milioni.

Poco lungi dal paese fu aperta una piazza grandiosa, la piazza della Renella, ove sorgono parecchie palazzine eleganti per albergare gli uffìziali e le loro famiglie e per gli uffici navali militari. Una lunga strada rotabile, che costò spese e fatiche non poche, congiunge tutti i punti fortificati, e, per la scarsezza dell’acqua nell’isola, la popolazione militare fu provveduta di due grandi distillatori, per mezzo dei quali l’acqua salsa divien potabile.

Le roccie, che compongono l’arcipelago, sono granitiche. I vegetabili selvatici, che in molte parti le vestivano e che hanno ora ceduto il luogo alla coltivazione, attestavano la somiglianza del terreno con quello della Sardegna. Il borgo è situato sulla sponda meridionale dell’isola, dirimpetto al Palao e a 4 metri di altezza dal livello del mare. Nella parrocchia, dedicata a Santa Maria Maddalena, si conserva un prezioso ricordo consistente in alcuni candelieri e in una croce di argento con suvvi un Cristo dorato, dono del celebre ammiraglio inglese Nelson, quando rimase appostato con la sua squadra nell’isola per impedire una seconda spedizione francese in Egitto.

Lungo le coste dell’isola incontransi alcuni porti naturali. Quello di Calagavetta può accogliere anche legni da guerra ed è al sicuro da ogni vento. Altro buon porto è quello di levante nel seno di Mangiavolpe riparato a levante, greco e mezzogiorno dall’isola di Caprera. Ma il principale è il bacino di Mezzoschifo formato dalla spiaggia della Sardegna nel Palao, dall’isoletta di S. Stefano e dalla spiaggia australe della Maddalena; vi possono stanziare al sicuro navi di qualunque portata e intiere squadre.

I prodotti agrari, oltre i pochi cereali, consistono in ortaglie, come cavoli, lattughe, cipolle, melloni, cocomeri, pomidoro, ecc. Vi prospera la vigna, e il vino spremuto dalla mescolanza di varie uve è assai pregiato. Ulivi ed alberi da frutta; bestiame, formaggi e ricotte squisiti. Pesca abbondante di pesce e corallo.

L’industria fabbrica tessuti di tela, reti e guanti di molto pregio. Vi è in attività una cava di granito, di cui si fa esportazione, e le spallette del lungo Tevere di Roma sono costruite in parte con pietra di quella cava.

Cenni storici. — L’isola della Maddalena fu abitata primieramente da pastori di San Bonifacio e fece sempre parte della Gallura, di cui seguì le sorti. Fu spesso assalita dai Barbareschi, ma delle loro invasioni non rimangono memorie e solo si sa, che furono sempre valorosamente sconfitti dagli isolani e o volti in fuga o fatti prigionieri.

Il re di Sardegna mandò poi la sua quadra a notificare ai pastori bonifacini, che essendo suo il territorio, in cui avevano posto dimora, dovevano sottoporsi alle sue leggi. Essi riputaronsi fortunati di essere accolti sotto la sua protezione, e, venuto meno il timore dei Barbareschi e costruito un forte in cui riparare in caso d’aggressione subitanea, incominciarono a raccogliersi insieme, edificarono una chiesetta dedicata alla Trinità e si strinsero in società.

Molti Sardi della Gallura aggregaronsi ai coloni stranieri, molte pastorelle della vicina regione andarono spose ai medesimi e, dalla mescolanza del sangue corso e sardo, sorse una nuova popolazione.

Ciò produsse un gran cambiamento: il numero dei pastori andò assottigliandosi ogni dì più e crebbe quello degli agricoltori; ma la maggior parte di essi si volsero al mare, alla pesca, alla navigazione, al commercio, e lasciate le antiche sedi, andarono a stabilirsi sulla spiaggia, in cui stanziarono.

Il contrabbando, frequentissimo nella guerra fra la Sardegna e la Corsica, arricchiva gli abitanti, come li arricchiva lo stanziare frequentissimo della squadra di Nelson nel golfo, da cui quel prode stava all’agguato per assalire le squadre francesi, che osassero uscire dai porti di Tolone e di Marsiglia.

Alla Maddalena si scopersero molte antichità. Citeremo le tombe romane, stoviglie e monete pure romane, ritrovate nello scavare le fondamenta della villa di proprietà Millelire e nel territorio di Cala Chiesa. Tra le monete è degna di nota una dell’imperatore Filippo Seniore, che l’archeologo canonico Spano, giudicò assai rara, e la quale nel dritto ha l’iscrizione IMP. M. IVL. PHILIPPVS AVG. attorno al busto stellato e laureato dell’imperatore, e nel rovescio le parole SAECLVM NOVVM S.C. con inciso un tempio ottastilo, terminante in attico, e dentro la statua di Roma seduta. Questa moneta fu scoperta nel 1869.

Uomini illustri. — Maddalena ha dato in ogni tempo uomini coraggiosi ed audaci, i quali si distinsero, non solo nello scacciare i Barbareschi, ma anche nell’affrontare i pericoli della vita marinara. Gli Albini, i Millelire, gli Ornano, ora scomparsi dalla scena del mondo, furono uomini ai quali la nautica die fama di rara perizia marinaresca. Un Zicavo fu comandante dell’antica squadra sarda ed ora è sepolto nell’atrio d’una chiesa di Genova; Tommaso Zonza si segnalò per la distruzione di alcune orde di pirati tunisini presso il capo Teulada col regio sciabecco Sant’Efisio. Ad essi conviene inoltre aggiungere i Susini, famiglia di bravi e coraggiosi marinai, e il cav. Antonio Alibertini, che ideò le palle arroventate, con le quali produsse l’incendio della nave capitana francese Mot Belon.

La Maddalena conserva nel suo piccolo cimitero i corpi di alcuni valorosi, fra cui quelli di Daniele Roberts, amico di Byron e distinto ufficiale della marina britannica, che, ritiratosi in questo paesello, passò gli ultimi anni della sua vita facendo opere di carità, per cui fu soprannominato il padre dei poverelli, e l’altro di Riccardo Collins, colonnello della fanteria inglese, che vi morì in seguito a ferita altrove riportata. Per molti anni vi fu ospite il savoiardo Andrea De-Geneys, che ne comandò il piccolo presidio marittimo, nome caro ai valorosi italiani.

Nel 1834 vi morì in esilio il tribuno Vincenzo Sulis.

Coll, elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 T. e Scalo marittimo.

Battaglia della Maddalena (Febbraio 1793).

L’isola della Maddalena (fig. 54) va rinomata nell’istoria per la battaglia del febbraio 1793 in cui combattè il giovine Napoleone Bonaparte. Ne daremo qui una descrizione in succinto.

Il 22 febbraio del detto anno, quando i Francesi, respinti da Cagliari, disponevansi alla partenza o, a meglio dire, alla fuga, la Maddalena vide appressarsi incontro una squadra di 23 legni, tra cui una grossa fregata con suvvi Napoleone Bonaparte. Mentre i nemici erano in gran numero e ben riforniti di tutto, l’isola non era difesa clic da 500 uomini, compreso il piccolo distaccamento di truppe di ordinanza e 250 (Ialini osi ch’eranvi slati inviati. Le due mezze galee, con alcune gondole e galeotte, appostaronsi in luoghi opportuni per mantenere le comunicazioni con la Sardegna, ove sul vicino Palao stavano alcune migliaia di Galluresi sotto il comando di Giacomo Manca dei marchesi di Tiesi, commissario generale della cavallerìa della milizia. Eranvi inoltre altre genti schierate in diversi punti, ov’era possibile tentare uno sbarco e non poche sul litorale di Vignola.

La mattina del 23 i Francesi incominciarono a bombardare il forte e il borgo della Maddalena. I Sardi non se ne stettero con le mani alla cintola, ma risposero loro per le rime, così dal mare come dalla terra. Mentre ferveva il combattimento, otto piccoli legni slanciavansi contro l’isola di Santo Stefano, la quale fu occupata dal Bonaparte.

Dopo questo vantaggio la fregata andò ad impostarsi nel canale, fra le isole e l.i Sardegna. Il 24, sul far del giorno, i Sardi scorsero già ultimata sulla punta di Santo Stefano la batteria fulminata nel giorno precedente dal cannone della Maddalena. Il Bonaparte aprì un fuoco vivissimo, ma ebbe presto ad accorgersi, che i Sardi eransi da canto loro ben apparecchiati alla difesa, dacché, smascherata una pici ola batteria di due cannoni, piantata nella tregua notturna, cominciarono a cannoneggiar la fregata la quale, colpita negli alberi, fu costretta a levar l’ancora.

La batteria francese continuava però a tirare contro la Maddalena, e i Sardi ebbero tosto ad avvedersi, che l’isola era perduta, se non muovevano tosto contro Santo Stefano a sloggiare i Francesi e ad inchiodare i loro cannoni. A tal uopo costruirono, di notte tempo, un’altra batteria per costringere la squadra nemica a sgombrar l’accesso.

Giunto il 24 ricominciò il cannoneggiare e i Sardi, adoperando palle infuocate, furono ricambiati con un fulminare tremendo per l’intiero giorno. Il 20, mentre ferveva più intenso il combattimento, furono imbarcati sui legni sardi 400 uomini dal campo d<l Palao. i quali mossero a voga arrancata verso Santo Stefano contro la batteria francese, nel mentre la fregata, assai danneggiata dalle palle infocate, iva libero il passo, ritirandosi nel vicino golfo di Arsachena.

Il Bonaparte, avvedutosi del pericolo nell’assalto imminente dei Sardi, corse in fretta ad imbarcarsi seguito da’ suoi, lasciando in mano ai vincitori un mortaio, quattro grossi cannoni, grande quantità di munizioni e tutto il bagaglio. Mentre passavan fuggendo in mezzo alle isole, i legni nemici ricevettero molte cannonate e, al capo della Caprera, una scarica ben diretta di 150 Galluresi colà appostati, la quale inondò di sangue 1e coperte. In complesso i Francesi ebbero uccisi 210 uomini, molti feriti, ma lasciarono pochi prigionieri.

Avevano scagliato contro i Sardi ben 500 bombe e 5000 palle con lieve danno, non essendo rimasti offesi che due uomini. Andò però perduto lutto il bestiame pascolante nell’isola di Santo Stefano e nelle altre isolette, non essendosi salvato che quello sull’isola di Caprera.

Di tal modo quel Napoleone Bonaparte, che doveva poi empiere il mondo con lo strepito delle sue vittorie prodigiose, fu nell’esordire sconfitto e volto in fuga dai Sardi.

CAPRERA. Anche l’isola di Caprera, ignota ancora non è mollo, acquistò gran rinomanza per la dimora di Garibaldi, che ne fece acquisto, la coltivo. vi morì e vi giace sepolto con le sue figlie Annita e Rosa.

È una gran massa granitica dalle svariate forme su cui la natura ha profuso i meravigliosi tesori delle su bellezze selvagge. Monti coronati da cisti e lentischi in tutta la loro opulenta vegetazione, pianure fertili, declivi ondulati, precipizi, burroni, roccie nude e puntute, scogli; contrasto vivo d’opposte conformazioni terrestri e quindi di vegetazione.

Giace Caprera in vicinanza alla Maddalena, dal cui borgo dista circa 5 chilometri, ed ha una superfìcie di 15.94 chilom. quadr. e 77 abitanti. Ha tre porti, detti porto Palma, porto Stagnole e porto Taviano e si compone di tre monti, monte Fico, monte Bacca e monte Telajone separati fra loro da ampie pianure bel coltivate.

Monte Fico, detto anche Monterosso, in forma di forcella, mette capo a porto Palma, capace di qualsivoglia bastimento e distante circa mezzo chilometro dall’isoletta detta del Porco. Sotto un macigno di monte Fico, ammasso di sassi con macchie di acacia e di lentischio, scaturisce una ricca e perenne sorgente d’acqua fresca, leggiera e sana. Vicino a porto Palma un’ampia pianura con pingui pascoli, vigneti, alberi fruttiferi, erbaggi e due casolari, in uno dei quali dimorava la signora inglese Chiara Collins, vedova del signor Riccardo Collins, già proprietario dei terreni ceduti poi a Garibaldi. A monte Fico tien dietro monte Bacca, a nord del quale schiudesi il porto Stagnole, il quale non accoglie che piccole barche. Nella metà superiore il monte è un cumulo di pietre, ma nella metà sottostante è assai ben coltivato. Alle falde un casolare con piccola vigna.

Il monte Telajone è il più alto dell’isola; il La Marmora vi stabilì uno dei punti trigonometrici di primo ordine e lasciò scritto, che di là, oltre porzione della Corsica, abbia scorto l’isola di Monte Cristo. Il monte Telajone è popolato di capre selvatiche e sul suo pendìo sorge la casetta abitata da Garibaldi e dalla sua famiglia, con a piedi una pianura trasformata da lui in feracissima campagna. Fra il Telajone e la casetta un’antica casa rustica con orticello attiguo, una vignetta ed una sorgente di acqua eccellente.

Scendendo a traverso il monte verso l’abitazione di Garibaldi dalla parte del mare, ov’è il porto Taviano, s’incontra un sentiero che mette ad una comoda strada, proseguendo lungo la quale si arriva alla porzione settentrionale dell’isola ove, dirimpetto alla Maddalena, scorgesi Arcacelo e il ponte Galera. Dal lato orientale Caprera non ha che scogli ed alcune boscaglie.

Parte del territorio, che è delta il Fontanaccio, fu ridotta a podere, mercè le infaticabili cure del grande eroe, che lottò con la sterilità del terreno e l’aridità del suolo. Raccolte con diligenza le acque, che scendono dal versante di quelle colline, egli potè piantarvi una vigna, un agrumeto, un orlo con frutteto, oltre ai numerosi alberi di ulivi. Riservò inoltre una porzione per seminarvi cereali. Vi impiantò pure un apiario, un molino a vento, per macinarvi il grano per il consumo della sua famiglia, il quale metteva pure in movimento una trebbiatrice ed un frantoio da ulive. Tale macchinario fu costruito sotto la direzione di certo Barberini di Panna, il quale volle farne un dono a Garibaldi. Molte di tali cose oggidì non sono più attivate; vi restano però il frutteto, l’oliveto e la vigna, dai quali si ritrae olio e vino pregiato. In questa isola furono di recente costruiti dei lavori importanti di fortificazione ed una caserma per alloggio dei militi della compagnia di disciplina.

Ma ciò che desta interesse in questo scoglio è la casetta bianca, linda (fig. 55), con le persiane verdi, in cui visse gli ultimi anni della sua vita tempestosa e splendida quell’essere straordinario, alla cui esistenza, fra un secolo, si crederà come ad una leggenda. Quella casetta trovasi su d’uno spianato di nudo granito, nel centro dell’isola, circondata tutt’intorno da un verde cancello, e con la facciata rivolta alla vicina isola della Maddalena. Stante il dislivello del suolo essa si presenta da una parte a piano alto, e dall’altra a solo pian terreno. Il Governo recentemente ha bilanciato la somma di lire 15.000 per il riattamento di questa casa e della tomba di Garibaldi. Vicino ad essa sorge ancora una capanna da pastori e nel cortile, che le sta dinanzi, la casa in legno, ora abbandonata, che fu costruita dal generale appena giunto, e più in là un’altra in lamiera di ferro regalatagli dagli Inglesi.

In questo cortile, prospettante la porta principale della casa, s’erge, su d’un gran masso di granito, il busto di Garibaldi, pure in granito, ravvolto nello storico puncho e con in testa il noto berretto, scoltura di grandezza superiore al naturale. Dentro vi è la camera mortuaria, in cui si conservano la carrozzella, su cui veniva trascinato negli ultimi anni di sua vita, armi regalategli, disegni, l’orologio fermato all’ora in cui egli disparve dal mondo, il calendario americano, che tiene ancora il foglio del 2 giugno 1882, triste data del suo decesso e di lutto generale, e un numero straordinario di corone inviate da ogni parte in omaggio alla sua memoria.

Dalla casa un viale conduce a un piccolo recinto, ove sono le tombe di due figlie di Garibaldi: Annìta, nata nel 1859, morta nel 1875 e Rosa, nata nel 1867, morta nel 1871, e presso a queste la sua, ricoperta da un pesante masso di granito, modestissimo monumento a così grande uomo, ma tanto più sublime e degno di colui che non curò mai il fasto e visse poveramente, ma onestamente (fig. 56).

Quella pietra misura metri 2.60 in lunghezza su 1 metro in larghezza. Essa è l’ara, il santuario d’Italia. Ivi è chiusa l’epopea della nostra redenzione, epopea che ancora attende un genio che la narri e ne crei un poema. Innanzi a quella tomba molte fronti si curvarono come dinanzi ad un altare, e il nostro re Umberto e il principe ereditario, nei giorni 16 e 17 luglio 1889, allorché visitarono la Maddalena, vollero essi pure inchinarsi riverenti e commossi davanti a quel sasso, e i duchi di Genova, nel 26 e 27 agosto di quello stesso anno, vi compirono un mesto pellegrinaggio. Su quella tomba il re fece deporre una ricca corona, che il 25 del successivo settembre fu, per suo incarico, consegnata dall’ammiraglio Racchia, presenti tutte le autorità civili e militari della Maddalena, e nel sito Fontanaccio, al comandante militare dell’isola. Ultimamente fu costruita una caserma, ove alloggia il presidio nel sito Gli Stagnoli. Di Garibaldi parlano sempre con entusiasmo e riverenza gli abitanti di Caprera.

CENNI STORICI. — Cinquant’anni or sono Caprera era abitata da qualche pastore, che vi trovava magro pascolo per le sue capre; qualche anno appresso v’andò ad abitare a famiglia inglese Collins, la quale v’eresse una bella casa con giardino e per ultimo fu il ritiro prescelto dall’eroe dei due mondi. Pare però che anticamente quest’isola detta Insula Phintonis, fosse abitata, e il Ricciotti Garibaldi vi rinvenne un bronzo di Massimiano Erculeo e vari frammenti di anfore anteriori al secolo III di C. Probabile perciò che, sotto il dominio romano, Caprera sia stata popolata da qualche frazione di colonia.

Garibaldi pare che abbia per la prima volta visto Caprera nel 1849. allorché, dopo la caduta di Roma, egli, che s’era riparato in Piemonte, fu, per ordine del governo sardo, fatto imbarcare per Tunisi. Il Bey non volle permetterne lo sbarco nel suo territorio, sicché il vapore ripartì alla volta di Cagliari. Ma neanche quivi il generale potè sbarcare, avendo l’intendente generale conte Pes proibito ch’egli scendesse a terra, solo concedendo che fosse condotto e lasciato nella Maddalena. Ciò che venne eseguito.

Solo nel 1851 però, Garibaldi, al suo ritorno per la seconda volta dall’America, si stabilì definitivamente in questa isoletta, ove rimase fino al 1859, in cui se ne partì allorché il conte Cavour lo chiamò al comando dei Cacciatori alpini.

Rientratovi nel 1867, ne partì ancora nel 1870 allorché recavasi in Francia e aggiungeva al numero delle sue vittorie quella splendida di Digione. Nel 1871 tornò nell’isola, e nel 1882 recavasi in Sicilia per le feste commemorative dei Vespri Siciliani. Da quel tempo non uscì più da Caprera.

Isole minori.

– Santo Stefano. — È un isolotto tra la Maddalena e il capo dell’Orso, a occidente di Caprera. Esso è granitico ed ha circa 6 miglia di periferia. Già proprietà privata e abitato da alcune famiglie, che vi tenevano parecchie greggie di pecore e di capre, e vi coltivavano i campi, seminandoli a frumento ed a cereali, fu poscia acquistato dal Governo, per per essere stato compreso nel numero delle isole fortificate. Infatti le due torri, semi diroccate, che già vi esistevano, furono surrogate da nuovi e più solidi bastioni, e sulla sua costa più settentrionale fu pure innalzato un faro.

– Isola degli Sparagi. — Misura la stessa superficie di Santo Stefano e dista un miglio marittimo circa dalla Maddalena. Le coste in più tratti sono irte di scogli e perciò assai difficile vi è l’approdo. E abitata da una famiglia di pastori, che n’è proprietaria e che la coltiva e attende all’allevamento del bestiame. Vi è una copiosa fontana di buon’acqua e vi cresce la ferula, pianta velenosa per gli animali che per caso la mangiano. Abbonda di pernici e di beccacele. A poca distanza vi è altro isolotto, detto Sparagiotto, gran scoglio disabitato e incapace d’essere coltivato.

I  Budelli. — Sorgono al nord-ovest della Maddalena, da cui distano circa 6 miglia. Due di essi vengono chiamati La Presa, che è al nord, e I Barrettini all’est, e fanno parte del gruppo detto anticamente Cuniculariae. In quest’ultima cresce l’agacio, ginepro di Fenicia. I Budelli è il nome di un’isoletta che sta al sud. Sono tutte granitiche, e offrono una meschina vegetazione, sfruttata per pascolo da qualche pastore della Maddalena, che vi soggiorna.

Santa Maria. — Appartiene a quello stesso gruppo, di cui trovasi a nord-est. Coltivata in gran parte a vigneti; ricca di pascoli e perciò vi prospera il bestiame; laghetto popolato di pesci e d’uccelli acquatici. Vi sorge una vasta casa, di proprietà d’un signore della Maddalena, che è il possessore dell’isola.

Razzoli. — Fa parte pure del nominato gruppo ed è singolare per la sua forma di piramide acuta. All’estrema punta nord vi sorge un faro di 2° ordine, abitato dal guardiano con la sua famiglia, soli esseri umani in quel grosso scoglio granitico. Il faro s’innalza a 86 metri sul livello del mare e a metri 18.50 dal piede della torretta; la sua posizione è di 41° 18′ 30″ latitudine nord e di 70° 20′ longitudine. L’apparato lenticolare è a luce bianca fissa, con raggio rosso verso la rocca del Lavezzi; la luce ha la portata di mm. 16. Questo faro, con quello che sorge nell’isoletta Lavezzi, appartenente alla Corsica e distante dal primo 3 miglia, rischiara il passaggio più pericoloso ed insieme il più stretto delle Bocche di Bonifacio.

SANTA TERESA GALLURA (3043 ab.).

A 44 metri di altezza, sulla sponda destra del porto Longone (così detto perchè più lungo che largo), è il paese più settentrionale della Sardegna, più vicino alla Corsica, dirimpetto a Bonifacio, distante 30 chilometri dalla Maddalena e 59 da Tempio Pausania, con porto sicurissimo, ma di poco fondo pei detriti che vi porta da secoli un torrentello, e ufficio semaforico nella frazione di capo Testa. Parrocchiale di San Vittorio e, nella penisola di capo Testa, rovine di una chiesa dedicata a S. Teresa, da cui prende nome il paese.

Presso l’abitato, a ovest, sorge una eminenza delta monte Bandera.

Il territorio ampissimo, parte a monti e colli e parte piano e marittimo, produce cereali, ortaglie, frutta, vino, ecc.; bestiame e buon formaggio; pesca e contrabbando con la vicina Corsica.

Santa Teresa è stazione balnare di Tempio e di tutta la Gallura. Ma la sua importanza è dovuta per essere sede del dipartimento telegrafico sardo, partendo da questo ufficio il cavo che unisce l’isola al continente. Fanno parte di Santa Teresa le due frazioni di Caresi e Marazzino.

Cenni storici. — Il porto di Longosardo è ritenuto per l’antico Portus Tibulii. Nell’Itinerario d’Antonino si parla della stazione di Longones, e Tolomeo accenna ai Tibulazi come i popoli più settentrionali dell’isola. Nell’antica curatoria marittima di Montangia e sulle rovine dell’antica città, ristabilivasi una popolazione sul declinare del secolo XIV, quando fu costruito il castello di Longone o di Longosardo, che divenne famoso. Sorgeva esso sulle estreme falde occidentali del monte Caresi e sulla sponda del porto in forma quadrilatera irregolare, con un’appendice difensiva dalla parte di terra, ove il terreno poteva favorire gli assalitori. Dalla parte del porto il castello era munito di una grossa torre ed, oltrecchè solidissimo, poteva contenere buon nerbo di truppe.

Nel 1383 la celeberrima Eleonora di Arborea, vincitrice degli Arboresi repubblicani, che avevano ucciso suo fratello Ugone, mosse guerra agli Aragonesi e non depose le armi che nel 1388 quando si venne alle conferenze preliminari per la pace. In quei patti occorre la prima menzione del castello di Longone, il quale par fosse costruito dalla suddetta Eleonora giusta una lapide marmorea rinvenuta fra le macerie e portata via dagli isolani della Maddalena.

Lungo sarebbe narrar qui le vicende guerresche del castello di Longone. Ne basti il dire che nel 1422 Francesco Spinola, con una squadra di sette galee, assalì Longone, saccheggiò la ricca borgata, che vi fioriva vicino e trasportò in Genova un ingente bottino. Alfonso re d’Aragona, stanco oramai delle spese che gli costava il castello, ne ordinava la demolizione, la quale fu eseguita nel 1423 non senza che vi rimanessero ruderi in gran numero. Caduto il castello, scompariva con esso la popolazione numerosa ed attiva del sobborgo.

Nel 1803 il viceré Carlo Felice aveva autorizzato la costruzione di alcune case presso la torre di Longosardo. Il marchese di Villamarina e il cav. Pietro Cabras-Misorro, possessori di estesi terreni in quella località, ne accordarono gratuitamente l’uso ai pastori di quei dintorni, che vi si stabilissero. Cinque anni dopo un nucleo di case accoglieva una popolazione discreta, per modo che il re Vittorio Emanuele I la faceva erigere in Comune e le dava il nome della sua consorte, Maria Teresa d’Austria. Nominato comandante il savoiardo Magnon, questi accordò facilitazioni a quanti bramavano abitarvi, incoraggiando la popolazione a sempre più progredire. Disgraziatamente egli moriva assassinato da un pastore, che si riteneva leso nella sua proprietà.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 T. e Scalo marittimo.

MANDAMENTO DI TERRANOVA PAUSANIA

(comprende il solo Comune di Terranova Pausania).

Questo estesissimo territorio è in gran parte montuoso.

Si notano tra le sue altezze il monte Pino, continuazione della catena dell’Ultana, che già fu folta selva di pini; il monte Plebi, continuazione dell’altro, che copre il capoluogo a maestro; il monte Santa Maria, che fa seguito al Plebi; la catena dei colli Testi, i monti del Ceraso e i monti che si diramano nel nodo del monte lttia. Abbondano le sorgenti alle falde di questi monti.

La parte piana del territorio si stende a maestro e ponente, a libeccio, ostro e scirocco. Il territorio è molto fertile per cereali.

TERRANOVA PAUSANIA (3553 ab.). — Siede sopra una sporgenza del suolo, nel centro del porto, con le case ancora comprese nella linea delle antiche mura, che formavano nel medioevo il castello, detto anch’esso di Terranova. Descriviamo prima rapidamente il litorale importante co’ suoi seni e le sue isole dal capo Figari al capo Coda Cavallo. Il capo Figari, notissimo ai naviganti, piegando verso scirocco, forma un gran seno detto Golfo degli Aranci, ove fu proposto di stabilire un porto con relativa popolazione.

Le navi ricoverate in esso — fu detto in appoggio della proposta — rimarrebbero al sicuro dai venti, perchè non v’ha alcuna traversìa per la difesa del promontorio dai venti, che spirano fra la tramontana e lo scirocco-levante, per l’isola di Tavolara e dalle altre isole per la conformazione del litorale.

Sul luogo, in cui stabilire il porto e la nuova popolazione, furono messi innanzi due progetti: uno del generale Alberto Della Marmora che lo voleva sulla sponda declive del promontorio verso libeccio col nome di Nova Olbia, l’altro del Genio marittimo, che lo collocò sopra un promontorio incontro a scirocco detto Conca Cadinas. Il Golfo degli Aranci è ora un centro attivissimo di navigazione collegato dalla ferrata a Terranova Pausania, con stazione ferroviaria e ufficio telegrafico.

Lungo la costa del detto seno, all’imboccatura del porto di Terranova, son varii seni e promontori, dei quali il più notevole è quello detto della Lepre.  Il porto di Terranova ha un imbocco di soli 300 metri, ma si va poi ampliando e nella parte interna son tre gruppi distinti d’isolette. La sponda meridionale forma presso l’imboccatura molti seni e qualche isoletta.

Porto Vitello è un seno contiguo al collo del promontorio Ceraso dalla parte di maestro; porto Secco è un altro seno contiguo anch’esso al medesimo promontorio e aperto al levante; e porto Taverna un terzo seno a ostro-scirocco del precedente e schiuso a greco.

Descriviamo ora le isole e gli isolotti. Fra i capi Figari e Coda Cavallo giacciono le due cospicue isolette Tavolara (6.12 chilom. quadr.) e Molara (3.71 chilom. quadr.).

La Tavolara, antica Buccinensis di Tolomeo, è dirupata da ogni parte ed accessibile appena da uno o due punti. Stendesi verso greco, ha il dorso selvoso ed abitato da capre selvatiche. Quivi, secondo lo storico Gian Paolo Nurra, vi fu esiliato il pontefice Poliziano. La Molara, detta anche Salzai, sta ad ostro-scirocco della precedente e a nord del capo Coda Cavallo.

Sonvi poi altre isolette più piccole: il Figarotto, a ostro-libeccio e poco discosto dal capo Figari; la Pagliosa, presso l’imboccatura del porto di Terranova e i (‘aiutili, due isolette ad ostro di capo Ceraso con grandi scogli interposti, le quali formano, col vicino litorale australe, il porto di San Paolo. Fra queste e la parte interna di porto Secco stanno due altre isolette.

Al promontorio dello Spalmatore di Tavolara sono prossimi altri due grossi scogli. A est della Molara sorge l’isoletta detta il Molarotto e da questa verso libeccio, e quindi più prossimo di essa alla Molara, lo scoglio detto i Cervi.

Proratova è un’isoletta a nord da Coda Cavallo; Riulino, altra isoletta a sud dalla punta dello Spalmatore di Tavolara; e il Mozzo uno scoglio a sud del Riulino e poco distante dal promontorio, che protegge il porto della Taverna dal levante.

Torniamo ora a Terranova, la quale ha vie meno irregolari di quel che crederebbesi a prima giunta e tre principali.

La chiesa parrocchiale, dedicata a San Paolo, è sufficientemente capace; tre chiese filiali nell’abitato e parecchie campestri e in rovina fra cui San Simplicio, antica cattedrale.

Il territorio solcato da alcuni rivi, di cui il principale è l’Olbiano, contiene terreni ottimi pei cereali come per le altre varie culture di vigne, orti ed alberi da frutta; la vigna è rigogliosa e produttiva, ma i vini non sono molto stimati; pascoli e bestiame grosso e minuto; caccia in monte e in pianura; calce molto stimata e legnami.

Il commercio marittimo esporta granaglie, vini, formaggi, polli, lane, sugheri, licheni, olio di lentischio, e, da tutte le parti della Gallura, dal Montacuto e dalle regioni prossime a ovest, giungono derrate agrarie e pastorali per la vendita e per l’esportazione.

Nell’isoletta di Tavolara, dalla parte che corrisponde al golfo di Terranova, scaturisce, dagli strati calcarei di uno scoglio enorme, un’acqua purgativa, ma poco nota ed adoperata dagli abitanti dei dintorni per bevanda.

Cenni storici — Oλβια, Olbiensis, una delle più ragguardevoli città antiche della Sardegna nel luogo dell’odierna Terranova fu fondata, al dir di Pausania (x, 17, § 51) dalla colonia dei Tespiadi sotto lolao, compagno di Ercole, alla quale erasi associato un corpo di Ateniesi, il quale tondo una città separata detta Ogrile: «L’origine d’Olbia, osserva però il Casalis, è a parer mio molto più antica della emigrazione di lolao co’ suoi Pelasgi e rimonta all’epoca dei Tirreni, senza però credere che sia stata loro colonia.

Questa città deve aver prosperato quando il mar Tirreno solcavasi da gran numero di navi etrusche e commerciavasi attivamente sui legni etruschi e ligustici».

Checché ne sia certo è che il none d’Olbia par indichi, che la città fu di origine greca; ma, ad eccezione di questa mitica leggenda, non abbiamo certa notizia della sua fondazione.

Dopo la conquista romana dell’isola divenne una delle città più importanti della Sardegna, per la sua prossimità all’Italia e per il suo porto comodo, essendo il punto ordinario di comunicazione coll’isola e il luogo, ove sbarcavano per solito i governatori romani e gli altri, che andavano a visitar la Sardegna (Gic, ad Q. Fratr., n, 3, § 7).

Nella prima Guerra Punica fu la scena d’un combattimento navale fra il console Cornelio ed una squadra cartaginese, ch’erasi ricoverata nel suo porto spazioso; essa vi fu però assalita e sconfitta da Cornelio, il quale s’impadronì poi della città nel 259 av. C. (Zonar., VIII, 11; Flor., 2, § 16).

Nella seconda Guerra Punica (210 av. C.) il suo territorio fu devastato da una squadra cartaginese (Liv., XXVII, 6).

Sotto il regno di Onorio, Olbia è sempre mentovata da Claudiano come uno dei porti principali della Sardegna; e gli Itinerarii recano più di una linea stradale che conduceva di là in varie parti dell’isola (Claud., B. Gild., 519; Itin. Ant., pp. 79, 80, 82). Vuolsi che sotto i Romani contasse sin 50.000 abitanti e fu onorata dalla dimora di Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio. Negli ultimi secoli dell’impero Romano, Olbia decadde e verso il secolo V o VI, riedificata da un suo cittadino, di nome Phausania, o Fausania (donde il nome di Terranova Pausania), rifiorì riacquistando parte dell’antico splendore.

Nel secolo XVI fu più volte saccheggiata dal famoso corsaro saraceno Dragutte e nel 1553 fu incendiata e spopolata.

Ripopolata in seguito, prese il nome di Civita, che perde poi quando, nelle guerre fra Pisani e Genovesi, fu ridotta a poche capanne di pastori, da cui ebbe origine l’odierna Terranova, nome datole dagli Aragonesi.

Olbia fu residenza dei Giudici della Gallura ed ebbe sede vescovile sin dal secolo III. La serie non interrotta de’ suoi vescovi dal 1173 si protrasse sino al 1506, nel qual anno la diocesi fu annessa a quella di Ampurias.

Dalle rovine d’Olbia e Fausania fu costruito il castello di Terranova e fra questo ed il mare scorgonsi gli avanzi di un acquedotto.

Coll. elett. Tempio Pausania — Dioc. Castel Sardo — P2 T., Str. ferr. e Scalo marittimo.

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