II.2 – Nascita

di Maria Azara

Arriva finalmente la grande giornata della nascita, Al parto assiste, dove e quando è possibile, la levatrice, o in sua mancanza una mammana, una donna pratica che è chiamata aggjutadòra (aiutatrice), la quale provvede a quanto è necessario compresa la prima fasciatura del bambino con le braccia dentro le fasce (24).

(24). In qualche stazzo di Olbia, quando il parto si mostrava un po’ difficile, un parente usciva all’aperto (senza che ne accorgesse la partoriente) e sparava un colpo di fucile in aria. Il VALLA, Medicine e credenze popolari Sarde, in «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», 1895, XIV. pag. 41. scrive che al capezzale della puerpera oppure vicino alla porta della camera ove essa giace, alcuni sogliono mettere una granata con la chioma rivolta all’insù perché sa subrile (la strega) venendo all’improvviso per soffocare il neonato, si arresti a contare tutti i fili e poi vada altrove. Altri, invece, per la stessa ragione, buttano per terra sul limitare della porta moltissimi grani di frumento e d’orzo. Non mi risulta che quest’uso esista anche in Gallura.

La partoriente è adagiata sul letto soltanto in qualche raro caso; nelle campagne confinanti con l’Anglona, è messa a giacere su una pelle di pecora o di capra non tosata, coperta da un lenzuolo o da altro panno di tela bianca (telu di la péddi: panno di pelle) (25).

(25). Una pelle del genere, è poi messa normalmente sul letto matrimoniale, sotto le lenzuola per impedire che il bambino, il quale specialmente nell’inverno è tenuto dai genitori nel letto, possa bagnare e quindi macchiare il materasso. La pelle serve anche per rendere più soffice e caldo il letto.

Nessun uomo, eccetto eventualmente il medico e il padre, può assistere al parto. Spesso, anzi, lo stesso padre in molte zone, quando è giunto il momento del parto deve allontanarsi dalla stanza (26) dove questo avviene, nella quale rientra quando lo si avverte che il bambino è venuto alla luce.

(26). Il VIDOSSI (Di un uso natalizio sardo, «Lares», 1934, pag. 8) scrive che il marito fugge di casa dopo avere appeso davanti alla porta un paio di calzoni e che le comari del vicinato tempestano di colpi quei calzoni strillando «sei stato tu mascalzone» e altri simili improperi. Questo uso è ricordato dal WAGNER M. (in Das ländliche Leben Sardiniens im Spiegel der Sprache, Heidelberg, 1921, pag. 159) e dal BOTTIGLIONI G. (Vita Sarda, Milano, 1925, pag. 22). Non mi risulta però che quest’uso esista anche in Gallura.

A questo punto gli usi variano. In certi luoghi il padre deve dare il primo bacio al neonato, in altri deve essere la madre a compiere questo amoroso gesto. Il padre, dopo aver tre volte alitato sul viso del bambino (27) e dopo averlo baciato, lo depone su una soffice pelle di montone (Tempio, Calangianus e Luras), oppure dentro una canistrédda (un cesto intessuto di vimini palme) (Olbia, Loiri, S. Teodoro) imbottita con altri panni bianchi (28) e corre alla porta o alla finestra per dare l’annunzio della nascita ai vicini, sparando due colpi se è nato un maschio o un colpo se è una femmina.

(27). Nelle campagne di Calangianus il padre deve per tre volte sputare sul bambino dicendo biniditti siano li mé peni (benedette le mie pene, nel senso di fatiche). Altrettanto si fa a Telti. Del gesto poco igienico mi è stata data questa spiegazione: si ritiene che, sputando sul figlio, il padre gli comunichi tutte le proprie qualità. A Olbia invece i genitori, appena il bambino è nato, gli fanno subito il segno della croce sulla fronte dicendo: biniditti siani li mé trabaddi e fatichi (siano benedetti i miei lavori e fatiche).

(28). A Olbia prima che sia messo nel canestro il neonato è avvolto in una copertina di lino. Poi il padre solleva per primo il neonato e lo bacia, e nell’eseguire questo movimento gli sputa in bocca, per preservarlo dal malocchio e per infondergli le virtù paterne; quindi lo porta alla madre e gli impartisce la benedizione. In alcuni stazzi del tempiese è sempre il padre che solleva subito il neonato con gesto delicato e lo depone alla destra della puerpera sotto le coltri. Anche i nonni impartiscono la benedizione ai bambini appena nati.

Le detonazioni richiamano l’attenzione dei vicini, soprattutto delle vicine, che accorrono a congratularsi. Molti, però, non si accontentano degli spari.

Possibilmente a cavallo, ma in mancanza anche a piedi, parte dallo stazzo un uomo (per lo più uno dei giovani pastorelli) che, veloce staffetta, corre a dare l’annunzio della nascita in tutta la cussorgia.

A seconda delle condizioni economiche dei genitori e della cerchia delle loro parentele e amicizie, è più o meno largo lu trattamentu, il rudimentale ricevimento che viene fatto con offerta di caffè, rosolio e dolci. In qualche zona i festini durano finché la puerpera resta a letto (in genere una settimana). A Luogosanto si tiene conto del sesso del bambino anche nell’offerta del rosolio, si danno due bicchierini se è un maschio, uno solo se è femmina.

Le parole augurali, dopo quelle quasi sacramentali di circostanza babbu e mamma dicciósi (padre e madre felici) (29), sono molto varie.

(29). L’augurio si estende ai nonni: Minnannu dicciósu o Minnanna dicciósa e anche ai fratelli, alle sorelle dei genitori e agli altri parenti; ma allora sono premesse le parole pa la palti chi ti tocca (per la parte che ti spetta).

Sono frequenti queste frasi: Déu li dia bòna sòlti” (Dio gli dia buona fortuna); A videllu bucatu a luci (lo si possa vedere messo fuori in luce; cioè con successo nella vita) o più semplicemente a bucallu a luci, a videllu lucitu, allucitallu (illuminato); a cent’anni di chistu masciottu, a cent’anni di chista bèdda feminédda (possiamo ritrovarci quando questo maschiotto, o questa bella femminuccia, avrà cent’anni); bòna fultuna a lu minori e a li manni (buona fortuna al piccolo e ai grandi); Déu li pònghia la stélla in fronti (Dio gli metta la stella in fronte); Déu li dia tuttu lu bè chi li vóddu éu (Dio gli dia tutto il bene che gli voglio io, nel senso di «desidero io per lui»); a videllu un bòn duttori (possiamo vederlo un buon dottore) ecc.

Le visite si succedono l’una all’altra; sono lunghe e la puerpera, ornata con la sua migliore biancheria e con gli immancabili lunghi orecchini pendenti d’oro, deve talvolta soffrire per sopportarle, perché lo scopo delle visitatrici, oltre che nell’augurio, consiste nel desiderio di distrarre la puerpera dal suo stato di inerzia forzato con discorsi a carattere lieto, che la tengano di buon umore (30).

(30). Chi è in lutto recente, deve evitare di andare a complimentare la puerpera e il bambino, o quanto meno prima di entrare nella casa deve togliere i segni più appariscenti del lutto. Se chi visita è una donna, deve deporre il grosso fazzoletto nero che le avvolge il capo e mettersene uno di culori (colorato) che può farsi prestare prima di entrare nella casa, riprendendo all’uscita il proprio.

I visitatori si rallegrano e complimentano la madre perché ha procreato una così bella, e così robusta creatura, ma si guardano bene dal dire semplicemente: «com’è bello!» e altre espressioni simili. Darebbero in tal caso grande preoccupazione, anzitutto alla madre e ai parenti per il pericolo che il piccolo possa andare soggetto a lu colpu di l’òccj (al colpo d’occhio). Bisogna, invece, premettere alla frase di complimento l’altra di augurio: Déu lu mantenghia (“Dio lo mantenga”, sottinteso sano) oppure Déu lu binidichia (“Dio lo benedica”) e simili, oppure altre di scongiuro in cui le parole non si riferiscono più al bambino ma allo spirito maligno che tentasse di fargli male.

Le più efficaci sembrano essere queste che ho sentite ripetere molto spesso in simili occasioni: colpu di badda oppure a colpu di pilotta (colpo di palla); fusilata (fucilata), alchibusata (archibugiata) (31) staccata (stoccata); pugnalata (idem); mòlti mala (cattiva morte); mala Pasca (cattiva Pasqua) e simili.

(31). L’archibugio era l’antico fucile a una sola canna ad avancarica, che oggi è ancora usato da alcune tribù arabe e di cui possono vedersi esemplari nelle armerie di tutti i musei, e nelle raccolte fatte anche de privati appassionati. Mi è stato detto che nel secolo scorso vi erano in Tempio artigiani specializzati nel fabbricare queste armi, che erano molto pregiate in tutta l’isola. Cfr. anche al riguardo, MARTELLI V., La Sardegna e i sardi, Cagliari, 1926, pag. 24.

Qualche volta la parola di scongiuro è alterata, perché la forma aspra dell’imprecazione ripugna a chi deve pronunziarla. Ho sentito dire per esempio alchiminata (che non ha significato) invece di alchibusata e così mala padda (cattiva paglia) invece di mala Pasca ecc.

Se, dopo che è stato fatto un complimento senza premessa dell’augurio o dello scongiuro, il bambino dovesse ammalarsi, difficilmente si persuaderebbero i buoni pastori (e anche molti fra i cittadini e, soprattutto, fra le cittadine) che il bambino non abbia effettivamente subito l’influsso del malocchio.

Si ricorre allora ad una donna esperta in materia (32) la quale compie le proprie operazioni con molto sussiego, pronunziando a bassa voce parole di cui non si riesce a comprendere il senso (33), e per lo più trova che al bambino effettivamente l’hani pòstu òccj (gli hanno posto occhio).

(32). A Tempio l’ho sentita chiamare la fèmina di l’òccj (la donna dell’occhio, cioè che è capace di accertare se c’è stato il colpo d’occhio ed ha la potenza di scongiurarlo). A S. Teresa Gallura è detta la fèmina chi sa accuddì l’òccj (la donna che sa raccogliere – ritrovare l’occhio); altrove e specialmente nelle zone contigue all’Anglona la chiamano, invece, la maiaglia oppure sa maiarza (la maliarda).

(33). Le pratiche per l’accertamento del malocchio, si svolgono per lo più in questo modo: dentro un piatto la donna versa acqua, poi con speciali segni e parole, mette uno alla volta tre grani di sale disposti in croce, quindi attingendo l’olio deposto preventivamente in una ciccara (tazza) ne fa cadere da un dito (l’indice destro) tre gocce nel piatto, ad una ad una. Se l’olio si spande l’infermo è stato sicuramente colpito: «ha autu la maìa» (ha subito la malìa) e si dice anche vagamente da quale categoria di persone. Il piatto, si noti, deve poggiare sopra qualche cosa che appartenga all’infermo (cappello, fazzoletto ecc.).

A proposito del malocchio è frequente il detto òccj e maía Déu voldia chi fattu sia, seculi e seculi si dicía (occhio e malìa Dio guardi che fatto sia, secoli e secoli si diceva).

Nelle zone pre-anglonesi vi è qualche variante: talvolta la stessa maliarda butta dentro il bicchiere d’acqua una pedra de s’ogiu (pietra dell’occhio) pronunciando formule misteriose; secondo il numero e la grossezza delle bolle d’aria che si formano, viene determinato il grado, ovvero la potenza del malocchio, per il quale il bimbo potrebbe anche morire: Déu aldede, cun cussu colpu de ogiu, podíad crebare, su pizzinnu. Abbaida, bene méu, si no l’aida leadu ene (“Dio ne liberi, con quel colpo d’occhio poteva morire il bambino. Guarda, bene mio, se non l’aveva preso bene”): cfr. anche MAX LEOPOLD WAGNER, Malocchio e credenze affini in Sardegna, in «Lares» vol. II. 1913, fasc. 3 pp. 129 e segg.

Provvede allora in primo luogo ai debiti scongiuri e poi ordina i medicamenti semplicistici del caso, di cui parlerò più innanzi a proposito delle malattie della infanzia. Se tuttavia, il bambino non guarisce, né con gli scongiuri, né con le medicine, la donna ritenta più volte l’esperimento fino a che dichiara la propria incapacità a vincere la potenza, la quale si dimostra veramente eccezionale.

Ma per lo più il bambino, aiutato soltanto dalla Divina Provvidenza, guarisce; la gioia ritorna nella casa e la maliarda ottiene il suo premio, in danaro o in natura. Sarebbe superfluo dire che le parenti della puerpera, appena il bambino è stato fasciato non mancano di prendere le misure preventive contro il malocchio assicurando, tra le fasce, al neonato una punga (34) che serve a salvaguardarlo dal male. Oltre la punga, per preservare il bambino dal malocchio si mettono cornetti, pezzi di corallo, oppure un osso di riccio.

(34). La punga consiste in qualche pezzetto di legno, che si afferma esser appartenuto alla croce di Cristo, oppure in qualche altra reliquia, confondendosi così il sacro con il profano. Ma per lo più si tratta di una manina di argento o d’osso che fa le ficche, di una pallottola di cristallo, di qualche pezzo di stoffa o di carta scritta, o qualche erba, il tutto rinchiuso in una specie di borsetta ricucita. Da qualcuno ho sentito affermare che queste punghe, per essere particolarmente efficaci, devono essere messe indosso in giorni e ore determinate. Oltre che contro il malocchio servono anche per salvaguardare i bambini lasciati soli nelle culle.

Si mette anche una conchiglia di mollusco detta sórighe di muscu e razzu di muscu e pure una faa marina (altra conchiglia che si trova in mezzo alle alghe marine).

Nelle zone vicine all’Anglona mettono su pinnadellu (grosso corallo rilegato in argento), oppure pietre speciali trovate da magialzos che non hanno di speciale che un colore strano, sono rugose, talvolta venate, bitorzolute. Con un po’ di buona volontà vi si possono vedere raffigurati occhi, naso e bocca. Si chiamano pedras de s’ogiu e sono ritenute miracolose. Il bambino che le porta è pungadu, cioè preservato dal malocchio. Sono spesso rilegate in argento e costituiscono veri talismani porta familiari e vengono tramandate di generazione in generazione. È considerata sciagura perderle. Entro le pieghe della fascia del bambino si mettono sempre tre grosse pietre di sale comune.

Si mettono anche medagliette di santi e scapolari, talvolta dopo il battesimo. E sos breves, specie di scapolari che differiscono da questi perché di natura profana. Sono infatti preparati da maiagli. Il breve è costituito da un sacchetto entro cui è stato cucito qualche cosa di misterioso, vi si trovano paginette di vecchi breviari (breves) con brani del responsorio di S. Antonio da Padova, paginette di antichi libri religiosi stampati in carattere gotico e talvolta anche qualche pezzo di giornale (35).

(35). Posso dare qui alcuni esempi favoritimi dall’ing. Lupacciolu di Olbia dove questi brani di scongiuro si chiamano prutesti.

1) Aiutatemi Salvatore del mondo, salvatemi Vergine santissima, pregate per me e datemi la vostra santa benedizione, Regina degli angioli, specchio dei Beati, assistetemi adesso e nell’ora che l’anima mia sarà per separarsi dal mio corpo ed intercedetemi il perdono delle mie colpe. (Questa orazione è stata trovata nel Santo Sepolcro e chi la porterà addosso non morirà di morte improvvisa, né cadrà in mano ai nemici, non sarà offeso da bestia velenosa, non morirà di peste né di fuoco e dove vi sarà questa orazione non vi accadrà alcun male).

 2) Vergine Maria, Madre di Dio, Palma benedetta ed adorabile sopra tutte le creature, pregate il vostro caro Figlio e per me, sia adesso che nell’ora della mia morte ed ottenetemi sempre il perdono delle mie colpe, da voi lo spero, assistetemi per la via del Cielo, così sia. (Questa orazione è stata trovata avvolta nel panno di un prete dopo che aveva celebrato la santa Messa, cosa sorprendente e miracolosa. Chi la porterà addosso non correrà alcun pericolo [non avrà alcun insulto di male], né sarà accusato; se si tratta di persona offesa da spiriti maligni, mettendogli addosso questa orazione sarà liberato subito; quello che la porterà addosso continuamente sarà sicuro, prima di morire, di vedere la Beatissima Vergine del Soccorso, che Iddio ci faccia la grazia).

3) Gesù, Giuseppe, Maria celeste, appoggio dell’anima mia, soccorso degli afflitti, consolazione dei Beati, Lume delle anime del Purgatorio, Fonte di misericordia, felicità degli Apostoli e Paradiso dei Martiri, assistetemi nell’ora che l’anima mia si separerà dal mio corpo affinché vi possa vedere eternamente in Cielo e così sia. (Quest’orazione è stata trovata nella casa di Dio. Scritta dalla sua propria mano con la figura della Santa Croce. Spiegata [sic] da un bambino orfano, che non aveva compiuto ancora un anno [sic], con i seguenti termini: «Vi ho dato sei giorni per travagliare, il settimo per riposare ed assistere i poveri nei loro bisogni: se osserverete questo precetto i vostri beni e le vostre cose saranno ripiene di ogni grazia, al contrario se non vi prestate fede la maledizione sarà sopra di voi e del vostro gregge e sarete sempre attaccati dalla peste ed in prova della verità questa orazione esige che si digiuni cinque giorni l’anno e si reciti cinque pater ed ave in memoria di quanto ha sofferto Gesù per noi sopra la Croce per la nostra salvazione. Ne darete copia a chi la chiederà e chi dubiterà della presente scritta dalla mia mano sarà da me maledetto nel giorno del Giudizio e chi la pubblicherà sarà da me benedetto e perdonato ancora benché abbia commesso tante colpe per quante vi sono stelle nel firmamento. Felici pertanto quelli che la porteranno e la conserveranno nelle loro case e se una donna non potesse partorire recitandole quest’orazione sopra ne vedrà buon effetto, a chi vi avrà tutta la fede sarà ricco della mia benedizione»).

4) Sia Giuseppe e Maria sempre in mia compagnia, Iesus Cristus Rex Gloriae veni in pace et homo factus est et Verbun caro factum est. I.N.R.L. miserere mei. In manus tuas Domine commendo spiritum meum. Quest’orazione si conserva da Sua Santità. Desiderando le tre Sante Vergini, Sant’Elisabetta, Regina d’Ungheria, Santa Matilde e Santa Brigida, di sapere alcune cose della passione di Gesù Cristo così favellò ad esse: consorelle mie dilette, sappiate che i soldati armati erano 103, ebbi 110 guanciate, e pugni nella bocca. Quando fui preso nell’Orto Getsemani fino ad andare a casa di Anna cascai 7 volte, fui spinto in terra 108 volte, ebbi 150 colpi nella schiena e nelle gambe, 34 percosse, fui tirato per la barba 12 volte ebbi una spinta mortale nella colonna, ebbi 6666 battiture e mandai dalla mia bocca 126 sospiri, fui tirato e trascinato 30 volte e nella testa ebbi 100 punture, colla croce 3 spinte mortali, spine nella testa 11, spine mortali nella fronte 3, e mi fecero nella persona 1000 piaghe. I soldati armati furono 300, quelli che mi portarono legato furono 3, ho sparso 38514 gocce di sangue. Chi dirà 7 Pater ed Ave per lo spazio di 13 anni e 12 giorni, che compisce il numero delle gocce del mio sangue, gli farò tre grazie in favore dell’anima sua: la prima indulgenza plenaria e remissione dei suoi peccati. La seconda non proverà le pene del Purgatorio. La terza se morirà avanti il tempo farò come se fosse finito e scenderò dal cielo per ricevere l’anima sua nelle mie braccia e tutti quelli di sua casa ed i suoi parenti fino al quarto grado se fossero nel Purgatorio li porterò a godere la celeste Gloria della vita eterna.

Tutte poi vezzeggiano il bambino imitando con l’aspirazione dell’aria tra le labbra quasi chiuse il rumore caratteristico che fanno i bambini quando succhiano un poco golosamente. Questo vezzeggiamento è chiamato nelle regioni vicino all’Anglona su puzzi, e a Tempio azziziata, che significa anche incitamento (36).

(36). La parola deve avere un significato di più ampia portata, nel senso generico di incitamento, perché ho sentito, talvolta, fare dal cavaliere lo stesso rumore quando vuol lanciare il cavallo al galoppo.

Al bambino, appena nato, si danno a succhiare i così detti capiggj di zuccaru (capezzoli di zucchero), cioè si mette in un pezzo di garza o di tela fine un mezzo cucchiaino di zucchero e lo si lega in modo che formi una specie di bottoncino, che viene inumidito e messo fra le labbra del bambino, che sentendo il dolce lo succhia e si nutrisce finché la mamma non è in grado di offrirgli il proprio seno. E se il bambino s’attacca e suggj (s’attacca e succhia) al primo tentativo, il fatto è considerato di buon augurio per la madre che avrà latte in abbondanza, e per il figlio che crescerà svelto e laborioso. I primi tentativi di allattamento sono, perciò, seguiti con molta aspettativa ansiosa da parte dei presenti. Vi sono, poi, spesso altre donne, in periodo di allattamento, che volentieri si prestano a avvizzà la criatura (ad abituare la creatura) offrendole il proprio latte.

E in qualche posto, come vedremo, la prima fra queste donne che dà latte al bambino acquista, poi, quasi un diritto di portare il bambino stesso in chiesa per il battesimo.

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