NOTE AGRARIE SUL CIRCONDARIO DI TEMPIO
del Rev. MARTINO DE CANDIA
canonico nella Cattedrale di Tempio
ca. 1879-1880
IN
Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola
COMMISSIONE D’INCHIESTA JACINI
Volume 14, Parte 1, pp. 359-374 ⇒
AVVERTENZA
Il seguente saggio figura tra le «monografie agrarie» allegate alla Relazione Salaris per la Commissione di Inchiesta Jacini sulla situazione agraria e le condizioni della classe agricola in Sardegna.
Rispetto all’originale il testo è stato organizzato e amalgamato diversamente – anche con l’introduzione di appositi paragrafi – per fornire una più ordinata e coerente articolazione e lettura dello stesso[1].
I
TERRENO E CLIMA
Il territorio di Tempio è situato tra 41.8 nord e 40.7 sud di latitudine e 6.7 ovest e 7.10 est di longitudine.
Questa zona è situata al nord-est, essendo confine col circondario di Nuoro ad est, col circondario di Ozieri a sud e col circondario di Sassari ad ovest. Brevemente: la Gallura è il primo angolo di terra sarda che scorgesi da chi viene dagli scali della Toscana.
Il circondario di Tempio si divide in Gallura Montana ed in Gallura Marittima, che è tutta piana: la Montana poi è alpestre, tutta accidentata da monti, altipiani e colline.
Geologia. La Gallura Marittima è tutta formata a strati di terra silico-argillosa; la Montana poi è formata a strati di terra sabbiosa.
Orografia. I monti Nieddu a sud-est che separano il circondario di Nuoro dal circondario di Tempio; il Limbara a sud, che divide il circondario d’Ozieri da quello di Tempio, ed è il monte che maggiormente si eleva nella Gallura; la sua altezza è di 1320 metri sul livello del mare.
Idrografia marittima. Foce del Coghinas (Thermus), Isola Rossa, Punta Vignola ad ovest; Capo Testa nord-ovest; Stretto di S. Bonifacio, Santa Teresa Gallura nord; Isola di Razzoli con faro, Isola Santa Maria, Isola Maddalena, San Stefano, Caprera, Isola Mortorio, Isola delle Bisce, Isola delle Vacche nord-est; Golfo Congiano, Capo Figari, Golfo degli Aranci, Golfo di Terranova, Capo Ceraso, Porto San Paolo est; Porto Brandink e Stagno San Teodoro sud-est.
Idrografia terrestre. Rivo Monti Pedrosu, Padroggianu (pratum olbianum), Riu Galluresu, Riu Montipinu est; Riu Arsaghena, Riu Liscia, Riu Nelson nord; Riu Vignola, Riu Cugurenza, Riu Badesi e Riu Coghinas (Thermus) all’ovest; vi sono altri piccoli torrenti che, per non aver corso che d’inverno, si omettono. In conclusione, il territorio tempiese dall’est al nord-ovest domina l’arcipelago sardo gallurese; dal nord al sud è irrigato dal Liscia; dal sud all’ovest è irrigato dal Thermus; e dal sud all’est dall’Olbio, ossia Prato olbiano (fiume).
Meteorologia. Nella Gallura Marittima le piogge e le nevi invernali iniziano da metà novembre e durano fino a tutto marzo; nella Gallura Montana invece, tanto le piogge che le nevi cominciano da novembre e durano fino ad aprile, e qualche anno, come nel corrente, fino a tutto maggio. Nella Montana vi nevica con grandissima frequenza, e nel Limbara le nevi durano anche per sei mesi. Le tempeste sono rare; il vento predominante è il maestrale.
Viabilità. La strada che mette ad Anglona offre un ottimo mezzo per scambiare le frutta coi cereali, di cui Anglona abbonda tanto, quanto di quelle scarseggia; giovano la strada di Terranova, S. Teresa Gallura e di Maddalena; ma soprattutto è utile la strada di Oschiri in costruzione, la quale per lo sbocco alla ferrovia diventerà un’arteria principale, e la più vitale.
II
POPOLAZIONE E SUA DISTRIBUZIONE
Condizioni fisiche, morali, intellettuali ed economiche dei lavoratori della terra
Il circondario di Tempio ha una popolazione (censimento 1871) di 25.708 abitanti: urbana 19.295, rurale 6413; e la popolazione rurale non è tutta composta di contadini, o d’agricoltori, ma bensì di persone che, nate in campagna ed in campagna cresciute, lì restano per non pagare fitti di casa in paese, per usufruire della legna da ardere, per nascondere la povertà e nudità, per guardare scarso gregge o scarsissimo armento, e Dio non voglia che se ne stiano per delinquere impunemente! Il tenue Avium che coltivano non potrà mai giustificare una dimora di dodici mesi alla campagna.
Il contadino è ben tarchiato, vive frugalmente, ma è ostinato ed incaponito nella massima, in fatto di agricoltura: cosi faceva la buona memoria di mio nonno o di mio padre.
Generalmente il Gallurese lo troverete pieghevole alla ragione, educabile, accorto, coraggioso, sprezzatore dei pericoli, irritabile, puntiglioso, pronto e fervido nell’ira a vendicar le offese e le ingiurie, generoso spesso ai più odiati nemici, favorevole ai forestieri, superbo per la opinione dell’eguaglianza, niente rispettoso all’autorità che vantasi ed affettasi per solo favor della sorte: soggetto ai magistrati imparziali, sebbene severi, obbediente all’autorità di coloro che devono sostenere l’ordine pubblico ed operano per officio e con moderazione; caldo sostenitore della nazionale indipendenza e devotissimo soprattutto al sovrano, e riesce buon milite.
Nessuna emigrazione.
Proprietari di terre. Sono agricoltori proprietari di terre, che seminano per conto proprio.
Il socio maggiore è il principale che somministra terre, seme, vomeri e zappe; il socio minore appresta l’aratro e la sua mano d’opera. I buoi si pagano in comune, prelevandosi due ettolitri dall’aia.
Bovaro. Il bovaro carratore divide col padrone dei buoi. (Vedi bilancio dei buoi).
Il servo vaccaro ha lire 100 annue cogli alimenti e cogli indumenti.
Avventizi. Son soliti venire dal continente lavoratori di terre, cui si danno lire 2 e centesimi 50, perché lavorano di più dei Galluresi. Il diritto di zappa è ordinariamente lire 2; a Tempio però si danno 2,50.
Non si verificano contratti intermedi, siccome non esistono latifondi a grande coltura; ugualmente nessun ordine gerarchico, tranne padre figli, padroni servi. La retribuzione d’ordinario è di lire 2, straordinariamente di lire 2,50.
Il raffronto generale sta tra pastore e proprietario, ché il pastore dal giorno che incomincia a spizzicar latte si vive colla famiglia assorbendone anche la porzione del socio maggiore; ed alla fine si dividono le poche formelle del cacio: il vignolante da quando principia ad avere qualche frutto è con tutta la famiglia in vigna: parimenti fa l’ortolano; in una parola, tutti i mezzadri sono dotati di buoni denti; tant’è vero che in Gallura, alludendo ai fattori, vi è un assioma: “Non si dà lupo senza denti”.
Discreta moralità. Il servizio militare ha influito ottimamente sui coscritti di buona indole, ed ha temperato quei che sfortunatamente avean sortito un’indole perversa; ne ha dirozzato i costumi, ne ha migliorato l’igiene privata, li ha disciplinati, insomma li ha educati.
I rapporti sociali che passano tra proprietari e coltivatori, in bene od in male, dipendono tutti dalla buona o cattiva annata: il contadino divide la mezzadria sull’aia, prelevate le anticipazioni: lo stesso fa l’ortolano; lo stesso il vignolante; lo stesso il pastore, e quel che se n’hanno, se n’hanno avuto, mettendo a divisione il solo che resta: restano in pace.
Discreto anche il rapporto tra lavoratori fissi e avventizi, per la massima parte provenienti dalla Toscana; anzi alla festa si bevono da buoni fratelli il litro, e solo deve deplorarsi che i nostri Galluresi non abbiano imparato dai buoni Toscani il loro indefesso ed intelligente lavoro.
I rapporti che passano tra i lavoratori della terra col resto della popolazione lasciano qualche cosa a desiderare… Io credo dipenda ciò dalla mala fede. Questa povera categoria di lavoratori pare una classe diseredata.
Il contadino laborioso davvero, non ha alcun tempo di riposo. Ottobre, novembre, dicembre e gennaio alla semina; febbraio, marzo, aprile e maggio alla vigna; giugno, luglio ed agosto all’orto ed alla messe; settembre e porzione di ottobre alle vendemmie.
E qui devo notare che il nostro contadino sa fare tutte queste lavorazioni: sarebbe bene che si specializzassero tutti questi mestieri, perché ora avviene che si hanno cattivi agricoltori, peggiori vignolanti e pessimi ortolani.
Accaparramento dei lavoratori. Quando un lavoratore sia riconosciuto laborioso e fedele, lo si accaparra; gli si danno lungo l’anno circa due ettolitri di grano, fissando il prezzo del mercuriale di maggio, il che dà buon risultato per le parti contraenti.
[La famiglia]. Gli individui che compongono la famiglia agricola e pastorale sono marito, moglie e figli, fino alla leva. Il matrimonio per lo più si contrae dopo terminato il servizio militare di prima categoria.
I pastori si alimentano di latticini, con qualche fetta di pane scuro, ed il contadino di pan nero, di poco, formaggio e di legumi conditi con poco lardo.
Non avendo stalle, non vi sono riunioni jemali [sic]..
Vestire. I contadini vestono di albaggio, che è un pannilano sardo (fustagno).
La famiglia reggesi colla patria potestà o tutoriale fino all’emancipazione.
Le occupazioni muliebri sono: la rocca ed il fuso per filare qualche poco di lino per farne delle camicie e lenzuola, e per filare qualche po’ di lana per l’intramaggio e per lo stame, coi quali tessuti dalla massaia di casa si fanno pantaloni e cappotti.
Non è a temere che il soverchio lavoro alteri la salute delle donne e dei fanciulli, non è a temere…
Grande è la diversità che passa tra il lavoro dell’uomo, che dalla mattina alla sera è sull’aratro o colla marra, ed i lavori addetti al fuso; i fanciulli poi se ne stanno ruzzando per le contrade, molestando chi sta facendo i fatti suoi.
Malattie. La salute è soddisfacente, si vive in media fino ai sessantacinque. anni in forze, e con mente sana; si contrae matrimonio passata la coscrizione; prima di rado.
In baliatico non si danno che gli esposti, o quelli che ebbero la sventura d’esser nati da madre ammalata: si dà compenso di lire quindici; muoiono per un terzo i bimbi nati nell’anno.
La pleurite è la malattia dominante nella Gallura Montana; la febbre palustre poi nella Marittima.
La pellagra non si conosce in Gallura.
Ciascun comune ha medico-chirurgo condotto, siccome ogni comune ha la sua drogheria.
Tempio città ha tre farmacie. Non vi è ospedale.
Vi è una Società di mutuo soccorso: l’unico vantaggio è medico e medicine gratis al solo socio, esclusone la famiglia.
In tutto il circondario vi sono scuole pubbliche. Le scuole serali e domenicali sono frequentate nell’inverno e nella primavera. Le scuole sono a carico dei comuni.
Calangianus ebbe la sorte di dare i natali a Giacomo Mossa, che a pro dell’istruzione legava oltre lire centomila.
Vi è la sola Cassa di risparmio postale.
III
INDUSTRIE AGRARIE
Fisionomia dell’agricoltura gallurese. Non possono indicarsi zone coltivate, perché si coltivano alla spicciolata, e la coltivazione industriale tempiese si restringe a piccola coltivazione di grano e d’orzo nei terreni asciutti ed alla coltura d’ortaglie nei terreni umidi.
Vi difettano disgraziatamente i due fattori principali dell’agricoltura: lavoro e mezzi; d’intelligenza non si difetterebbe, ma rimane morta, e non si mette in pratica.
Nelle sole vigne di Gallura si scorgesi una non ingrata fisionomia, e ciò perché vi si impiegano tutti e tre i fattori dell’agricoltura, le coltivano bene, a tempo; e quel che più monta, ne presenziano e dirigono i lavori i proprietari.
Sistemi di coltivazione e rotazione. Piccolissima ed insignificante è la coltura del circondario di Tempio, ed in conseguenza poco estensiva, e nulla intensiva. L’importanza del prato naturale consiste tutta nella qualità del prato; se è umido il suolo, allora il pascolo si mantiene fino a tutto giugno; se poi è secco, si secca in aprile, o verso la metà di maggio.
Di prati artificiali in Gallura non ne esiste neppure una centiara. Non si conoscono avvicendamenti.
Sarebbe ottimo provvedimento iniziare nelle foreste la piantagione della quercia ghiandifera e suberifera e dei castagni, limitando la pastorizia nomade, la quale è di grandissimo danno alla ripopolazione delle devastate foreste.
Di mano d’opera si difetta certamente in Gallura.
Una pariglia di buoi in ottobre, novembre, dicembre e gennaio può arare di prima e seconda mano due ettari di terreno per grano, ed altrettanto per orzo.
In Gallura non v’è normale coltivazione di fondo; ma si coltiva malamente ed alla spezzata qualche tratto di campicello appena appena sfiorandone la cotica con il primitivo aratro virgiliano. Se la capanna è prossima al campicello mal coltivato, il contadino potrà raccoglierne qualche spiga; se poi la capanna è distante, il bestiame errante di certo lo falcerà in erba.
Irrigazione. L’irrigazione vera e propria non si conosce; si innaffiano soltanto gli orti detti irrigui, raccogliendo delle acque in una vasca e distribuendole poi col mezzo di solcature.
Nella Gallura Montana è raro l’orto che non abbia la sua fonte, cui una sottostante vasca mal connessa serve di recipiente, ove nelle ventiquattro ore conservasi l’acqua che dessa fonte riversa.
Nessuna livellazione: non si affittano acque; non esiste neppure un pozzo artesiano: neppur nella Gallura Marittima, ove questi pozzi sarebbero di tanta utilità!!
In Gallura non esistono fiumi che abbiano un corso perenne: vi sono delle piscine da cui con una pompa aspirante-premente potrebbero aversi acque quanto se ne vorrebbero: nessuno fin qui però vi ha pensato.
Bonifiche. In tutto il circondario si è fatta la conquista di due ettari circa di, terreno per essere state prosciugate due paludi: la prima ad Arsaghena d’un ettaro: la seconda a Liscia di settantacinque are, che rendono dell’uno e venticinque, e perfino trenta; ed oltre a questo beneficio agrario, i pastori che hanno le loro abitazioni in contiguità alle paludi bonificate non furono più visitati dalle febbri di malaria.
Fognatura. Non si è sperimentata.
Concimi. I letamai pubblici sono i depositi del concime in Gallura. Non stabbi, non sovesci, non colmate. Delle ossa e delle corna se ne esporta qualche piccola quantità.
Macchine agrarie. Il solo aratro virgiliano è lo strumento qui più comunemente usato. Ripeto che in Gallura la vanga non solamente non ha la punta d’oro, ma non l’ha neppure di ferro. Nelle sole vigne, e negli orti, quando però i mal’aggiogati buoi abbiano fatto la loro parte, entra la zappa: anzi si principia a bandire anche dalle vigne la zappa, perché alle orecchie del dentale dell’aratro s’inchiodano due pezzi di tavola lunga e larga per formare il ciglione, di cui parlai nella zappatura delle vigne, e questa è la prima macchina introdotta, ed inventata in Gallura.
[ARATURA – SEMINA – MIETITURA – GRANO E ORZO]
Il grano che si coltiva in Gallura è di due qualità: duro e tenero; in piccolissima quantità si coltiva il grano a Racomi, ed in Gallura viene detto “il grano del miracolo”; però nello spazio di soli due anni degenera, se al terzo anno si semina nella stessa zona, producendo una spiga comune. Il grano tenero si affida al terreno sterile, ed il duro si semina nei bassi fondi e nella terra d’alluvione.
L’orzo che si conosce in Gallura è l’orzo comune: si semina come il grano con due arature, e se ne semina pure a solco od a zappetta, ma in piccolissima quantità, come in piccolissima quantità si semina il grano a zappetta; appunto perché questo sistema procura più fastidi dovendosi seminare a mano, e non di volata, ed esigendo che il terreno venga zappato ben due volte.
Sebbene il fieno abbia dato ottimi risultati, pure si coltiva in poca quantità.
[La lavorazione dei campi: aratura e semina]. Si inizia ai primi d’ottobre a preparare i terreni destinati alla coltura sia di grano, sia d’orzo, la qual preparazione consiste nell’arare la terra, ciò che in Gallura si dice “prima mano”, quindi si passa alla “seconda mano” tornando da capo, e spargendo a mano il seme in una estensione che si può arare in una mattinata, e rivoltando la terra preparata con aratro antidiluviano; poi si dà un piccolo riposo ai male aggiogati buoi, e intanto l’agricoltore va col marroncello a sistemare il terreno in quei punti ove non è stato bene sminuzzato dall’aratro, affinché il seme non giaccia insepolto e non sia cibo degli uccelli.
Eseguito questo lavoro, il contadino fa il suo pasto frugale, che consiste in una quantità di patate bollite, una libbra di pane nero, un boccone di formaggio o di ricotta ed acqua pura; e quelle povere bestie aggiogate sul solco ruminano quel poco di frasche o di paglie che han mangiato lungo la notte.
Dopo il pasto vien seminato quel tratto di terra che potrà essere arato durante la sera, e la semina si fa tenendo a tracolla il sacchetto con dentro il seme, ed introducendo in esso la destra viene afferrato un pugno di seme che, mollando l’indice ed il pollice, vien gettato per terra alla volata, percorrendo longitudinalmente la striscia di terra che si deve seminare.
L’uso di aggiogare i buoi è del tutto empirico. Sulla cervice e le corna della sventurata coppia si lega strettamente il giogo con strisce di cuoio lunghe circa tre metri: alle corna sono pure legate due corde che si accoppiano con un’orecchia di ciascuna delle bestie; queste corde si avvincigliano alla stiva, che il contadino governa colla sinistra, nella destra tiene il pungolo per eccitare gli animali al lavoro, e se quello che sta a destra scarta per poco, una strappata di corda all’orecchio, lo fa subito tornare in solco.
Mietitura ed aia. Quando i seminati cominciano a biondeggiare, i contadini li falciano, con giornalieri, cui si danno lire 2.50 alla giornata, pane, formaggio, senza vino; il falciato si riduce in manipoli, e con cinquanta se ne fa un covone; ultimata la messe si trasportano i covoni all’aia, ove quattro o cinque cavalli girano intorno, collegati al mulinello dello stipite in mezzo all’aia, e fin tanto che non siano le spighe bene sgranate non si liberano da quella ridda infernale. Della paglia e del grano, coi tridenti se ne fa subito un cumulo, e cogli stessi tridenti se ne fa la ventilazione.
Ricavo lordo e netto dalla semina del grano.
Mancando in Gallura le Agenzie agricole, ed i poderi posti in condizioni normali, è impossibile stabilire un bilancio positivo. In massima si può asseverare che quando non si raccoglie il sette per uno del seminato, l’industria è più presto passiva.
Il solo grano messo a solco può somministrare elementi, onde formarsi un embrione di bilancio attivo e passivo, perché si può conoscere l’estensione, le giornate di lavoro, il fitto presunto del terreno preso a coltivare, dritto di triturazione, e varie altre spese.
Si supponga che un individuo voglia porre in affitto un’estensione d’un ettaro di terreno per seminare a grano cosi detto a solco, o zappetta; spenderà:
Per fitto terra, buoi e bovaro, per prima, seconda e terza mano L. 32
Un ettolitro di semenza L. 28
Prima e seconda sarchiatura 16
Mietitura e trasporto (1) L. 22
Trebbiatura e ventilazione L. 15
Totale passivo L. 113
Il raccolto è stato di ettolitri sei, del valore tra paglia e grano L. 121
Ed alla fin dei conti ha lucrato L. 8
Poco lucro davvero! E qui giova ripetere quella verità dianzi espostavi. Più volte è capitato non aver raccolto il tanto della semenza affidata alla terra.
Se invece del sei il colono avesse lucrato il sette per uno, avrebbe avuto L. 20 di guadagno. E quando capita, all’epoca del lavoro, la morte di qualche bue, che, tranne forza maggiore, durante il lavoro, queste perdite sono a carico dell’industriante? Allora invanum laboraverunt!
(1) Tre mietitori possono falciare un ettolitro di seminato, che costerebbe lire nove. Le altre lire tredici si spenderebbero negli alimenti ai tre falciatori, nel trasporto dei covoni all’aia e nel trasporto del grano in casa.
VIGNE E VINO
Coltura delle vigne. Il vignolante, che pur coltiva un ettaro di terra a grano ed altrettanto ad orzo, appena ultima il suo seminerio, dà mano alla coltura della vigna colla prima aratura, tirando cinque solchi in ciascuno degli interfilari, due a destra, due a sinistra, ed uno in mezzo; quindi scalza la terra, che nella zappatura aveva accumulato intorno alle ceppaie, per preservarle dal freddo e dal caldo; allo stesso tempo il potatore col suo ben affilato pennato segue lo scalzatore.
A seconda della robustezza della ceppaia si lasciano le gemme: se il ceppo è debole si pota a sperone, cioè “a due soli occhi”; se poi la ceppaia è robusta si lasciano “sette occhi” se la vite è di uva bianca, e cinque se la vite è di uva nera, ciò che si dice “potare ad archetto”, oppure “a stocco”, conservando in pari tempo a lato dell’archetto, o più sotto lo sperone per l’anno avvenire, e che sarà curvato ad archetto.
Questo è l’uso di potare nella Gallura Montana. Altrove si parlerà del sistema in uso nella Gallura Marittima.
Palatura e legatura. Arata, scalzata, potata e levati via dalla vigna i sarmenti, si passa alla palatura. I pali sono di ginepro, d’arbuto [sic] corbezzolo, d’erica scoparia, di sabina o di filirea, ed anche d’acacia: se la vite è ad archetto, il palatore pianta due pali, il primo rasente la ceppaia, e l’altro in direzione alla punta dell’archetto, legando con giunco ambidue i pali che superiormente incrocicchia; se poi la vite è a sprone, vi pianta un sol palo rasente la ceppaia.
Il palatore è accompagnato da un garzoncello, che si chiama legatore, e pratica tre legature alla vite ad archetto, una legatura, cioè in vecchio, raccomandando, ed assicurando la ceppaia al palo, [poi] altra legatura pratica tra la prima e seconda gemma dell’archetto; e la terza in punta all’archetto fissandolo al palo corrispondente.
Nella potatura a sperone esegue due legature, una cioè tra le due gemme, unendo con ambe le legature ceppo e vite all’unico palo.
Potatura in Gallura Marittima. Nella Gallura Marittima si pota sempre a sperone; a misura della robustezza del ceppo, si lasciano due, tre e perfino quattro speroni con due gemme ciascuno, e così si risparmia la palatura, il giunco e la legatura, che è pure un bel risparmio.
E perché in Gallura Montana non si fa questo risparmio? Perché il clima montano esige così: pullulerebbero soli getti legnosi e non fruttiferi.
Ultimata la palatura rientra l’aratore nella vigna per ararla a campinu, la quale aratura si dà per sminuzzar la terra calcata e ricalcata dallo scalzatore, palatore, legatore, svitignatore e potatore, che avevo dimenticato.
Arati ben bene gli interfilari si lascia riposare finché non siano cresciuti i succhioni.
Appena appaiono questi succhioni entra lo scacchiatore, che sopprime questi capi messiticci.
Dopo scacchiata la vigna, vi rientra l’aratore per dare la terza mano d’aratro, e vi pratica cinque solchi, due a destra (di ciascun interfilare), due a sinistra ed uno in mezzo per partire la terra, onde venga meglio allo zappatore nel dividere ed accumulare la terra, intorno alle ceppaie perché siano preservate dal freddo, dall’umido e dal caldo.
Lo zappatore eseguendo intorno alla ceppaia a destra ed a sinistra un ciglione, alza la terra, come s’è detto, tra un filare e l’altro.
Imbrogliare le viti. Affinché le viti non siano divelte dal vento, ed affinché non crescano a lor piacimento passando da un filare all’altro, s’imbrogliano unendole insieme e legandole all’estremità superiore dei pali: ciò eseguito si passa alla cimatura che si pratica verso la metà d’agosto per acconciare le viti che impediscono il passaggio del sole, affinché l’uva non sia aduggiata dalla tropp’ombra.
Fabbricazione del vino. La fabbricazione del vino in Gallura si fa tale quale la faceva papà Noè. Maturate le uve (20 ottobre) si raccolgono alla rinfusa le uve buone e cattive, mature ed acerbe, fracide e sane, e si accumulano in una vasca di granito.
La pigiatura si fa coi piedi e la vinaccia vien posta in un torchio, dopo di che il mosto si pone in vasi tarlati a fermentare.
Passata l’ebollizione si chiudono i recipienti e non si toccano più fino a S Martino. Non fanno cosi però alcuni proprietari tempiesi. Siccome in essi vi è una nobile e lodevole gara nella coltura delle loro vigne, così pure si scorgesi una gara nella vinificazione. Dopo che l’uva è giunta al grado di maturazione si dà mano alla vendemmia, collocando l’uva in recipienti puliti, scartandone le uve guaste, le immature e fracide.
Riempiti i recipienti, sono trasportati dalle contadinelle al pigiatore, che è un arnese di tavole in forma di una cassa, con fondo tutto foracchiato, in cui si pigian le uve: si colloca questa cassa sul palmento, che riceve il mosto che ne cola. Nel fondo del recipiente vi è un piccolo sportello, da cui si precipitano le vinacce nello stesso palmento, onde comunicare il colore ed il tannino al mosto. Pigiate ben bene le uve, si lasciano mosto e vinacce in contatto per cinque o sei giorni, avendo cura di rimestarle fino alla fermentazione.
Questa incominciata, si svina, e si imbotta in buoni e puliti vasi di legno di castagno, elce, o quercia, i quali vasi si lasciano aperti fino a scemare la fermentazione, avendo cura di aggiungere alla sera altro mosto: scemata la fermentazione, si chiudono leggermente le botti, le quali si chiudono [invece] ermeticamente quando l’ebollizione è già passata.
Sappa. Alcuni al mosto debole vi aggiungono della sappa (che è mosto concentrato al terzo), in piccola quantità regolandosi dalla gagliardia del mosto. Quelli però che hanno buone cantine, e svinano a tempo debito, conservano buono il loro vino per tutto l’anno, ed è suscettibile di conservarsi, anzi di migliorare col tempo.
Vino rosso, vino bianco. In Gallura prevale il rosso al bianco in valore: il moscato di Tempio ha buon nome. I soli proprietari di vigne fabbricano vino: anzi quando capita doversi alienare una vigna vi s’intende tacitamente che vi sia unita la vendita della stica, intendendosi con questa denominazione tutto il bottame.
Si distilla il vino bianco, e le vinacce per solo uso interno del circondario. Le bacche del corbezzolo si lasciano marcire in terra: tutta la Gallura è popolata da quell’arbutus, che potrebbe essere un cespite di non indifferente vantaggio.
Miglioramenti. D’anno in anno si progredisce nella buona coltura delle vigne, preferendo sempre l’uva niella [sic.] (rassomiglia al barolo) alla bianca, sebbene vi siano intere vigne di moscato.
[Ricavo dall’uva]. Più agevole si presenta un bilancio attivo e passivo per le vigne. Per un ettaro di terreno vignato che dà in media un prodotto d’ettolitri 36 di vino da vendersi a L. 15 l’ettolitro, si ha un attivo di L. 540, mentre in complesso le spese ascendono a circa L. 456, ritraendosene per conseguenza un guadagno di L. 84.
PIANTE ARBOREE
Acclarato che nella Gallura Montana prevalgono le piante legnose, sia da frutto, sia da costruzione; nella Marittima non saprei se prevalgano le legnose alle erbacee, prosperandovi mirabilmente ambedue le specie.
Il territorio gallurese coltivato si riduce quindi ad un terzo, e due terzi l’incolto. Le cause per cui vi è così sconfortante maggioranza di terreno incolto sono: la magrezza del suolo, la deficienza dei mezzi, la meschina popolazione e la santa poltroneria, [quest’ultima] la causa la più saliente.
Le specie delle piante predominanti in Gallura sono: elci, sugheri, olivastri, filiree (illilatre), pioppi bianchi e neri, frassino, quercia, ginepro, sabine, bianchi spini, lentischi, arbuti, ecc.
Queste piante sono governate malamente; i pastori invece di sfrondare le piante per alimentare nell’inverno il loro bestiame, si servono della scure per abbreviare le fatiche, e si vedono nudi tronchi con pochissimi rami: oppure prima si scorzano per levarne l’alburno, che s’imbarca per la Toscana; l’anno appresso si abbattono grandi e piccoli, carbonizzando i lecci e cenerizzando i sugheri per la potassa, cosicchè il governo delle piante che si fa in Sardegna, si descrive in sole due parole: accetta-fuoco. Lo sanno le Ferriere di Barcellona, di Bastia, di Savona e di Toscana tutta. Castagni da frutto pochissimi a Tempio e Calangianus: il tanto da non perdersene il seme.
I peri, i meli renderebbero assai in Gallura, se piantati nelle gole, di cui non si difetta, essendo si ben accidentata nei versanti aprichi esposti all’est e al sud.
I perastri innestati con intelligenza, cioè a superficie di terra, darebbero il sestuplo della spesa incontrata, e ciò nello spazio di soli tre anni.
Buoni frutti si potrebbe avere dallo spino bianco innestandolo a nespoli ed azarole, le prugnole ad albicocchi, i lentischi a pistacchi.
I peschi verrebbero ottimamente, come ottimamente verrebbero i giardini nella Gallura Marittima e nel comune di Bortigiada.
Il castagno, il noce, il nocciuolo, il sorbo: in una parola qualunque pianta arborea verrebbe bene, sia nella Montana, sia nella Gallura Marittima.
Oliveti. Stringe il cuore dover toccare questa piaga. Gli olivastri formerebbero un’immensa ricchezza, se si avessero le cure e la buona volontà dei Nizzardi e dei Liguri. A chi non stringe il cuore nel vedere sconfinate estensioni popolate d’olivastri trascurati, disprezzati e mal tenuti?
Tutta la Gallura Marittima, a partire dal circondario di Nuoro fino al circondario di Sassari, è gremita d’olivastri. A chi non sanguina il cuore al vedere migliaia e migliaia di piante d’olivastri vegeti, sani e robusti vegetare in una gola al riparo di tutti i venti dominanti, regalateci dalla natura, e da noi sprezzati ed abbandonati!
Non esistono nel circondario di Tempio che soli tre oliveti, e ciò nel comune di Calangianus, dei quali uno per lo meno è secolare: tutt’e tre d’olive da indolcir, le quali si vendono a 22 e perfino a 24 lire l’ettolitro. Qualcuno comincia a farvi qualche innesto.
Sughereti. Quelle poche piante che sono scampate alla strage [degli incendi], si tengono perché non esigono nè cura nè coltura: ogni sett’anni il proprietario non fa altro che praticare una incisione verticale e spogliare la pianta che si è già provvista di altro strato suberifero; e queste spoglie sono vendute a ventidue e perfino venticinque lire ogni 42 chilogrammi.
Gelsi. Circa trecento se ne sono piantati a Tempio, ed hanno fatto buona prova; i bigatti riescono egregiamente; ma se n’è smessa la coltura per il poco smercio del seme.
Sommaccheti, carrubbi, ecc. Non esistono sommaccheti. Così pure non esistono carrubbi né pistacchi. Nell’isola di Tavolara havvi un carrubbo maraviglioso.
Si è già detto del grano e dell’orzo; aggiungiamo che le fave, massimamente nella Gallura Marittima, come pure i piselli, le lenticchie, ceci e cicerchie vengono bene; ma si coltivano in piccolissima quantità.
Le fave ed i grani seminati a solco si sarchiano due volte. Nella Gallura Marittima rendono bene tutte le civaie.
Fagioli. Nella Gallura Montana poi si coltivano varie specie di fagioli. Bianchi, rossi, sanguelatte, gialli, gentili e varie altre specie. Ai primi di maggio, seppure ci ha lasciati la neve, principiasi a preparare l’orto con un’aratura. Si seminano in piena terra; ci sono fagioli a secco e irrigati.
I cavoli cappucci vengono bene nella Montana, siccome ottimamente vengono i cavoli fori nella Marittima, i meloni, le angurie, i cetrioli e tutte le cucurbitacee.
Le patate pure si coltivano con riputazione, e se ne ritrae il bastante per il circondario, e se si estraggono nell’agosto preservansi dalla malattia: in piccola quantità si coltiva il topinambur.
Lino. Essendo il lino una pianticella, che troppo risentesi del freddo e delle brine, si coltiva nella Gallura Marittima. Si pianta in ottobre, ed agli ultimi di maggio, quando principia a biondeggiare, si svelle di terra, si mette per sedici o venti giorni a macerare, indi ben soleggiato si passa alla stigliatura, il che si eseguisce con una maciulla á mano, indi si pettina.
Trifoglio. Il trifoglio, principalmente nella Gallura Marittima, verrebbe bene, ma non si coltiva.
Crittogama. La crittogama principia a scomparire; si teme però fortemente dalla vicina Corsica l’importazione della fillossera. Le patate contraggono la malattia quando non sono ben concimate, quando non sono ben sarchiate, e quando si protrae l’estrazione oltre l’agosto.
Olio. Sono molt’anni che trovandosi a Terranova un console inglese, n’estraeva dalle bacche del lentisco; ma trasferito a Cagliari, si abbandonò l’idea. Le pastorelle raccolgono queste bacche che prima bollite, e poi introdotte in sacchetto di canapetto sottopongono al torchio, e ne estraggono piccola quantità d’olio.
[BESTIAME]
Non avendo fieno e mancando le stalle, il bestiame ha pochissima importanza.
Bestiame errante. Il bestiame errante è stato e sarà sempre la totale rovina dell’agricoltura! Negli atti del Governo vi è una legge repressiva per il pascolo abusivo, siccome esiste una legge forestale.
Razza bovina. La predominante è la razza sarda, perché più resistente all’intemperie dell’inverno e dell’estate; somministra però poco latte e poca carne, essendo scarsamente e malamente foraggiata. I buoi sardi sono adattatissimi per condurre carri su luoghi elevati. Ha dell’incredibile la loro resistenza e la loro rustica sobrietà: con due, od al più tre chilogrammi di paglia, e con un litro d’orzo affrontano qualunque viaggio in qualunque stagione: con un carico di sette ad otto quintali, si mettono in viaggio.
Si esportano dei cuoi. Non si usa dar sale al bestiame.
Incrociamento. Qualche proprietario ha voluto incrociare le razze col dare alle vacche toro forestiero: ha migliorato la razza, e con ciò ha migliorato latte e carne; ma ogni capo (a dire dei proprietari) esige il triplo delle cure, ed il triplo dei foraggi.
Gli armenti delle vacche si tengono, come ho detto dei buoi, alla bella stella a racimolare quei pochi e meschini fili di erba che madre terra ha loro ammannito!
Razza equina. Lo stesso allevamento si tiene per la razza equina: due sono le razze equine, che s’hanno per tutta la Sardegna. Una robusta che dà buoni cavalli ben tarchiati, forti e resistenti alla trazione; ed una gentile, che ha le gambe del tutto cervine, stinco, nervi, cuoio senza carne; e questa dà cavalli vivaci e celeri: parecchi anni indietro si ebbero due stalloni a Terranova e fecero ottimo servizio.
Pecore. Di pecore ve ne sono nella Gallura Marittima, ma la lana ne è ruvida e prodotta in poca quantità.
Capre. Esse crescono bene nella Gallura Montana. Le capre però sono la peste dell’agricoltura. Capre e caprari dovrebbero stare tutti a domicilio coatto sul Limbara, sul Monte Pino, Montalbo, Monterosso e per tutti i monti della Gallura.
Malattie. Gli animali ovini e pecorini vanno soggetti alla tigna, derivante da cattivo governo. Infatti taluni diligenti pastori liberano i loro greggi da questo malanno coi salassi nell’aprile e colla parziale tosatura nel maggio. L’abbeveramento delle capre e delle pecore in putride pozzanghere d’acqua o nelle piscine ove è messo a macerare il lino, è causa pertanto di malattia in detti animali.
Comizio agrario. Il Comizio agrario non si è aperto che nel giorno in cui si dovette eleggere il presidente.
Caseificio. Qualche discreta forma di cacio si fa nelle due o tre case pastorizie di due o tre proprietari tempiesi.
Bilancio del lucro che si ritrae dai buoi:
Passivo.
Minor spesa per una giunta di buoi. L. 200
Pascolo in ragione di lire 10 al mese » 120
Ferratura lungo l’anno. 20
Attrezzi, come: carro, aratro, corde, ecc.. 30
Totale passivo L. 370
Attivo.
Centottanta giornate di lavoro interpolate all’anno in ragione di lire 5…. L. 900
Qual prodotto diviso col bovaro riducesi a 450
Sottratte tutte le spese incontrate, rimangono di lucro…. » » 80
Più i buoi da macello, quando saranno vecchi, se non muoiano a causa di un’encefalite o di un’epatite.
Vacche. D’ordinario nel circondario di Tempio le vacche si tengono erranti, e tutto il lucro consiste nei vitelli, che non si macellano, ma si conservano fino a tre anni, età della domatura, e quindi non si possono avere elementi per formare uno specchietto delle entrate e delle spese.
Razza equina. Poco si trae dalle cavalle nel circondario di Tempio; tutto il lucro consiste nella vendita di qualche puledruccio, e dalla trebbiatura, perché i cereali, in Gallura, si trebbiano colle cavalle rudi.
Poco ancora si ricava dalle pecore, dalle capre e dai suini; nelle pecore restringesi il lucro alla vendita di qualche agnello, poca e ruvida lana e scarso latte; nelle capre alla vendita di qualche capretto e pochissimo latte; nei suini alla vendita di qualche maialetto.
Soccida in Gallura. Un signorotto dà un dato numero di capi ad un pastore con mezza carta, che ha la durata di tre anni, ed a carta intera che vige per anni sei. Terminata la durata della carta si preleva prima il capitale consegnatogli, e quindi si divide il bestiame aumentato; ogni anno, alla fine di giugno, si dividono le poche formelle di cacio, che è una bagattella; quando il pastore ammette al mungitoio dodici vacche vitellate, allora è tenuto per consuetudine a dare al signorotto ventiquattro pere di vacche del complessivo peso di circa quindici chilogrammi, ciò indipendentemente dal formaggio avuto già per metà, essendo questo un presente dovuto al principale.
IV
PROPRIETÀ FONDIARIA
Predomina la piccola proprietà
Proprietà grande è quella che eccede i cento ettari. Media da cinquanta ettari in giù. Minima dalli venticinque in giù. La maggior parte dei grandi poderi è incolta non tanto per la sterilità dei prodotti, quanto per la mancanza dei mezzi.
Essendo ben divisa la proprietà e componendosi la popolazione gallurese per lo più di contadini e pastori, sono in maggior parte i contadini proprietari di terreni, i quali terreni rimangono incolti per la massima difficoltà di procacciarsi mezzi.
Esiste a Cagliari un Credito fondiario, ma per la gran lontananza poco influisce sull’agricoltura di Tempio.
Esiste la servitù di passaggio da un predio all’altro, il che è fonte di risse di crimini.
Le decime sono abolite; vi sono predî gravitanti di censi al 6 %, ma sono di lunga data (sotto la bolla Piana).
I censi moderni toccano il 50%.
I Comuni, che per legge furono obbligati a vendere i terreni comunali, non possiedono che alcune strisce e viottoli nei dintorni dell’abitato che servono per pascolo.
Beni delle Opere pie. I beni delle Opere pie e di altri Corpi morali sono incamerati, e da ciò si è ottenuto un qualche miglioramento.
Imposte. Le imposte sono gravosissime, specialmente la fondiaria comunale e la provinciale.
Catasto. Il catasto esiste di nome, e tante sono le irregolarità ed a tal punto arriva la noncuranza, che resta impossibile desumere dall’ufficio catastale anche la più piccola ed insignificante notizia.
Il Municipio sa appena che il catasto è un nome. Non è credibile, ma è pur vero che il catasto di Gallura si fece dai campanili. Il signor impiegato planimetrico se ne saliva col suo indicante sul campanile, di là pigliava a vista una striscia, e segnava sul taccuino i nomi dei proprietari che l’indicante gli imbeccava. Disceso dal campanile copiava questi nomi dal catasto vecchio, e quanti starelli cagliaritani trovava al catasto vecchio, altrettanti ettari corrispondenti al nome del proprietario segnava nel catasto nuovo, che cotanto costò! È naturale pertanto che ad ogni piè sospinto si trovino errori d’intestazione, errori di classificazione, errori di misurazione!
Relazioni fra proprietari e coltivatori. La popolazione di Gallura, parte è urbana, parte è rurale.
Entità di capitali. Per formare un stazzo raccile occorrono venticinque vacche col toro insieme del valore di lire 1500, circa, una capanna coi chiusi ed una estensione d’ettari cento per la Gallura Montana, mentre per la Gallura Marittima bastano ettari 50. Questa si à l’entità delle scorte vive e morte, il che è scarsissimo, essendo quasi tutti piccoli possidenti.
Quando si pigliano giornalieri, si dà loro lire 2, che esigono e spendono in giornata.
Non esistono stabilimenti industriali, se si eccettuano poche lavorazioni di sughero grezzo, dando ai giornalieri lire 2.50.
Non vi sono altre fonti di guadagno. Nelle giornate piovose si potrebbe promuovere la filatura di cordami, impiegando quel giunco che marcisce nelle giuncaie.
In tutto il circondario vi sono otto mulini a vapore: uno ad Aggius, due a Calangianus, due a Terranova Pausania, uno a Santa Teresa Gallura, uno a Tempio ed uno ad Arsaghena Cussorgia, Salto di Tempio; vi sono quarant’uno mulini idraulici.
[La seguente parte è stata scorporata dal testo precedente – era vicino al testo riguardante il bestiame – è inserita più congruamente QUI]
Importazione ed esportazione. Si consuma sul luogo il poco grano, il poco orzo, le poche civaie e le poche ortaglie che si raccolgono; anzi questi prodotti non bastano per l’uso interno, essendo costretti provvedersi di grano dal circondario di Sassari, nonché di farine da Livorno e da Genova, e perfino di patate, cipolle ed agli da Napoli.
Si esportano pelli, cuoi, pochi capi vaccini e pochi puledri. Una discreta esportazione si fa di sughero, alburno e carboni; pochissimo è il vino che esportasi nel continente, e ciò per l’enorme dazio di consumo.
Si ricorre, per il sughero, a negozianti di Francia e di Spagna; per il carbone, alle ferriere di Barcellona ed a negozianti toscani e liguri; per cuoio, pelli, ossa e corna, vi sono persone in Tempio che negoziano in siffatti generi. fatto sentire i suoi
Istruzione tecnica. Fin qui l’istruzione poco o nulla ha benefici frutti a pro della derelitta agricoltura tempiese.
Comizio agrario. Il Comizio agrario non si è aperto che il giorno il cui si è nominato il signor Presidente.
Non esistono Società agrarie, non si fanno concorsi agrari. Nessun incoraggiamento governativo, tanto meno incoraggiamenti provinciali.
Prima mostra agraria tempiese. Checché abbiano sparso per i quattro venti i giornali dell’Isola intorno alla prima mostra agraria gallurese, eppure non ha soddisfatto, neppure per la decima parte, chi ha veduto mostre ed esposizioni agrarie. Una sola giunta di bovetti di mezza razza (provenienti da vacche sarde e toro forestiero) era appena degna di figurare in una mostra circondariale. Furono due giorni, 24 e 25 agosto, designati a quell’aborto di fiera. Il resto poi della fiera non merita accennarlo.
Credito agrario. I Monti frumentari non sono più! Sono morti! Sepolti!! Diviserunt sibi frumenta eorum. Quindi massima è la difficoltà di trovare danaro per l’incremento dell’agricoltura, sia per le poche lusinghiere speranze che l’agricoltura gallurese fa concepire, sia per la mancanza dei fondi. Gl’interessi dei mutui privati sono talmente favolosi che fa inorridire a parlarne.
Banche agricole. Le Banche ed il Credito agricolo, sebbene dall’agricoltura abbiano tolto il loro nome, fanno a questo poco onore. Ma chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Miglioramenti da introdurre. Il primo miglioramento da introdurre sarebbe d’impartire agli alunni di 3º e 4º elementare almeno i primi elementi di agricoltura nel giovedì e nelle domeniche e possibilmente con qualche escursione in campagna.
2° Impianto di Istituti di Credito agrario, sotto la sorveglianza governativa; quali Istituti dovrebbero anticipare almeno un ettolitro di grano da semina; più lire 20 per i ferri, con buoni avalli in modo che i fondi degli Istituti non dovessero servire esclusivamente per gli amministratori, ma bensì per i soli agricoltori, col pagarne, alla raccolta, un tenue interesse, prescrivendovi che quando l’agricoltore va ad inscriversi per il prestito faccia indubbiamente constare aver egli preparato un ettaro di terreno da seminare.
3° Promuovere ed incoraggiare la coltivazione delle piante olivastri, perastri e bianco-spini. Questo ramo di agricoltura darebbe un’istantanea rimunerazione (tre anni e non più occorrono affinché le giovani piante fruttifichino) ed avvantaggerebbe del centuplo il valore del terreno.
4° Rimboschire le foreste con piante di leccio, di quercia, di frassino, o di agrifoglio, le quali porterebbero anche un miglioramento nel clima.
5° Piantagione di eucalyptus, specialmente nella Gallura Marittima.
6 Provvedere due stalloni e quattro tori da distribuirsi giudiziosamente.
Avvertenza. La cagione primaria della stazionarietà dell’agricoltura si è, a mio credere, la mala fede. Si dà una vigna a mezzadria. Dal primo giorno che inizia a maturare acino d’uva, il fattore con tutta la famiglia assedia la vigna, e non ne leva l’assedio finché non ha vendemmiato; lo stesso dicasi dell’ortolano e del pastore.
QUESTE LE ALTRE MONOGRAFIE AGRARIE ALLEGATE ALLA RELAZIONE DEL COMMISSARIO FRANCESCO SALARIS sulla XII Circoscrizione PER LA QUINTA INCHIESTA AGRARIA SULLE CONDIZIONI DELLA CLASSE AGRICOLA
Sull’organismo agrario del circondario di Lanusei (Cagliari), del sig. ALESSANDRO RIVERA-RICCI.
Sulle condizioni della classe agricola nel circondario di Lanusei (Cagliari), del dott, GIUSEPPE BERTARIONE.
Cenni sullo stato della viticoltura e vinicoltura nei circondari di Cagliari e di Lanusei, del prof. M. COPPOLA.
Di alcuni vini del campidano di Cagliari Analisi chimiche e note del dott. EMILIO PUTZOLU.
Cenni sulla concimazione delle terre in Sardegna, del dott. EMILIO PUTZOLU.
Contributo per una monografia agraria sul circondario di Nuoro (Sassari, del dott. LUIGI INTINA.
Monografia agraria del circondario d’Alghero (Sassari), del dott. GUIDO BECCIANI.
Note agrarie sul circondario di Tempio, del Rev. MARTINO DE CANDIA.
[1] Rispetto alle altre, questa relazione De Candia non fu premiata da un compenso dalla Commissione giudicatrice del concorso. Noi oggi, nella pochezza delle fonti sulla Gallura per quel periodo, la giudichiamo certamente preziosa, ma in quel momento così non fu vista. Non è escluso che oltre alla minore lunghezza della relazione, abbia pesato proprio la struttura che nell’originale appare in più parti disordinata.
«La commissione giudicatrice per le monografie presentate al concorso bandito dalla Giunta il 24 dicembre 1878, composta per la 12 circoscrizione dal professore Filippo Vivanet, dell’Istituto tecnico di Cagliari, rappresentante regionale, e dai professori Nicola Meloni e Antonio Crispo, rispettivamente rappresentanti della provincia di Cagliari e di Sassari, negò il compenso all’elaborato relativo a Tempio, mentre le altre quattro ebbero ciascuna 250 lire».
Cfr. Maria Luisa Di Felice, L’inchiesta agraria in Sardegna di Francesco Salaris, in Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972), Milano, Franco Angeli, 2021, p. 148.
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