Presentazione

di Guido Rombi

Mari Per il FolkLore Della Gallura
Mari Per il FolkLore Della Gallura

Il libro di Giovanni Mari Ninne nanne, filastrocche, giuochi, indovinelli, proverbi ecc. Per il Folk-lore della Gallura (Bergamo, Istituto italiano d’Arti grafiche, 1900), è certamente il libro più influente su tutti i successivi studi concernenti le tradizioni popolari in Gallura; e non solo su quello di Maria Azara, di quarantatré anni successivo, ma anche su quelli diciamo contemporanei, editati nell’ultimo ventennio del Novecento e nel primo di questo secolo.

Si tratta infatti di un libro prezioso sia dal punto di vista folclorico sia linguistico, a saldare insieme due discipline – le tradizioni popolari e la linguistica-fonetica – sostanzialmente nuove che cominciavano a vivere tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento una intensa stagioni di studi, in Sardegna dominata dalla figura del linguista/antropologo tedesco Max Leopold Wagner.

Ci voleva un cosiddetto “continentale” (come si dice in Gallura), un professore milanese di passaggio a Tempio, perché destinato in quel 1900 – primo anno anno del lungo e tumultuoso XX secolo – a insegnare nel Ginnasio del capoluogo gallurese, a imprimere un marchio alla riscoperta delle tradizioni locali, promuovendo e curando – prima che andassero perdute – questa prima e preziosissima raccolta di narrazioni popolari in lingua attinenti vari versanti del vivere quotidiano dei galluresi.

E non solo: come già accennato, il libro di Giovanni Mari è di rilevanza assoluta anche sul piano linguistico perché è il primo che si propone e riesce con gran merito e bravura a dire come il gallurese andava scritto e parlato: a trascrivere cioè le raccolte appuntando accenti aperti e chiusi, e soprattutto le famose e “divisive” (sul fronte degli studiosi e cultori) particolarità linguistiche (ben riassunte in alcuni saggi da Riccardo Mura).

Un professore, Mari, che era anche un poeta, ed era addentro a tutto il movimento di rinnovamento letterario e linguistico, incluso quello nuovo dello studio e riscoperta delle tradizioni popolari, in corso nel Paese: insomma aveva senza dubbio dalla sua tutti i talenti e le competenze e le sensibilità per dedicarsi al cimento.

Un libro molto importante quindi per il folclore della Gallura, eppure come spesso succede rimasto prima nell’ombra e poi, come ora vengo a dire, “dietro le quinte”.

Nel 1988 fu infatti riproposto meritoriamente all’attenzione dalla ristampa anastatica della editrice Gallizzi di Sassari, con l’aggiunta del saggio «Gavino Ledda e l’oralità» (presentazione di Paolo Savona): una  pubblicazione che, forse anche per la sua peculiarità sic et simpliciter anastatica e le sue caratteristiche “formali”, non è riuscita ad avere però la meritata diffusione, invece raggiungendo e ispirando e servendo – questo possiamo dirlo con certezza – le pubblicazioni di alcuni cultori-studiosi delle tradizioni popolari, per quanto da essi non premiato del riconoscimento meritato e con citazioni bibliografiche non pari ai documenti usati. Non è un caso che tutti i libri successivamente pubblicati su alcune specifiche tradizioni popolari della Gallura siano tutti successivi a questa ristampa.

Ma forse occorre dirlo con ancora più chiarezza: che oggi si tratti della Pricunta (la richiesta della mano della sposa), di Abbisabisa (indovinelli), di Abò (giochi), di Detti e proverbi, di Ninne nanne, è a questo libro di Mari che bisogna sempre e comunque far primo riferimento. Dopo centoventitrè anni è bene darlo questo merito, iscriverlo a chiare lettere.

Il libro, appena pubblicato, fu molto apprezzato da uno dei suoi maestri e insigni glottologi del tempo, Pier Enea Guarnerio, (1854-1919: anche lui milanese, e anche lui insegnante di lettere in Sardegna, a Sassari, e per più tempo dell’allievo, ben cinque anni), a cui la Sardegna e la Gallura devono i primi qualificati studi di linguistica, prima di Gino Bottiglioni e di Max Leopold Wagner.

Facendo una sorta di bibliografia ragionata di studi di linguistica sarda per il periodo 1899-1901, così Guarnerio scrisse nella rivista tedesca Kritischer Jahresbericht über die Fortschritte der romanischen Philologie, VI, 1905, p. 186:

«Anche in quest’anno una graziosa raccoltina di poesie popolari prende posto accanto a quella più sopra ricordata). È opera del prof. Giovanni Mari; egli, educato alle severe investigazioni della critica, come ne fanno fede i pregevoli suoi studi sui trattati medievali di metrica, trovandosi per ragioni di ufficio a Tempio, pensò opportunamente di raccogliere quanto più potesse di poesia popolare di quella regione. E la messe fu abbastanza copiosa e avendo portato le sue felici attitudini all’ordine, alla chiarezza, alla precisione, nella distribuzione dei materiali, ne trasse una raccolta, che può offrirsi a modello per la nitida ripartizione. Anche nella trascrizione del dialetto, pur tenendosi ad una via di mezzo, mi pare sia riuscito a non discostarsi troppo dalla realtà effettiva della pronuncia. Però a rendere più proficua questa raccolta, anche agli ignari del dialetto, sarebbe stato bene di accompagnare il testo con una traduzione letterale, o aggiungervi delle note grammaticali e lessicali».

E tuttavia dell’unico cenno critico (la mancata traduzione e la necessità di note linguistiche), Mari era pienamente cosciente. La mancata traduzione era una scelta consapevole, per quanto criticabile («non credetti conveniente ingrossare il volume con traduzioni totali o parziali»); mentre sul secondo punto sperava – lo dice nella sua «Avvertenza» – che sperava «di poter presto far seguire alla presente raccoltina qualche opportuna appendice»; necessari, infatti, gli sembravano «certi Appunti lessicali e di costrutto» cui già da qualche tempo lavorava. (Non risulta che poi abbia però dato seguito all’integrazione con una apposita pubblicazione. Alla convenienza della traduzione ha invece provveduto il sottoscritto curatore).

Interessanti poi i nomi dei “contributori” locali che Mari fa: non si è al momento potuto risalire ad essi, ma chissà che nel tempo – grazie alla messa in rete del libro – ciò possa avvenire:

«Ebbi i giochi e parecchie cantilene infantili dalla viva voce dei miei scolari e precisamente dai giovani Andrea Serra, Giovanni Russino, Vittorio Balugani di Tempio, Stefano Giagheddu di Calangianus, Luca Careddu di Nuchis, Pirodda Antonio M. di Aggius, Cossu Francesco di Bortigiadas, Antonio Pes di Santa Teresa. Indovinelli, cantilene, massime, proverbi, ecc. che, o trascrissi io stesso tra quelli che ancora oggi mi capita di sentir ripetere, o, più spesso, mi feci recitare dagli avventori dell’oste Paolo Franco e dal mio amico don Salvatore Pes di Nuchis. […]

Speciale gratitudine devo poi all’amico Luca Achenza che si lasciò in ogni modo e in ogni tempo importunare per la revisione delle bozze».

Giovanni Mari

gMa chi era Giovanni Mari?

Diversamente da come si usa oggi, nei libri di quegli anni non comparivano nella quarta di copertina essenziali notizie biografiche e di eventuali altri suoi scritti. Cosicché di lui niente mai si dice (nemmeno nelle note) pur nei libri recenti che lo richiamano (e non sempre in modo proporzionale ai contenuti tratti dal suo lavoro), né nei pochi supporti biobibliografici di cui disponiamo, per esempio l’Enciclopedia della Sardegna a cura di Francesco Floris [e Manlio Brigaglia], ed. Nuova Sardegna, 2007.
Leggendo la sua «Avvertenza» certo si capisce che era un insegnante “continentale” giunto in Gallura ad insegnare («Ebbi i giochi e parecchie cantilene infantili dalla viva voce dei miei scolari»), e poi si arguisce che fosse in confidenza con intellettuali di fama (Guarnerio, Rajna, Renier, Cian).
Ovviamente troppo poco.

Da dove proveniva questo insegnante? E dove esattamente insegnava? (a Tempio lo si poteva supporre ma mancava la conferma); e poi quanti anni aveva quando venne a Tempio, cosa insegnava, che studi e formazione aveva? Quanto restò a Tempio? Domande essenziali, il minimo da sapere.
Pertanto, come già per diversi altri personaggi che pur hanno lasciato il segno nella vita sociale, politica, culturale della Gallura e non solo, questo incredibile assoluto silenzio letterario ha motivato in me la necessità di impegnare le mie competenze di ricercatore riuscendo a soddisfare finalmente queste curiosità a me stesso e così a quelli, speriamo tanti, che avranno modo di leggere questo classico del folclore della Gallura.

Ed ecco di seguito il frutto di vari giorni di pazienti ricerche.
Giovanni Mari nacque a Prospiano – Gorla Minore (Milano) il 4 aprile 1873. Giunse a Tempio, ventiseienne, come professore di Lettere al Ginnasio come reggente di classi inferiori, ma comandato alla classi superiori. La scuola aveva direttore già da alcuni anni il piemontese Pietro Menzio, anche lui valente letterato e autore di pregevoli opere.

(Pietro Menzio, Chieri 17 dicembre 1865 – Torino 28 ottobre 1929, fu direttore e docente di lettere presso il Regio Ginnasio di Tempio dal 1896 al 1901; e a Tempio nacquero i due figli Clemente e Francesco, il primo pluridecorato molitare e generale di brigata, il secondo illustre pittore di fama nazionale, entrambi nati a Tempio: il primo l’8 settembre 1896, il secondo il 3 aprile 1899).

E a Tempio vi perveniva, Mari, già autore di saggi di poesia e di latino come La sestina d’Arnaldo, le terzine di Dante (Milano, Hoepli, 1899), Ritmo latino e terminologia ritmica medievale: appunti per servire alla storia della poetica nostra (Torino, E. Loescher, 1899).

Insegnò a Tempio solo un anno, un solo anno sufficiente per dare un contibuto di rilevanza notevolissima agli studi sul folclore della Gallura.

Nello stesso primo anno del secolo XIX oltre a Per il Folk-lore della Gallura avrebbe dato alle stampe anche Wagner. Primi prove, versi (Milano, Sandron). Molto molto altro avrebbe poi pubblicato (fra cui un Vocabolario Hoepli della Lingua italiana, nel 1910-1913), fino alla morte avvenuta, il 30 gennaio 1934, a quasi 61 anni, a Milano.

Sappiamo che non dimenticò Tempio e la Gallura. Quel solo anno in Gallura fu così intenso e perciò sufficiente da arrichire per sempre l’Autore di ricordi grati e nostalgici, anche ispirandolo culturalmente per nuove raccolte. Così nel saggio pubblicato l’anno appresso, 1901, dal titolo Riassunto e dizionarietto di ritmica italiana con saggi dell’uso dantesco e petrarchesco, a pagina 1 dirà di aver tratto lo spunto da quell’anno tempiese: «un desiderio antico, risvegliatosi più insistente lo scorso anno ne’ dolci, per quanto forzati, ozi della Gallura, di veder chiaro come da lontano in un disegno prospettico, ognuna al suo posto, quelle nozioni ritmiche di cui per tanto tempo m’ero empita la testa»; e poi, a pagina 37: «Così in qualche parte della nostra Italia (in Gallura, per esempio) s’incontra ancora usato semiletterariamente il così detto endecasillabo incatenato non ignoto ai poeti colti».

E non solo: nel libro editato dalla «Famiglia Meneghina» in suo onore Giovanni Mari, poeta e scrittore milanese, scritto da Luigi Mario Capelli, con presentazione di Carlo Ravasio e nota bibliografica di M. Di Nardo (e dallo stesso Capelli presentato in una conferenza commemorativa che si tenne a Milano il 2 aprile 1935, cit. sul «Corriere della Sera» 3 aprile 1935), vi è anche  – inedita sorpresa! – una poesia “ambientata” nella Gallura, segno che il grato ricordo di quel “paese di pietra”, del suo territorio e delle sue genti lo avevano accompagnato per sempre. La alleghiamo qui a conclusione di questa prima presentazione di Giovanni Mari, cui Tempio e la Gallura devono un imperituro debito di riconoscenza per il suo prezioso e innovatore contributo al Folclore della Gallura.

La Gallura restò nel cuore del poeta
La Gallura restò nel cuore del poeta
La Gallura restò nel cuore del poeta

AVVERTENZA

Questa che segue è la prima edizione digitale del testo, innovato della traduzione.

Come per gli altri “classici” che si propongono su Gallura tour, è stato poi effettuato un intenso lavoro di editing sull’originale proteso a dargli la migliore chiarezza grafica (si è deciso di togliere dai testi in gallurese la punteggiatura, che appare discontinua e non necessaria alla comprensione, e a volte a disporre le strofe con più evidenza, separandole, per permettere di meglio apprezzarle.

Soprattutto è stato necessario un lungo e intenso e non semplice lavoro di revisione linguistica per trascrivere adeguatamente i segni fonetici del testo originale, altresi per uniformare tutto il testo ai criteri prescelti, che sono essenzialmente quelli proposti da Leonardo Gana nel suo Vocabolario del dialetto e del folklore gallurese (Della Torre, 1970), ritenuti da chi scrive i più idonei. (Si leggano qui altre considerazioni).

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento innanzitutto agli amici esperti linguisti Mauro Maxia e Riccardo Mura per l’indispensabile contributo volto alla traduzione di lemmi difficili e non presenti nemmeno nei dizionari editi sul gallurese, e per i confronti sulla trascrizione e uniformazione/normalizzazione linguistica di cui si è detto sopra: la scelta alla fine è stata del sottoscritto curatore, come gli eventuali errori una mia responsabilità (disponibile a sanarli se adeguatamente e motivatamente segnalati: un lavoro digitale sul web offre il vantaggio di essere work in progress, sempre migliorabile).

Un ringraziamento alla Biblioteca di Cremona che ha selezionato, preparato e inviato del libro Giovanni Mari, poeta e scrittore milanese cit., l’estratto della sua biografia e la poesia sulla Gallura sopra riportata.

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