Pastorizia e pastori
di Vittorio Angius – a cura di Guido Rombi
Cascine e allevamento vicino al paese. Abbiamo fatto cenno ad un certo numero di cascine che si sono formate nelle vicinanze della città. Comunemente sono grandi estensioni di terreno vallivo e montano, chiuse da siepi, e divise in quattro parti, per il pascolo delle quattro stagioni. Hanno un fabbricato civile, cioè il rustico che è occupato dal custode e dalla famiglia, poi diverse tettoie e stalle per ricoverarvi il bestiame in caso di brutto tempo.
Il bestiame che si alleva parrà numeroso altrove ma non in Sardegna, dove si sogliono avere anche diverse centinaia di grossi capi: qui non si tengono che da 50 a 60 vacche, circa 100 pecore e 30 capre. Si aggiunge qualche maiale e molto pollame.
Fra queste cascine circa nove hanno un orto, alcune una vigna e tutte alcuni tratti di terreno per seminarlo. Non mancano gli alberi fruttiferi di più specie, e in alcuni siti propizi vi fruttificano anche i mandorli e i gelsi.
Essendo dentro le cascine alcuni luoghi dove spontaneamente crescono rigogliose le erbe da pascolo, finalmente alcuni hanno cominciato a falciare il fieno per servirsene nel tempo delle nevicate, e hanno sperimentato da ciò un grande beneficio.
Questo beneficio dovrebbe subito diffondersi; e invece la maggior parte dei proprietari delle cascine, e altri che hanno poderi di prateria naturale, non sono ancora stati indotti a fare altrettanto. Essi lasciano che le erbe si secchino e siano calpestate dal bestiame, e per capire l’errore bisogna che soffrano quando il loro bestiame, se cade molta neve, mancando di ogni alimento, muore. (Si pensa che la vista del vantaggio delle nuove maniere di coltivazione persuada i più restii alla imitazione; ma qui abbiamo la prova del contrario, e si vede che molti uomini sono più insensati delle bestie. Ci vuole una immensa forza a educare questa gente e migliorarla).
Pastorizia fuori dal paese. Qui proporremo ciò che sembra interessante su quest’arte esercitata dai tempiesi nel territorio circostante.
Pascoli ed erbe. I pascoli per gli animali delle diverse specie sono abbondanti. Sono sparsi per tutti i ghiandiferi dei cui frutti si ingrassano grossi armenti del paese ed esteri ed anche le capre.
Anche il lentisco e il mirto che sono frequentissimi alimentano le capre e le vacche. A questi si aggiungano i germi dei rovi e degli altri cespugli, e gli olivastri, i quali in certe regioni sono la specie dominante.
Non tutte le olive degli olivastri vanno perdute, perché alcuni ne fanno raccolta per estrarne l’olio, seppure con metodi ancora primitivi.
Gli olivastri cominciano a trovarsi nella pendice dei monti, nelle valli a ponente verso il Termo, a levante verso Terranova, quindi dopo la catena del Pulchiana nella regione di Luogosanto.
Molte sono poi le varietà dei perastri, dei cui frutti si ciba molto bestiame.
Per le pecore sono molte le erbe, e la più comune di tutte è il trifoglio. Nel Limbara si trova pure il serpillo (armidda), pascolo delizioso alle pecore ed alle vacche.
Il bestiame che più comunemente si alleva sono vacche, capre, pecore e porci. Alcuni hanno armenti di cavalle e di asine.
Non si sa a quanto ammonti il numero dei capi che hanno tutti i proprietari e i pastori insieme nei territori intorno al paese (perché su questo non mi si seppe rispondere e non c’è probabilmente a Tempio chi lo sappia per propria scienza). Può però considerarsi come vicino al vero che le vacche non siano meno di 5000 capi, le capre 10,000, le pecore 8000, i porci 10.000, le cavalle 1200, le asine 2000.
Si è tentata, non da molto, il miglioramento della razza delle vacche, ed uno a grandi spese importò vacche svizzere, ma per vendetta furono pugnalate quasi tutte, e il povero proprietario ne trovò alla mattina i corpi morti.
Latte e mungitura. Le vacche indigene, se trovano sufficiente nutrimento, rendono nelle due mungiture giornaliere circa 32 litri di latte.
Le capre e le pecore si cominciano a mungere verso la fine di dicembre e si finisce a luglio; le vacche dalla fine di febbraio fino a tutto agosto.
Dall’ultimo latte delle vacche, che è molto grasso, si forma il cosiddetto formaggio d’autunno, che è molto gradito ai consumatori.
Il butirro si fa da maggio a luglio, e si vende o si regala. In quei mesi pertanto si sfiora il latte, ma rare volte si toglie il secondo fiore, perciò i formaggi galluresi, come gli altri sardi, sono sostanziosi e gustosi.
Il fiore si lascia inacidire, quindi si bolle per circa un’ora con la semola. La farina fritta soddisfa solo stomachi forti, l’olio si conserva e si vende per fare in caso di bisogno le veci del butirro a 40 e anche 50 centesimi la libbra.
Il formaggio viene fatto mescolando i latti di vacca e di pecora col latte delle capre, perché, se soli, o mescolati tra loro, il formaggio si corrompe e disfa. Invece il leggero latte di capra li tempera.
L’arte della manipolazione in tanti secoli non è proceduta d’un passo. Ciò vuol dire che nessuno ha saputo sperimentare, giovarsi delle esperienze altrui, e approfittare dei metodi più razionali.