VI.3 – Veglia funebre

di Maria Azara

Ha quindi inizio la veglia, la quale dura fino al momento in cui la salma è trasportata fuori di casa. Potrebbe parlarsi di veglia anche di giorno perché le imposte delle finestre, sono così accostate che lasciano soltanto trapelare un poco d’aria e di luce, che si confonde con quella dei ceri e della piccola lampada ad olio, tenendo la stanza sempre nella quasi identica condizione di illuminazione.

Intorno alla bara stanno i membri della famiglia, un po’ più discosto, gli altri parenti. Alla testata della bara sta il capo della famiglia e, se questo è morto, la vedova oppure il figlio maggiore.

Ad ogni amico o gruppo di amici, che entra nella casa per recare le condoglianze, viene dalle donne ripreso il piagnisteo. Gli uomini tengono un contegno fiero. Vestiti di nero, mettono il cappottino d’orbace sulle spalle, senza infilarlo, e, se devono uscire, si incappucciano anche quando dardeggia il sole.

Raramente essi singhiozzano, ma del loro muto dolore sono segno visibile le contrazioni del viso e le lacrime, che scendono per le loro gote bruciate dal sole quando, specialmente, sentono, nei pianti delle donne, esaltare le virtù dell’estinto.

Nelle donne, invece, il dolore assume espressioni di violenza e di drammaticità impressionanti. Esse non si limitano a piangere; si percuotono il petto oppure, con entrambe le mani, anche le gambe; gettando ogni tanto indietro il pesante fazzoletto nero, che tengono normalmente abbassato fino su gli occhi, si scarmigliano e si strappano i capelli; si danno pugni in testa come se il dolore le avesse condotte alla follia. Esse temono che, non facendo così, possa dirsi che non hanno sufficientemente sentito il dolore per la perdita del loro caro estinto.

Quest’ansia di dimostrare agli altri quanto sia sentito il loro dolore le fa arrivare ad una specie di teatralità del dolore, stesso, che è però, in verità, profondamente sentito. Dopo aver così, dato sfogo all’impeto dell’ambascia si placano, risollevano il fazzolettone sulla testa, e recitano preghiere dondolando la testa e sospirando ogni tanto e quasi mugulando, per riprendere il piagnisteo, con nuove grida e nuove battiture, appena un nuovo venuto si presenta nella stanza.

Talvolta, però, dopo le prime ore di piagnistei, le donne sono allontanate in un’altra stanza dove possono continuare a piangere in compagnia delle loro amiche.

Quasi sempre, dopo la mezzanotte nella stanza funebre non restano che gli uomini, parenti, amici e dipendenti. È questa l’ora in cui, anche per reagire contro il freddo che procurano la notte e le emozioni subite durante il giorno, i familiari offrono bevande alcooliche a quelli che vegliano con loro e nella stanza si formano gruppetti di persone, che parlottano fra loro anche di cose assolutamente estranee all’estinto.

La vita comincia a riprendere gli animi con le sue inesorabili esigenze.

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