TEMPIO OTTIENE IL TITOLO DI CITTÀ

di GUIDO ROMBI

TRATTO DA

Per l’erezione di Tempio in città, plausi poetici

Cagliari, Tipografia Monteverde, 1837

(già pubblicato su L’Almanacco Gallurese, 15/2007/2008 pag. 124)

Pregone titolo Tempio città

Carlo Alberto proclama Tempio città

La mattina del 12 ottobre 1836 un dispaccio vice-regio informava il consiglio comunale che la proposta di erezione in città di Tempio, Nuoro e Ozieri, inoltrata al re Carlo Alberto dal viceré (che aveva sede a Cagliari) era stata accolta. Tempio insomma era stata elevata al rango di città. Il 16 il consiglio comunale provvide con l’affissione di manifesti a rendere di pubblico dominio la notizia. Le strade si riempirono di gente e la lettura dei manifesti fu salutata da spari e grida di gioia all’indirizzo del re: “Viva il Re Carlo Alberto – Viva la Real Famiglia”, risuonò nelle strade.

Si decise però che i festeggiamenti in pompa magna si sarebbero celebrati per tre giorni a partire dal 4 novembre. In tale data ricorreva infatti la festa di san Carlo.

Giovanni Marghinotti - Re Carlo Alberto, 1842 (dipinto nel Palazzo comunale di Tempio Pausania, foto di Franco Pampiro)

La prima giornata di festeggiamenti 4 novembre fu annunciata all’alba dallo sparo del cannone. Quindi, verso le 10, si tenne una solenne messa nella cattedrale, Sopra l’altare maggiore era innalzato lo stendardo reale che recava al centro l’effigie del Re. (L’effigie era a sua volta sormontata da un Genio il quale, stringendo con una mano la Tromba della Fama, additava coll’altra il motto “Exultate cives, et glorificate Regem”: sotto l’effigie era invece un ritratto della nuova città, vista dalla prospettiva di chi la osservi dal punto in cui erano le scuole degli Scolopi guardando verso mezzogiorno).

La messa, con tanto di allocuzione di elogio al sovrano, fu celebrata dal vescovo Diego Capece, e fu accompagnata dalle musiche di Rossini eseguite da «dilettanti tutti di Tempio» (l’orchestra era stata allestita di fronte all’altare maggiore). Terminata la messa, la guarnigione dei Cacciatori Franchi schierata in piazza San Pietro, «eseguiva militarmente i fuochi di parata», intervallati da spari di cannone e mortaretti. Quindi il capitolo, le autorità militari, civili ed economiche, e nobili e notabili, accompagnarono il vescovo nel suo palazzo dove si tenne un rinfresco.

Strada Limbara-Tempio
Diego Capece, vescovo di Tempio

Fuori, nella piazza adiacente l’episcopio, fu allestito un albero della cuccagna alto 63 palmi (circa 6 metri) in castagno «levigato con arte», per la gioia dei bambini che vi giocarono fino a sera per accaparrarsi i premi.

La giornata ebbe termine con i fuochi artificiali (accompagnati da «una musica adatta») offerti dal vescovo sempre nella stessa piazza dell’episcopio. Ad assistervi il vescovo ospitò in episcopio le «Signore Dame», cui fu poi offerto, al termine, un rinfresco «nella gran sala illuminata» dell’episcopio.

Tempio, Piazza Gallura

Il giorno seguente, 5 novembre, fu annunciato come il precedente dai colpi del cannone.

E come il giorno prima vi fu di mattina una nuova solenne funzione religiosa officiata ancora dal vescovo alla presenza di tutto il capitolo; seguì quindi un nuovo incontro tra il vescovo e il capitolo e i nobili e notabili della città.

La giornata non offrì altri intrattenimenti fino ad un nuovo spettacolo, di «una intiera ora», di fuochi artificiali al suono di musica, offerti questa volta dal Capitolo, ma con effetti scenici nuovi: racconta il cronista che i fuochi si svolsero «tra gli applausi e gli assordanti “Viva il Re”, che più altamente risuonavano allorché sul finire di quelli compariva superbamente illuminato in cifra, e sormontato dalla Corona Reale il motto “Viva Carlo Alberto”».

Dopo i fuochi le principali vie del borgo furono percorse da un Carro trionfale», riccamente addobbato e illuminato da molte fiaccole, condotto da giovani che cantavano al suono di bella musica un inno di laudi al Re nostro Signore»; faceva corona al carro un drappello di altri giovani a cavallo che ripetevano il seguente ritornello: «”Accetta, o Carlo, il nostro cuore, pegno d’amore, di fedeltà”».

Ed infine il 6 novembre, ultimo giorno di festeggiamenti.

Che s’aprì annunciato dai soliti spari di cannone per continuare con una nuova solenne funzione religiosa officiata dal vescovo seguita ancora una volta da un rinfresco per nobili e notabili.

Una variante rispetto ai giorni precedenti fu un «libero» banchetto di «non frugali vivande» «su una lunga e larga tavola» delimitata ai lati da due altissimi alberi di pioppo», banchetto offerto dai membri della curia verso le due pomeridiane. Furono innumerevoli i «Viva il re – Viva la Real Famiglia».

Ai ragazzi si offrì ancora la possibilità di cimentarsi con l’albero della cuccagna, questa volta appositamente lubrificato per rendere più difficile la raccolta dei premi posti sulla cima. Fu una cosa inutile perché furono molti i premi raccolti.

Seguirono nel tardo pomeriggio gare di cavalli da corsa (o meglio una «doppia corsa di cavalli e polledri»): ai vincitori furono elargiti, a spese del comune, duecento palmi di stoffe in seta. Per terminare, ci fu in serata una rappresentazione teatrale di L’Adriano in Siria del Metastasio da parte di una florida Compagnia di Dilettanti».

Miliziani in servizio [ritaglio], 1826-1839

A completare il quadro, la cronaca racconta di tre notti di festa durante le quali le case di Tempio furono spontaneamente illuminate all’esterno, la qual cosa permise a Dilettanti di musica di cimentarsi in ben concertate ed armoniose serenate, ma anche ad altri assai più improvvisati ed estemporanei cantori di abbandonarsi al canto. Molte furono anche le improvvisazioni poetiche estemporanee da parte degli analfabeti in onore del re. In alcune sale, poi, vi furono balli offerti dai «Signori».

Dal punto di vista estetico, un encomio speciale meritava l’illuminazione a cera del Palazzo vescovile e gli addobbi effettuati: l’ingresso del palazzo ornato di velluto rosso, da cui si poteva ammirare nello sfondo (uno sfondo preparato con «seta di varj colori») il ritratto di Carlo Alberto al lume di molte candele.

Riccamente illuminato era infine anche il tribunale al cui interno una tela circondata da altri lumi recava la seguente scritta: «”Figlia a gran terra io nacqui: tu mi vedesti, e cittadina or sono. Sei pur grande o mio Re! Che posso offrirti pel beneficio illustre? Ubbidienza, rispetto, amore, e fede, e quanto io posso avere. A te consacro, memoria eterna e cara di cotanta mercè serbando in petto ubbidienza, amor, fede, rispetto”».

Terminati i festeggiamenti cittadini, l’omaggio della città al re ebbe il suo definitivo compimento col ricevimento, il 5 marzo 1837, da parte di Carlo Alberto, dei deputati tempiesi don Angelo Francesco Giua (cavaliere dell’Ordine militare dei SS. Maurizio e Lazzaro, e presidente della Reale Udienza), don Sebastiano Sardo (cavaliere dell’ordine militare suddetto e colonnello comandante il reggimento Cacciatori Guardie), e avvocato don Gavino Misorro. In questa circostanza il conte Giua lesse «pel loro Sovrano, Benefattore, e Padre» una «aringa» di ringraziamento per aver assiso Tempio al rango di città.

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